Ho letto un po' di cose sul disturbo evitante di personalità, che non starò ad autodiagnosticarmi (per non turbare gli animi dirò solo che ho riscontrato -in me- una lunga lista di comportamenti e pensieri evitanti).
In tutti i siti che ho letto, la terapia più indicata pare essere quella cognitivo-comportamentale.
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Edit: rileggendo questa parte, sembra pendere troppo nell'autodiagnosi/wikipsicologia spicciola, quindi vi chiedo di perdonarmi e avere pazienza, solo che non ero mai riuscita a "inquadrare" i miei sintomi, non dubito che possa essere solo un'illusione(cantonata), non pretendo assolutamente si tratti di oro che cola, era giusto per tracciare delle linee forse non troppo indispensabili]
Mi è già capitato di iniziare una terapia di questo tipo, mi pare però che non superai le dieci sedute (ho un ricordo confuso), e poi me ne andai senza tornare mai più.
Il motivo che mi spinse ad allontanarmene fu proprio quell'alone di "concretezza", di "fare per fermare il declino (sorrido)", non so bene come spiegarlo. Forse il fatto stesso che sia "scientificamente provata" mi spinge ad allontanarmene, vivendo io principalmente nel mondo dell'immaginario mi riesce difficile non sorridere quando si parla di pensieri funzionali e pensieri disfunzionali, inoltre ho paura che in un approccio troppo concreto vada a perdersi il mio mondo interiore che, non studiando, non lavorando, e non uscendo praticamente mai di casa è tutto quello che mi è rimasto (ancora per poco, mi viene da dire, perché mi sembra che si stia sgretolando anch'esso).
Forse mi spaventa l'idea che la terapia debba "aggiustare" le persone, e poi se penso a me mi dico che non voglio essere "normale", vorrei solo riuscire ad esprimere chi sono, infrangere almeno in parte i miei freni inibitori, cessare di sentirmi disgustosa, inferiore e inadeguata, ma che tipo di allenamento cognitivo-comportamentale può aiutarmi a sciogliere questi punti?
Forse mi spaventa una terapia in cui vengano rese evidenti le mie incapacità, e con un approccio troppo "standardizzato" (ricordo con dispiacere il test sull'autostima e il compito di scrivere i propri pregi e difetti su un foglietto), e il tono fermo e deciso della terapista, dal piglio quasi severo. La prima cosa che cerco è il sentirmi accolta, ed è pur vero che se nella teoria accettare un paziente è già una forma di accoglienza, nella pratica il "sentirsi accolti" non avviene automaticamente soltanto presenziando alle sedute.
L'ultima psicologa da cui sono stata era di orientamento lacaniano, e ho apprezzato molto la sua pacatezza, tuttavia finii per allontanarmi anche da lei, non superando le sei sedute.
Questo avvenne perché (nonostante la sua bella morbidezza) il tutto mi sembrava veramente troppo vago (eppure è l'unica di cui ho conservato un ricordo positivo e da cui ritornerei, ma temo che sarebbe solo piacevole parlarle e che non possa aiutarmi).
Tornando alla psicoterapia cognitivo-comportamentale, che esperienze avete avuto? Mi spaventa molto l'idea di riavvicinarmici e ricominciare un percorso terapeutico con una persona estranea.
Se ci penso, quali sono i miei obiettivi?
Io non miro a un'esistenza tranquilla, non penso a "guarire" così poi posso correre a cercarmi un lavoro, non mi immagino in una relazione sentimentale, quello che a me interessa è riuscire ad
essere me interrompendo la sofferenza continua che mi causa l'
essere me.
Vorrei interrompere il monitoraggio continuo dei miei pensieri e delle mie azioni e muovermi per il mondo giocando con me e con gli altri invece di ripiegarmi e rintanarmi, ma sono talmente ossessionata dall'idea di creare dolore o di riceverne che finisco per rimanere immobile.
Se riuscissi a splendere (non credo sia fuori luogo, in questo caso, parlare di
luce propria e
luce riflessa) probabilmente smetterei di preoccuparmi di tutto questo e sarei una persona con cui ci si può muovere e giocare, invece io ormai sono uno spiritello, un gargoyle.
E ho paura che quasi non mi interessi più di essere una persona vera e non un ceppo di legname.
Sono stanca di restare ai margini della mia vita, sono una figurante e invece a me non dispiacerebbe essere la protagonista. Non perché brami ad essere al centro dell'attenzione, al contrario. Semplicemente vorrei sentirmi abbastanza forte da sostenermi, affermarmi, senza sentirmi una presenza fragile, instabile e spettrale, incapace di vivere e di stare con gli altri, incapace di interpretare il mondo, incapace di
fare nel senso più totale e generale del termine.
Nella vicinanza con la persona che mi piace (e da cui sto scomparendo perché sto smembrando i miei sentimenti) vorrei che fossimo un pianeta e un pianeta, non un pianeta e un
satellite.
Essere un satellite può essere carino e bello, ma non nelle mie condizioni.
Quando ci si percepisce inetti e deboli e vicino a noi abbiamo personalità forti e decise, la frustrazione e il "non sentirsi all'altezza della situazione" è un rischio fin troppo comune, soprattutto nel caso in cui l'altra persona faccia fatica a vederci. Se la situazione diventa stressante e dolorosa, perderà quell'aura di sicurezza che ci faceva stare bene e ci proteggeva dalla paura del rifiuto.
Allora ci si sentirà poco interessanti, brutti "se l'altra persona non mi guarda è colpa mia, perché se fossi una persona che gioca con sé stessa e con la vita lei sarebbe molto interessata a me e giocheremmo insieme fortissimo, invece io sono incapace e immobile e non riesco a coinvolgerla", che sono pensieri che forse corrispondono al reale e forse no, ma di fatto sono talmente intensi e dominanti che finiscono per diventare veri.
Allora quando l'altra persona verrà da noi, invece di sentirci riempiti e coinvolti dai suoi discorsi su se stessa e su quello che succede nel suo mondo, noteremo la sua apparente mancanza di interesse per il nostro.
Ci sentiremo frustrati, perché noi a differenza sua non riusciamo ad esprimere niente di noi stessi, e perché sentiamo che lei soffre e si perde in discorsi che invece di permetterle di sfogarsi la corrodono, e siamo talmente deboli da riuscire con fatica ad essere severi, perché si vorrebbe perpetuare la funzione di confidente semi-silenzioso e molto comprensivo, da un lato, ma dall'altro ci si sente perfettamente inutili e incapaci di dire alcunché di ponderato e illuminante, o anche solo d'essere di conforto.
Ci si sente scomparire completamente, risucchiati dall'altro, senza più riuscire a farsi vedere, o a balbettare un
h-hey! sono qui!
E allora, dopo pensieri su pensieri, esternazioni raffazzonate e confuse, si finisce per allontanarsi da tutti.
Io vorrei soltanto
essere e non sentirmi scomparire mai più.