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Originariamente inviata da Angus
Questo è proprio quello che penso.
(Alcune) persone che vanno in terapia, lo fanno solo marginalmente per fare una terapia. Lo fanno per "rubare" un contatto umano, per comprarne uno facile da gestire, sulla scia di pressioni sociali senza voler davvero partecipare, perché indottrinate e prive di consapevolezza dei propri problemi (il famoso ipse dixit), perché vogliono mortificarsi e per altri motivi. NON per fare una terapia.
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Ma consapevolezza che significa?
Secondo me anche questa cosa che dici è scorretta.
La persona va in terapia non perché sa come uscirne, la persona magari sa soltanto che se mangia c'è l'effetto collaterale che le dà fastidio, non sta bene e va in terapia, se avesse avuto questa consapevolezza di cui parli non ci sarebbe andata proprio, avrebbe già risolto da sé non mangiando o mangiando meno come fanno altri.
Per me la spinta non è tanto quella di cambiare un qualche aspetto specifico di sé, c'è questo disagio, è questa la spinta, ora cosa si dovrebbe fare non è ben definito, tu e altri supponete sia ben definito, ma non è ben definito. Magari la persona sa solo che se si trovasse nella situazione in cui non ci sono gli effetti collaterali dovuti all'abbuffata starebbe bene, basta.
Ma non è chiaro né come arrivarci né se le cose per arrivarci la persona è disposta a farle o sa farle, attualmente magari la persona crede di no, e infatti ci sta rimanendo in quella situazione.
Anche la persona che mangia e poi ha effetti collaterali non sta bene perché gli effetti collaterali magari non li accetta, non è nemmeno detto che poi stare meglio significhi mettersi a dieta. Però magari la persona questa cosa la desidera meno e quindi si pone un problema relativo alla collaborazione.
Può essere anche che non si riesce a trovare nulla che la persona è disposta a fare o sa fare con gli strumenti disponibili attualmente per uscire da quella situazione e semplicemente ci resta, questa consapevolezza di cui parli non si capisce bene cosa sia secondo me. Se ci fosse già, in quella situazione non ci starebbe proprio la persona e vivrebbe come vivono altri.
Tanto in terapia alcuni provano ad andarci non ci trovano alcun giovamento e mollano. Non è chiaro cosa trovarci in questi interventi, uno magari ci crede poco proprio per questo, ci va però lo stesso per vedere cosa succede in concreto, non succede nulla di diverso da quello che uno si aspettava, e si lascia perdere. Se in terapia ad esempio ti dicono "se non ti impegni a non mangiare non collabori", non è che dire questa cosa poi farà sparire la tendenza che già c'era ed era uno dei motivi per cui ci sei andato, può essere che in certi casi però funziona, ma non è mai sicuro.
Se la terapia diventa uno sfogo, lo stesso non è detto che sia inutile, perché magari sfogandoti riduci poi la rabbia e altre cose, e nella vita di tutti i giorni hai comunque un miglioramento, continui ad abbuffarti ma c'è un miglioramento, certo che poi uno psicoterapeuta contenitivo deve avere una bella resistenza.
Parlare con qualcuno e non sentirti solo nel disagio magari lo stesso aiuta, certo che se poi loro sostengono che hanno risolto tutto, c'è da obiettare parecchio su questa cosa, non dico che in certi casi magari riescono a risolvere, ma in generale a me sembra sia falso, questo ottimismo è esagerato.
E' esagerato sia sostenere che sia completamente inutile sia credere che risolva un problema medico come farebbero certe determinate medicine particolarmente efficaci.
Io non chiamerei nemmeno terapie dei colloqui dove si vende compagnia, si svolge un gioco di ruoli, si dà la possibilità di sfogarsi, si esprimono punti di vista, si parla della propria vita con qualcuno esponendo una sorta di autobiografia verbale e così via, non è che questi colloqui devono svolgere un'unica funzione e proprio quella che hai in mente tu, o loro stessi.
Ormai s'è deciso di etichettarli così e si va avanti così, ma secondo me è proprio scorretto sia pensare che sono malate le persone che si rivolgono a loro, sia pensare che quel che fanno loro rappresenti somministrare una medicina.
L'unica forma di consapevolezza che manca davvero in tutte queste situazioni qua, per me è questa.
Queste cose sono più vicine al mondo umanistico, che so quello costituito da cinema, teatro, arte, religione, che scientifico e medico per me. Solo in ambito religioso ci sono il buddismo, l'islamismo, il politeismo, il satanismo e così via, ora quale religione seguire e se seguirne una o meno, non è che rappresenta prendere una medicina, anche se magari uno sta meglio nel seguire il satanismo rispetto al cristianesimo.
Anche se guardare un film, o scrivere e leggere un libro non sono medicine, non è detto che siano inutili per tutti, se lo fossero davvero non avrebbero alcun motivo per esistere, hanno intercettato qualche bisogno umano insoddisfatto queste cose. Questo per quanto riguarda la psicoterapia.
Ora passiamo ad analizzare la psichiatria.
Io penso che snche fumarsi una canna magari fa star meglio in qualche senso un certo gruppo di persone e qualche effetto sul cervello magari ce l'ha, ma sostenere che è una medicina per curare una malattia, perché magari s'è definita malattia il provare ansia e il vedere tutto nero, e con una canna si riducono queste cose in svariati casi, per me è scorretto.
Nonostante ciò non direi che fumarsi una canna sia inutile, ripeto se fosse stata una cosa totalmente inutile sarebbe sparito da un bel po' questo modo di fare.
Lo studio scientifico di come funziona il cervello e come viene modificato dall'assunzione di certe sostanze (quando però il meccanismo di azione è chiaro a livello meccanico, perché con i sistemi statistici a me sembra non si capisca mai bene una mazza) può essere utile poi per controllare l'assunzione di certe sostanze, ma non è che questa cosa poi rappresenta una cura da qualcosa. Torno all'esempio dell'aborto fatto in un'altra discussione, abortire non rappresenta curare una malattia anche se una donna facendo uso di questa pratica magari sta meglio.
Questa pratica necessita comunque di competenze mediche, ma a rigore non è che si sta curando qualcosa, è scorretto credere che si stia curando una malattia perché poi certe donne stanno meglio usufruendo di questa cosa.
L'assunzione di psicofarmaci io la collocherei in quest'ambito qua, a rigore non cura nulla, però magari dà certi effetti che delle persone preferiscono avere e stanno meglio, d'altra parte però ci sono anche degli effetti collaterali.
Tra il vietarli e supporre siano inutili e il dire "li devi prendere che fanno guarire", c'è una via di mezzo dove la persona magari può scegliere di prenderli ed è libera di prenderli sotto controllo medico, così come una donna può decidere di far ricorso all'aborto sotto controllo medico, casomai ritenesse che starebbe meglio così, assumendo il rischio che il medico non può eliminare e che l'intervento comporta.
Ad un certo livello ci vogliono competenze relative al funzionamento del corpo, ma queste competenze a rigore non vengono usate per curare una malattia, così come rifarsi le tette non corrisponde a curare nulla ma necessita di certe competenze mediche.
La medicina in questi settori a rigore non sta curando nulla, non c'è una malattia vera e propria, però è necessario lo stesso conoscere certe cose a livello fisico e certe tecniche per eseguire questi interventi.
La chirurgia estetica non è detto che curi qualcosa, ma può far star meglio delle persone in certi sensi.
Anche qua può esserci un fraintendimento, uno vede un medico e pensa "stiamo curando una malattia" dato che dopo l'intervento la persona sta meglio, però secondo me è discutibile questa cosa.
Fosse anche vero a livello statistico che la maggior parte delle donne col seno piccolo quando lo ingrandiscono stanno meglio, è discutibile poi sostenere che la minoranza che non vuol fare queste cose è matta.
Constatare che non curi nulla però non deve portare a pensare che debba essere inutile per tutti e che una persona non potrà fare uso di questi espedienti perché ritiene che starebbe meglio.
"Sto male faccio uso di questa cosa qua, sto meglio, quindi sono guarito da un morbo..."
è questa impostazione che per me è scorretta.
Il mio modo di descrivere queste cose non espelle la psichiatria dall'ambito medico, ma la ricolloca in un modo più corretto accanto a pratiche come la chirurgia estetica, e cose simili, qua dovrebbe collocarsi secondo me.
Ad esempio la chirurgia estetica non viene usata solo per curare delle malattie, direi che viene usata soprattutto per fare altro, vale lo stesso discorso per la psichiatria.
Magari anche il chirurgo estetico avrà il suo "DSM" di foto dei nasi storti o delle tette e piselli piccoli, cascanti e relative correzioni, ma avere il naso aquilino o le tette piccole e cascanti o il pisello di certe dimensioni non sono comunque delle malattie.
Voler avere una quarta di seno non rappresenta una malattia, e non è una malattia non volerla avere o non voler sottoporsi ad un intervento per averla, nessuna delle due cose è una malattia.
Per me ci sono molte sfaccettature, ci sono pratiche mediche che non curano malattie, la psichiatria pare che fin dall'inizio s'è voluta presentare come una cura dei disordini mentali, e secondo me è sbagliata questa impostazione.
"Il cervello, la mente, non funzionano bene, noi li aggiustiamo, chi non riconosce che sono stati aggiustati col nostro intervento è matto".
E' come se la chirurgia estetica etichettasse un naso fatto in certi modi o le tette piccole come disordini o come mali da estirpare e chi non riconoscesse questa cosa risulterebbe matto.
Può essere vero che ci sono certe tendenze sociali che vanno per la maggiore e delle persone preferiscono seguire certe cose e così si sentono meglio e in tal senso non direi che sbagliano necessariamente, ma affermare che sia stata curata una malattia è discutibile per me.