Il trasferimento in una nuova città, così diversa dalle altre, mi sta facendo vivere un intenso periodo di autoconsapevolezza. E sto impazzendo tra i miei vari pensieri, devo metterli nero su bianco.
Prima cosa, e sarebbe interessante se anche voi la analizzaste nelle vostre vite.
Rivedendo mia madre a Natale, e potendola "confrontare" con altri parenti decisamente più estroversi ed "estrosi", mi sono reso conto di quanto sia radicato in lei il problema, e, per intenderci, me l'ha trasmesso e ci lotto quotidianamente.
Ha "paura di disturbare", tende ad essere "minuscola", silenziosa, accondiscendente. Non si fa rispettare, non fa valere certi suoi diritti.
Ci stavano riaccompagnando a casa dei cugini, e lei a un certo punto dice: "ma lasciateci pure qua, siamo già più vicini, possiamo continuare a piedi". Ma-sei-fuori???
Ha vissuto in piccolo, nel silenzio.
Mio padre è morto ormai 12 anni fa, e non ha mai preso in considerazione l'idea di frequentare qualcun altro o sposarsi.
Stava pure per accettare l'idea di un prete di ospitare un extracomunitario a casa per 35 euro al giorno. Perché gliel'ha chiesto un prete, e lei ovviamente da "brava bambina" (ho l'impressione che non sia mai veramente cresciuta) stava per accettare.
L'hanno invitata ad andare a fare dei viaggi, ecc. ha sempre rifiutato.
Patisce la macchina, patisce il treno, patisce tutto.
A me fa tenerezza da un lato, ma anche tanta pietà, e tanta rabbia, perché devo lottare con questa eredità. Anch'io ero come lei, entro in punta di piedi nelle situazioni sociali, anche qui al lavoro avrei potuto conoscere molta più gente, adottando un atteggiamento relativamente più amichevole, estroverso ed audace.
Ed è una gabbia solidissima, che nemmeno viaggi e lavori a contatto col pubblico sono riusciti a scalfire a sufficienza.
Ho ambizioni, appetiti, voglia di fare, ma c'è questa gabbia che mi avvolge appena appoggio il piede a terra quando scendo dal letto, e riesco rarissimamente a essere il me stesso che vorrei, quello che riesco a immaginarmi, e che, per quel poco che è uscito allo scoperto, ha anche "quagliato qualcosa".
E da qui parte un'altra riflessione.
Tendenzialmente trasmetto fiducia, passo per una persona buona.
Ni, dietro il "faccino" puccioso e rassicurante spesso si nasconde l'inferno. Rabbia, pensieri tutt'altro che politically correct, ecc. ecc.
Raramente sono riuscito a sfogare il "bad boy", e purtroppo l'ho fatto nel posto sbagliato, in famiglia, e ogni volta che ci penso mi vengono i brividi e mi sento una merda. Sarà che il periodo dell'adolescenza è critico, ma è difficile pensare a un ragazzino timido e buono a scuola, e un piccolo demonio a casa.
Oggi, a 30 anni, per bad boy cosa intendo: essere decisamente più risoluto, essere opportunista quando serve, e scaltro e calcolatore all'occorrenza. Farsi rispettare ed eventualmente imporsi, in prima battuta con le parole, ma anche suscitando quel classico timore che si prova quando si ha a che fare con persone che non hanno voglia di sprecar parole e preferiscono tracciare le gerarchie adottando strategie più "pragmatiche". Essere più virile, dominante, specialmente con le ragazze. Essere sfrontato, e subcomunicare loro tutta una serie di cose che, in questi anni, loro desiderano e fanno fatica a trovare. Vorrei essere decisamente più indifferente al giudizio degli altri, ci sto lavorando ma non ho ancora raggiunto il livello che vorrei.
Chiedere, persuadere, procacciarmi le cose, scontrandomi con gli ostacoli e perseverando come un toro, senza guardare in faccia nessuno. Prendermi rischi. Fare "pazzie".
Avete visto Scarface? Quando Tony Montana dice al suo amico: "Tu accontentati, io mi prendo tutto quello che posso".
Questa è un c...o di filosofia di vita. (Poi ha fatto una brutta fine perché ovviamente dovevano infilarci la morale dentro).
Cari miei, per capire il mondo, le persone e la vita, un testo di psicologia evoluzionistica è molto più illuminante di qualsivoglia testo religioso.
Voi vi lamentate che alcuni vi guardano male. "Chi pecora si fa, il lupo se la mangia", o qualcosa del genere.
Quest'estate, in cui mi destreggiavo coi guantoni, feci un esperimento. Passeggiai per una lunga via di Milano con un body language da "pugile in giornata no". Beh, fu divertente vedere alcune persone che si spostavano intimorite per farmi passare (io 1,68 , occhiali, no mascella squadrata e spalloni stile armadio), e fu altrettanto interessante notare come certi personaggi (i "bad boy" della situazione) si sentissero quasi provocati da questo mio modo di fare.
Siamo animali, al bando le aureole e i girotondi. Certe pulsioni primordiali sono molto più forti di qualsiasi legge.
E' da tanto tempo che chi mi conosce vede alcune qualità in me, e so benissimo che anni e anni di studio di varie cose, dall'imprenditoria al marketing, dalla comunicazione alla vendita, dalla seduzione all'evoluzionismo, ecc. ecc. lasciano tracce.
Avere il pane, avere le competenze, ma peccare di volontà. Di coraggio. Di voglia di rischiare. Quel senso di distacco, quella riluttanza a mettermi veramente in gioco, quella volontà piuttosto evanescente. Quella sensazione di "ma ne vale davvero la pena?", che puzza tanto di autosabotaggio.
E in ultima istanza, il "mucchio indistinto". Anche quella è una enorme fregatura.
Invidio chi coltiva una passione, e magari lo fa da anni.
Boh, sono fissato con la chitarra o i balli latino americani e faccio quello.
Ho un ex amico filosofo che vedo spesso in tv. Lui aveva la passione per la filosofia. Una passione fortissima. Ci si è dedicato per anni. Era uno peraltro scafato, con amici e ragazze, pure un bel figliolo.
Ecco, quel tipo di passione. Per la quale sei disposto a "recidere" tutte le alternative.
Io sono l'opposto. Ho decine di micropassioni. Ho iniziato a fare tantissime cose. Risultato: vanno, vengono, costruisco, distruggo, bla bla bla.
Per il successo non è importante l'ampiezza delle competenze, quanto la profondità che raggiungi in QUELLA competenza, in QUELLA cosa, in QUELLA attività.
Non mi entra proprio in testa. E' tutto importante, quindi nulla è davvero importante.
Mi sembra, recidendo le alternative, di "perdere vita", di ridurmi, atrofizzarmi, espormi in maniera molto più marcata a quel famelico livellatore che è il tempo, che di giorno in giorno crea il tuo passato e lo spazza via con indifferenza.
La cosa ironica in tutto questo, è che così facendo "perdo vita" due volte, perché il tempo non mi risparmia, e nel mentre, dilapido tempo ed energie, finendo con un pugno di mosche.
Per di più è frustrante non sperimentare quel senso di progresso fulmineo che invece vedevo quando avevo meno cose per la testa.
Che sia anche questa una strategia di autosabotaggio?
Forse.
Io spero solo di cavarne qualcosa di davvero buono da questo periodo di assestamento esistenziale, perché al lavoro sorrido, ma quando sono solo con me stesso, è dura destreggiarmi tra tutto questo.