"NON MI piace parlare di me stessa". Ma quando decide di farlo, Margherita Buy, cerca di andare fino in fondo. Perché la sua storia è uno specchio in cui anche gli altri possono guardarsi. "Mi hanno disegnato come nevrotica: in realtà, quello con cui convivo fin da ragazza è la timidezza. E ancora oggi, dopo che tante cose sono cambiate, sono attratta dalle persone che hanno delle incertezze. Mi piacciono le debolezze degli altri".
D'altra parte lei, che ha lavorato con autori diversissimi (Rubini, Luchetti, Verdone, Monicelli, le Comencini, Piccioni, Ozpetek), è stata spesso confusa con le sue interpretazioni. La più seccante: quella di icona nevrotica. "Una consacrazione odiosa, figlia più dei media che del pubblico. Navigando su Internet mi sono scoperta in una carrellata di attrici nevrotiche. Ho riso, perché nelle foto sono in abito da sera, ritratta in meravigliose occasioni mondane e non con le unghie tra i denti, al supermercato o quando accompagno mia figlia a scuola: situazioni in cui si raggiungono i picchi "patologici" più alti. Mi ha consolato il fatto di non essere la sola. Eravamo in tante, dive americane, insospettabili colleghe".
La timidezza, invece, la rivendica. "Lo sono diventata a un certo punto, durante l'adolescenza. Ero estroversa e divertente con le amiche, ma se mi dovevo esporre in modo più chiaro non ce la facevo". Studentessa mediocre, prendeva ripetizioni dalla moglie di Camilleri, che le suggerì la strada della recitazione. E Margherita all'Accademia riuscì a entrare al secondo colpo, senza raccomandazioni. "La timidezza è peggiorata quando ho cominciato a lavorare. Mi sentivo esposta, insicura, inadeguata, avevo paura di sbagliare. E questo sentimento diventava via via più forte". Eppure è diventata un'attrice, senza bisogno di comprare i classici manuali di autoaiuto, senza obbligarsi a preparare in anticipo i discorsi. "Non mi sono mai sentita strana. Il mondo è piano di persone timide. Il mio carattere non l'ho mai vissuto come un handicap. Non è un atteggiamento, né una malattia: è carattere, appunto". E, paradossalmente, proprio questo, a metà tra maschera e realtà, è diventato parte del suo successo, anche per il pubblico, "che in genere ama gli estroversi. Chi ama apparire è divertente, interessante. Invidio queste qualità: un artista è legato all'esporsi. Ma non sono persone con cui posso essere in sintonia. Questo però è un altro discorso".
L'altro discorso è che, attraverso le sue fragilità, ha capito cosa desidera, cosa preferisce: quelli dalla vita timida, come la sua. Dal 14 febbraio è in scena al Quirinetta di Roma in Nel nome del padre, un dialogo immaginario tra due persone cancellate dalla storia: Aldo Togliatti, figlio di Palmiro, e Rosemary Kennedy, figlia del patriarca Joseph. Considerati scomodi dai padri eccellenti, sono stati segregati in clinica, morti in solitudine. Il teatro serve anche a questo: a illuminare gli angoli scuri. A raccontare quelli che non ce l'hanno fatta. Perché spesso la timidezza è una sofferenza, una barriera verso il mondo. "Ti rende una persona difficile più per gli altri che per te stessa. Io venivo scambiata per altezzosa, disinteressata. Da ragazza gli altri mi vedevano fredda, invece avevo paura. Ma, allora, non mi ponevo il problema, l'ho capito dopo. Mi sono sempre circondata di pochi amici ed è andata bene".
Con gli uomini invece è stato diverso. "Non sono stata una ragazzina che si interessava ai maschi. Passavo il tempo con le amiche. Sono sempre stata riservata e non vivevo di colpi di fulmine. Rifletto sulle cose. E penso che uno sguardo un poco critico, cauto, aiuta a scegliere le persone giuste". Nella sua vita pochi rapporti, lunghi e importanti. Il primo con il collega d'accademia Sergio Rubini, l'ultimo il matrimonio decennale, finito da poco, durante il quale è nata Caterina. "Mia figlia è estroversa, simpatica, solare. Tira fuori la parte positiva di me. Abbiamo un legame molto forte e mi fa divertire. C'è comunicazione, sintonia, almeno per quei due o tre mesi in cui vorrà ancora vivere con me".
Ha appena finito di girare con uno dei registi più importanti della sua carriera, Ferzan Ozpetek: Magnifica presenza (in sala dal 17 febbraio). "Interpreto una donna d'altri tempi. Un personaggio che mi ha fatto riflettere su quanta libertà e semplicità avevano le nostre nonne nell'esprimere le passioni. Noi, invece, siamo una generazione di donne complesse, un bagaglio pesante da portarsi dietro. In passato mi sono sentita molto fragile. Ho avuto momenti brutti, anche molto dolorosi, nella vita. E ne avrò altri. Ma ora sento diversamente: so che le cose ti possono colpire e non ci puoi fare niente. Bisogna cercare di reagire, o non reagire affatto, le scelte sono due. Detesto le donne lamentose, chi si piange addosso. Siamo tutti fragili, uomini e donne. Viviamo nella fragilità ogni momento della nostra vita ed è inutile continuare a dirselo". Meglio provare a scherzarci su. "L'ironia è sempre stata la mia ancora di salvezza. Vorrei fregarmene di più delle cose. Mi piacciono le persone riflessive, ma dopo la riflessione ci vuole una risata. Per questo adoro registi come Giuseppe Piccioni, un timido dalla battuta fulminante. Con lui ho appena girato Il rosso e il blu, interpreto una preside. E il grande amore Carlo Verdone. Il set di Maledetto il giorno che ti ho incontrato è stato il più divertente della mia vita. C'era una grande condivisione di fobie. Sull'aereo che partiva per l'Irlanda eravamo entrambi terrorizzati. Verdone era lì a farmi coraggio e poi al decollo si è infilato nella cabina del pilota e non si è fatto più vivo, abbandonandomi alle mie paure. Al terrore". Che oggi, timidamente, è bello da ricordare.
(11 febbraio 2012)
Fonte:
http://www.repubblica.it/spettacoli-.../?ref=HREC2-64