@ Daniele89: Io vedrei invece l'utilità del quotare, ma comunque visto che me lo chiedi non ho problemi ad accontentarti.
Cerco di andare per punti.
Fascismo: Sì, ovviamente il fascismo ha sempre incoraggiato
un modello familiare, ma appunto nell'ottica reazionaria (famiglia tradizionale con moglie-madre-angelo del focolare e numero=potenza, Dio-Patria-famiglia, ecc.). Personalmente però reputo che fascismo non sia solo ciò che è reazionario, ma anche tutto quello che è inquadramento e totalitarismo, l'imposizione di un modello unico così come anche la negazione di modi e possibilità di organizzazione sociale. Quindi, se la negazione dei diritti è fascismo, negare la possibilità di organizzare una famiglia lo è anch'esso.
Sarà una definizione "larga" di fascismo, ma personalmente trovo che non lo sia meno della tua di moderatismo, specialmente nell'accezione fortemente negativa (peggio della reazione) in cui l'hai proposta.
Allargamento dei diritti: sono abbastanza d'accordo con l'affermazione che si danno diversi casi in cui si fanno concessioni alle minoranze per prevenire il "peggio" e più o meno implicitamente per "assimilarle".
Nel caso in questione, però, dammi pure dell'ingenuo o del limitato ma non mi pare si stia parlando di una cooptazione delle élite greche o celtiche nel Senato di Roma per portarle dalla parte dell'Impero e assicurarsene il contributo nello sfruttamento delle province. Non vedo una "corruzione" dei singoli membri della minoranza a favore della maggioranza, vedo solo delle possibilità che prima non erano riconosciute a tutti e dopo sì. Del resto, non mi pare neanche che la minoranza stessa istintivamente non si riconosca nella struttura familiare (tra i gay c'è tranquillamente sia chi sarebbe interessato a costruirne una sia chi no): per come la vedo io, la famiglia
in quanto tale è una scelta e in quanto tale è demandata all'individuo, non è una struttura che rappresenta gli interessi della maggioranza contro quelli della minoranza. Ovviamente questo a meno che non venga inalberata a mo' di stendardo dai reazionari e trasformata in un'icona militarizzata (Dio-Patria-famiglia) che proclami e verifichi la superiorità di certi orientamenti contro altri. Ma se la famiglia viene concepita e vissuta come unione di più persone legate da vincoli affettivi e chiamate alla reciproca assistenza, non vedo sinceramente come questo modello possa risultare un qualcosa di non accessibile, di illegittimo o di discriminante per una minoranza più o meno estesa di persone. O come questo debba essere visto come un qualcosa da combattere e da scardinare a prescindere: casomai, con il riconoscimento e la legittimazione di più modelli di famiglia oltre a quella tradizionale, lo scardinamento sarà nei fatti.
Diritti individuali vs "aggregati":
Qui probabilmente c'è la divergenza più profonda, quella sui presupposti a cui accennavi, per cui se pensi che la discussione ne risulti non costruttiva per me possiamo anche chiuderla qui.
Reputo condivisibili le tue affermazioni sul peso dei macroscenari e delle aggregazioni sociali nel determinare le condizioni di vita e i diritti individuali, ma non per questo penso che anche il singolo individuo non possa e non debba essere soggetto storico.
Non penso che i diritti del singolo e quelli delle categorie sociali debbano essere per forza sempre in contrasto (affermare il contrario penso sia uno slogan come se non più di "diritti per tutti"). Per esempio, contrastare la riduzione dei diritti dei lavoratori portata avanti ormai da un trentennio non mi pare contrasti con la visione di un'acquisizione progressiva dei diritti individuali: la storia non è sempre una freccia puntata in avanti, conosce anche fasi di recessione morale e materiale, giri in tondo, ritorni all'indietro, ecc. L'importante è conservare e comunicare la visione progressiva e progressista di come dovrebbe funzionare al meglio la società per garantire il maggior benessere possibile al maggior numero di persone, con il minor numero possibile di squilibri al suo interno. Non è che si vinca sempre, l'importante è continuare a lottare.
Postilla:
Ovviamente non condivido la diagnosi di ridicolaggine e di cecità per le critiche al "dittatore di turno", ma in particolare vorrei evidenziare quanto segue.
Se "il ridicolo e la cecità" di tali accuse sono tali in virtù dell'assunzione che l'individuo non è un soggetto storico, temo allora che quest'ultima possa diventare una sorta di giustificazionismo per le peggiori nefandezze della storia umana.
Mi spiego meglio: intanto l'esempio di "dialogo" da te fatto sembra concludere che "quando c'è la rivoluzione" non ci si può lamentare se muore qualcuno (la rivoluzione non è un pranzo di gala, cit.). Ma si stava parlando di "demonizzazione del dittatore di turno", ergo mi pare un po' riduttivo chiudere la questione in questo modo, non fosse altro che perché la "rivoluzione" potrebbe diventare nient'altro che una maschera dietro la quale il dittatore o l'oligarchia di turno potrebbero portare avanti interessi di potere e imporre la propria supremazia con la scusa della difesa dai "nemici della rivoluzione" (tra i quali in ultima analisi vengono compresi anche tutti coloro che non si allineano supinamente al potere).
E del resto, anche Hitler e Mussolini adottavano schemi di questo tipo, parlando di vite sacrificabili per i "superiori interessi" della razza o della Patria (più prosaicamente si trattava invece di morti necessari per sedere al tavolo della pace). Non a caso è un tratto comune a tutti i totalitarismi, quello di nullificare l'individuo come soggetto degno di interesse e di tutela.
E in questo senso e in quest'accezione, l'affermazione che l'individuo non è un soggetto storico può trovare declinazioni ed estremizzazioni particolarmente sinistre (p.es. l'annullamento del singolo nella mistica collettiva dei raduni nazisti, la preminenza del "miglioramento" della razza e del
Volk a scapito dei diritti del singolo). Quindi non trovo affatto né ridicolo né miope demonizzare le aberrazioni del dittatore di turno anche in nome dei diritti del singolo individuo, mentre trovo invece cinismo e opportunismo nelle agiografie volte a santificare l'oppressione e la prevaricazione in nome della (presunta) "rivoluzione".