Quote:
Originariamente inviata da Angus
Sei sicuro che quella di cui parli non sia appunto una pantomima di attivazione?
|
Definisci meglio pantomima, che cos'è?
Alla fine mi sa che differenziare la pantomima da una persona che non riesce è solo una differenza di ordine morale, non sostanziale.
Siamo fatti di materia, e un po' tutto quel che decidiamo di fare dipende da questo stato sottostante, sia il tizio che è impossibilitato che il tizio che non vuole fare certe cose non le fanno perché non riescono, uno perché è impossibilitato, l'altro perché non vuole, ma anche il non volere è una sorta di impossibilità che diventa evidente e viene accettato solo quando ti etichettano come depresso, come se negli altri casi non fosse comunque vero che la forza volitiva è scarsa nei confronti di certe cose così come capita al depresso.
In realtà una persona desidererebbe stare bene, ma in concreto per arrivarci dovrebbe riuscire a fare una serie di cose, e se queste cose non le fa perché non vuole, o non vuole abbastanza (perché sgradevoli, perché non sopporta la frustrazione, perché non riesce ad essere costante anche su cose più semplici, perché ci sono pochi feedback iniziali) in concreto si può dire che c'è una sorta di conflitto.
In realtà se si tolgono certi ostacoli, la persona si vede che non è che non voleva in assoluto stare bene, perché poi magari non rifiuta certe cose, il problema è che c'è una sorta di conflitto allo stato dei fatti, e il blocco rimane.
Se io per stare bene dovessi, che so, ammazzare un parente stretto, potrei non volerlo fare, ma continuare a desiderare al contempo comunque a stare bene anche osservando che allo stato dei fatti attualmente l'unico modo per ottenere questo bene sarebbe ammazzare l'altro.
Uno alla Nerone ammazza la madre per diventare il capo ed eliminare un problema, un altro no, anche se potrebbe farlo. Uno poi si chiede, ma quell'altro non vorrebbe diventare il capo? Magari sì, ma è comunque più forte attualmente la resistenza ad ammazzare la madre.
Se le operazioni per stare bene diventano complicate da attuare, ed è complicato ripetere la stessa azione cento volte di seguito senza sbagliare rispetto al compierla una volta sola correttamente. Alcuni magari riescono, altri no.
Se uno fa delle cose e un altro no, dei motivi dovranno pur esserci, ma mi ha sempre convinto poco la spiegazione "non vogliono stare bene", se uno rifiutasse direttamente quel che si ottiene alla fine, anche dandoglielo gratuitamente e senza sforzi, dovrebbe rifiutarlo comunque, ma in concreto il più delle volte non succede questa cosa qua.
Faccio un altro esempio in relazione al suicidio. Secondo me se liberalizziamo l'uso delle armi, medicine letali e quant'altro e rendiamo facilissimo l'accesso a queste cose aumenterebbe il numero di suicidi.
Ma perché aumenterebbe?
Se prima le persone che volevano morire e non si buttavano di sotto non lo hanno fatto, dovrebbero continuare a non farlo anche con altri mezzi letali visto che non volevano anche prima, dato che la loro era una pantomima.
Se volevano davvero avrebbero vinto altre resistenze relative al continuare a stare nella loro comfort zone.
Mentre le cose poi in concreto non stanno così, queste spiegazioni sono farlocche e lo sono perché lo sanno tutti che un ostacolo o associare una cosa negativa ad un'azione da fare, per ottenere qualcosa che in genere si desidera ottenere, funziona da deterrente. Non fate mai andare i vigili in una certa zona del centro città, e le auto le si troveranno parcheggiate una sopra all'altra in quella zona, dopo la doppia e tripla fila si passerà a quella in verticale
.
La volontà non è una cosa diretta, del tipo uno vuole o non vuole fare qualcosa in assoluto, è condizionata dal contesto, da certi mezzi e da una miriade di altri fattori.
Anche una zanzara desidera succhiare il sangue, ma il deterrente causato dal cattivo odore (per lei) può funzionare in molti casi, e quindi poi cosa si dovrebbe concludere che le zanzare che non mangiano in queste situazioni non vogliono stare bene e nutrirsi?
Che non mangiano in questi casi perché vogliono stare nella loro comfort zone?
Sono solo giudizi morali anche questi, non spiegazioni.
Che poi comunque bisognerebbe definire lo star bene, e uno che vive con un blocco o con cose contrastanti interne bene non sta, non è che se poi ammazza la madre starà bene, sarà poi comunque divorato dai sensi di colpa rispetto ad un altro che non ha forte questa tendenza qua.
Io un sistema per vivere bene secondo i miei valori e quel che è importante per me non l'ho trovato e da solo non riesco a generarlo, al contempo non riesco a condividere i sistemi di valori di altri.
La spiegazione del mio blocco è questa qua. Se un ammalato non prende una medicina regolarmente, si dirà che la cura c'è ed è colpa dell'ammalato, ma qua mi sa che oltre al voler dare la colpa a qualcuno non è che ci si preoccupa di farlo star bene, se questo sistema di cura è davvero efficace perché poi l'ammalato muore?
Per colpa sua, e si chiude il discorso.
Mentre secondo me è comunque un discorso sbagliato perché un altro magari lo sa che la medicina quella persona non la assumerà regolarmente allo stato attuale dei fatti lasciando tutto così com'è.
Se la capacità collaborativa dell'ammalato è X, non si può pretendere un X+1 per la cura, questa cura che pretende una collaborazione dell'X+1 fallirà. Secondo me bisogna sempre assicurarsi che la collaborazione a seguire quel tipo di cura ci sia, altrimenti quella cura per quel tipo di ammalato è inutile, è una non cura.
Ad esempio se si curano le persone senza anestesia, è chiaro che la maggior parte non collaborerà nel ricevere delle cure tramite interventi chirurgici e cose simili. L'intervento in linea di principio si potrebbe svolgere lo stesso se una persona sopportasse il dolore senza muoversi o lamentarsi, ma l'efficacia effettiva di una cura è influenzata fortemente dall'abbattere i costi relativi alla collaborazione individuale che varia da individuo ad individuo.
Per questo per me le due cose dovrebbero andare insieme e non andrebbero separate come fanno attualmente.
Per misurare l'efficacia effettiva di una psicoterapia non dovrebbero prendere come casi fallimentari solo quelli che l'hanno seguita fino alla fine e non hanno ottenuto miglioramenti, ma anche quelli che l'hanno abbandonata prima.
Andrebbero testate così anche altri tipi di cure, così si riuscirebbe a misurare allo stesso tempo in parte quanta collaborazione richiedono. Questa non è una variabile ininfluente e trascurabile secondo me.
Sul campo una cura che richiede una forte collaborazione di un insieme di persone affette da una certa patologia che non sono molto collaboranti ma che risulta efficiace al 100%, potrebbe essere meno efficace effettivamente di un'altra cura che non funziona sempre ma abbatte i costi di questa collaborazione.
Soprattutto in ambito psicologico questa cosa dovrebbe diventare ancora più rilevante, invece si tende a ritenere questa cosa come ininfluente nel misurare l'efficacia della cura stessa.
Non dovrebbe essere considerata una variabile esterna e accidentale o irrilevante per misurare l'efficacia della cura secondo me in ogni caso.
Se una cura richiede molto impegno bisogna ritenere che questa cura potrebbe risultare meno efficace sul campo e in termini ambientali di un'altra che richiede meno sforzi da parte dei pazienti. Questa cosa è rilevante proprio per testare l'efficacia di una cura per me.
Una cura autogestita rispetto ad una dove c'è una persona che ti somministra la medicina, potrebbero diventare molto diverse in termini di efficacia effettiva a seconda della patologia. Cose del genere influenzano e possono influenzare l'esito, ma non si tratta di effetto placebo, questo è ancora un altro effetto che per loro è ininfluente.