Sono sulla tua stessa barca, grossomodo.
Dopo una vita da dipendente non riesco più a immaginarmi un capo che mi rompe i coglioni perché la notte prima ho avuto problemi a dormire e mi sono trovato a far tardi, anche se all'atto pratico non c'era nessuna contingenza a giustificare la mia presenza in ufficio.
Ma per entrare nel mondo del freelancing prima di tutto è necessario professionalizzarsi nell'ambito della gestione burocratica, finanziaria e fiscale. In altre parole, bisogna ragionare da imprenditori.
Cos'è un'impresa? E' un'attività che trasforma dei beni/servizi in altri beni/servizi. E' insomma una funzione di trasformazione, in cui il plusvalore è derivato dalla differenza tra il bene/servizio offerto e i beni/servizi utilizzati per offrirlo.
All'atto pratico se non ragioni nell'ottica della domanda di beni/servizi esistenti, di quello che tu potresti offrire e delle risorse di cui disponi, rischi di incappare in una sonora delusione.
Ad esempio, io potrei aver in mente il più bel romanzo di fantascienza filosofica mai scritto (incidentalmente la cosa è pure vera
); ma la domanda per questo servizio è attualmente zero (il romanzo è solo nella mia mente). I beni/servizi richiesti per produrlo invece sono notevoli. Supponendo di scrivere 20 pagine al giorno (molto velleitario) e pianificando un prodotto finito di 800 pagine, avrò bisogno di:
- cibo per 40 giorni
- un tetto e un letto sempre per lo stesso periodo
- acqua luce e gas
- materiale per documentarmi: libri, film e serie tv, giornali, riviste, viaggi, consulenze di personale esperto
- contatti sociali nell'ambito dell'editoria
- un computer e un'accesso a internet
- spese di trasporto varie
- ...e chissà cos'altro.
Diciamo che me la cavo con 1000 euro, perché il computer già ce l'ho, la documentazione la ricavo in libreria, ecc.
Se per ogni romanzo venduto ci ricavo 5 euro, potrei raggiungere il pareggio vendendo 200 copie del romanzo. Da lì poi si inizia a guadagnare, con un bel po' di fortuna.
Questo è il cosiddetto rischio imprenditoriale. E' da tenere in conto.
Ma se mi domandi a proposito della fattibilità: beh, c'è chi lo fa. E molti ci campano anche bene.
Quello che farei io nei tuoi panni (che poi è quello che sto cercando di fare) è trovare un lavoro part-time spegnicervello, in un bar o come commessa o simili -cosa che ti permetterebbe peraltro di tener allenate le competenze sociali e sfidarti nelle tue difficoltà, anziché sfuggirle (come osserva Muttley). Nel frattempo inizierei a cercare clienti e mi informerei sull'aspetto fiscale e contributivo del freelancing (se non erro sotto un certo fatturato la p.iva non è necessaria). La differenza sostanziale tra la libera professione e il lavoro dipendente è che nella prima sei te la prima responsabile della risoluzione dei problemi dei tuoi clienti; mentre il dipendente deve "solo" fare ciò che il capo dice, lasciando che sia il datore di lavoro a preoccuparsi di far incontrare la domanda con l'offerta.
Il vantaggio di avere un lavoro part-time è che ti permette di avere un'entrata fissa che compensi le fisiologiche fluttuazioni di mercato; inoltre se risparmi il più possibile puoi costruirti un tesoretto da utilizzare per eventuali investimenti (ad esempio un sito e relativo SEO/marketing), i quali se ben studiati accelererebbero parecchio la costruzione del tuo portafoglio clienti.
Tutto ciò ovviamente non vale nel caso di una fobia sociale gravemente invalidante. In quel caso ti direi di rinunciare a meno che tu non sia un genio dell'informatica.
Ho conosciuto geni dell'informatica che si sono ritirati a vivere nella loro stanza (o nel bel mezzo della foresta amazzonica!): campano di lavori su commissione, non comunicano coi clienti se non per via telematica e sono talmente autonomi che non hanno neanche bisogno di un posto specifico da dove lavorare.
Ma questi sono casi estremi. La maggioranza delle persone necessita di abilità sociali e relazionali minime per potersi sostenere: devi capire se il tuo è un bisogno di fuggire da un problema che ti sembra irrisolvibile, oppure la presa di consapevolezza che, pur sapendoti sforzare per relazionarti agli altri, la tua indole è prevalentemente solitaria. Nel primo caso lascerei perdere questo discorso almeno per il momento e mi dedicherei a curare la fs con un percorso psicologico/psichiatrico ben definito.