Io l'ho letto parecchi anni fa ma ricordo bene la storia della porta. Ho letto una biografia di Kafka, e pagine dei suoi diari e delle sue lettere a Milena, e mi sono fatto l'idea che, come molte persone, tra cui il sottoscritto, lo scrittore si fosse reso conto di non avere vissuto la vita, di avere atteso il momento giusto per entrare nel mondo degli adulti (famiglia, successo negli affari - basta leggersi la sua famosa Lettera al padre, in cui esprime il suo senso di fallimento a riguardo). La porta che lui credeva fosse per altri, e che quindi credeva non si sarebbe mai aperta per lui, quando sta per morire capisce che invece era proprio la sua, e che avrebbe semplicemente, con un solo gesto, potuto aprire. Ma ormai è troppo tardi.
Molti critici la interpretano come la porta della verità o del senso della vita, o la Terra Promessa della Bibbia ma propendo più per un'interpretazione psicologica. Del romanzo ricordo che ho trovato la struttura narrativa un po' superata - se si pensa che in quegli anni scrivevano Joyce, la Woolf, Faulkner. La trama invece è molto lineare, gli eventi si susseguono senza soluzione di continuità, senza salti nel tempo, con un unico punto di vista. Stessa cosa con Il Castello (che però trovo molto più noioso, lungo, anche se è stato pubblicato postumo e senza che l'autore ne completasse la revisione). E comunque una cosa che mi ha sempre colpito è che Kafka non pubblicò nulla in vita, anzi, lasciò i suoi manoscritti all'amico Max Brod con l'ordine di bruciarli tutti. Trovo in definitiva molto più belli i racconti (tra cui il famoso La metamorfosi, o nella colonia penale), perché penso che quella fosse la forma in cui meglio riusciva ad esprimersi. Anche le lettere sono molto belle, se si considera che Kafka in vita sua ebbe praticamente solo rapporti epistolari - se si eccettuano gli ultimi due anni in cui visse con una giovane donna di origine ebraica, di cui non ricordo il nome. Ma la morte giunse troppo presto.
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