Rizieri Mercatante è un soldato della Seconda Guerra Mondiale che, complici le atrocità del campo di battaglia, decide di disertare dalla Sicilia per fare rientro nella sua terra (la Calabria); terra che sta venendo letteralmente scossa da quello che si crede essere il minotauro della leggenda. In tutto questo pendono sul suo destino, come predettogli in età fanciullesca da una zingara, tre stelle che corrispondono ad altrettante figure femminili. E una terribile sentenza.
Dovevo finire Oga Magoga da tipo due anni se non di più ma alla fine l'ho abbandonato e ripreso diverse volte. Purtroppo quando comincio a leggere un libro lo devo portare a termine a tutti i costi (l'unica eccezione è stata un'introduzione al pensiero di Foucault che penso getterò nel caminetto che neanche possiedo), altrimenti non penso proprio che avrei utilizzato tutto questo tempo per leggere il romanzo in questione. Il problema non è che si tratta di un'opera brutta, anzi, ci sono diversi aspetti positivi e pure molto validi:
-Abbiamo l'utilizzo di una lingua, con una sua melodia che traspare già dal titolo, che è un misto tra il calabrese e l'italiano e su cui lo stesso Occhiato, rivendica l'originalità rispetto ad altri suoi contemporanei:
"Quando, nel 1975, vedeva la luce Horcynus Orca, già da un ventennio circa il mio romanzo era bell’e definito nel suo essenziale congegno narrativo (ne conservo le vecchie stesure), e quando Camilleri attingeva la fama intorno agli anni 1994-95, credo, già un quinquennio prima era uscito il mio libro Carasace. Penso che questo basti. Semmai, più che un seguace, potrei essere considerato un anticipatore"
L'amico se la tirava poco
-L'accuratezza del mondo rappresentato: si capisce benissimo che l'autore ha una conoscenza, anche e soprattutto diretta, di quel preciso contesto culturale e sociale (a tal proposito mi fa ridere che il finale sia lo stereotipo della terronata
). Non a caso è palese che la voce narrante sia lo stesso Occhiato, qua nelle vesti di un cugino di Rizieri e che molto raramente fa capolino.
-Passaggi molto riusciti come la discesa nell'aldilà di Donna Brandoria per sconfiggere il minotauro e il finale.
E però è un libro che ha anche diversi difetti:
-Non so quante volte viene ricordato che la mortazza, la Morte, la Mastressa traffina (e mille altre sinonimi di sorta) incombe su Rizieri. Un continuo. Ma un continuo continuo; ché se da un lato è una tecnica palesemente voluta per rendere l'idea dell'ineluttabile, dall'altro dopo trecento pagine uno già si è rotto. Non ho idea di quanto spazio sia stato utilizzato per parlare della figura antropomorfizzata della morte, ma è davvero eccessivo.
-Parzialmente legato al punto di prima: il volume del libro (1300 pagine in formato bello grande). Davvero troppo per quanto viene raccontato, anche perché se Occhiato ha uno stile molto interessante non è comunque Proust e le ripetizioni / allungamenti di brodo escono prepotentemente fuori. Probabilmente il romanzo si poteva dimezzare e non è un'iperbole.
-I personaggi: la loro gestione mi è sembrata un po' sconclusionata. Non che siano fatti di cartapesta (anzi, direi che sono tutti molto ben riusciti) ma più che dare il respiro di un'opera-mondo, come è stata definita, danno l'idea di essere tutti dei burattini che vengono prepotentemente sovrastati da Rizieri e dalle sue stelle.
In ogni caso è un libro interessante in cui i miti vengono interpretati come un dispositivo costantemente capace di rinnovarsi nel presente ma sul quale avevo aspettative grossisime, visto anche quanto avevo letto in merito, che sono state deluse. Anche perchè se mi leggo un mattone io voglio qualcosa di più dell'"interessante".