Qualcuno forse si ricorderà i miei topic precendenti.
Lavorativamente, feci una scelta "di sopravvivenza" che però ora mi sta scaraventando dritto dritto al capolinea.
In generale, avevo un grande desiderio, quello di "vivere alle mie condizioni", che si può declinare anche in questi termini: "Adeguare il reddito al tenore di vita" e non "adeguare il tenore di vita al reddito".
C'è stato un momento in cui credevo di poter fare quasi tutto.
Poi mi accorsi bruscamente che così non era, non è... e non sarà.
Premesso che posso annoverare un passato di merda, un presente di merda, e un futuro che prevedo anch'esso di merda, a sto punto rifletto sul da farsi.
Ciò che ho razionalizzato negli ultimi tempi è che il mio problema non è tanto da identificarsi nella fobia sociale, quando in un senso di "distacco", dalle cose, dalle persone, da tutto ciò che mi circonda.
In questo forum molte persone vorrebbero "aprirsi al mondo" ma hanno difficoltà a farlo, io invece ho sempre voluto "uscirne", starne fuori il più possibile.
E quella che per molti è una "fottuta solitudine", io quella solitudine tendenzialmente me la vado a cercare.
Ecco, un senso di distacco così forte, misto a una vocazione assoluta all'indipendenza, non sono le ricette per affrontare questo mondo, ma... Come dire... Ho provato anche a cambiare, ma è stato come cambiare un abito. Quando poi sono arrivato al dunque, mi sono ritrovato tale e quale a prima.
Una grossa delusione è stato rendermi conto che non ho gli attributi per fare l'imprenditore. Però, riflettendo a posteriori, anche l'imprenditore è un "lavoratore dipendente", perché dipende dai suoi clienti. Se lo abbandonano, fallisce.
E mi chiedo quindi quale ruolo possa ricoprire un misantropo, accidioso e distaccato, in questa società. Non ho potuto continuare gli studi e diventare docente di filosofia, il che avrebbe rappresentato la soluzione ideale, nè posso farlo ora o in futuro. Quel futuro che non vedo più.
Ho avuto lunghe dicussioni con un amico (poi, anche lui, mi ha deluso), il quale mi ha invitato a "ridefinire gli standard", e quindi, sistemazione di comodo, lavoretto precario e malpagato, in attesa che le cose si mettano meglio.
Ma non è quella la vita che desidero.
Sono passato per snob, imborghesito, con la puzza sotto il naso, e forse è così, ma il mio ragionamento è: "Ok, già vivere per me è più un'agonia che una gioia; ho cominciato a pensare al suicidio a 14 anni, ora ne ho 26, e il pensiero è ancora lì; ho rovinato il rapporto con l'unica persona che ho amato; con questo carattere non penso che potrò rendere felice qualcuna; ho ricevuto tante batoste che non avrei meritato... Ora mi si chiede anche di fare lavoretti del cazzo, quando ho visto emeriti incompetenti portarsi a casa oltre 2000 euro al mese... quando credo di aver scritto ed elargito consigli validi sulle materie più sterminate... quando ho cacciato fuori di tasca mia quasi 20.000 euro per libri e corsi di formazione... quando ho sputato pure il sangue in azienda ed ero diventato il migliore dell'ufficio?
Dev'essere questa la mia vita? Devo ritrovarmi magari in una camera doppia con uno che si spacca di canne, e a fare i caffé (sempre che questa opportunità ci sia) a persone che mi stanno pure sulle palle?
"Guarda che non sei l'unico, pensa a quanti altri sono nelle stesse condizioni"
"Ooookey... Si dà il caso che io pensi ai miei di desideri, esattamente come fanno gli altri. Ciascuno insegue il proprio "particulare", come diceva Guicciardini".
E poi... quanto devo ancora andare avanti portandomi dentro le ferite per gli errori del passato? E non posso cancellarle, lasciarmele alle spalle. Sono profonde, sanguinanti. E mi stanno condizionando, eccome.
Quindi, vivere alle proprie condizioni o adattarsi?
Penso che chi ama (o quantomeno tollera) la vita, chi ha speranza nel futuro, sia tenuto ad adattarsi, qualora fosse necessario. Adattarsi, aspettare, arrangiarsi.
Ma chi già la vita non la ama, e sente la propria dignità residua che scivola sotto le scarpe, perché deve farsi ulteriormente del male?
Io non ho più gli standard elevati che avevo in passato, ma ci sono delle cose a cui tengo, sia di forma che di sostanza, e non vedo più l'opportunità per conservarle, alimentarle, rinvigorirle.
Penso che dopo tutta la merda che ho ingoiato, e spesso non me la sono affatto cercata con atteggiamenti disfunzionali... ecco, penso di avere diritto a qualcosa.
Invece no.
Indifferenza, rifiuto, miseria.
Io una deadline me la sono data.
Una chance la vorrei ancora, anche solo per "rivincita", ma... Tutto mi porta a pensare che non accadrà, e che me ne andrò. Con molta paura, come si conviene in questi casi, ma anche con un senso di liberazione.