Dopo aver tergiversato a lungo su me stessa, ho compreso di dover dare una scossa alla mia vita, ristagnata in questa timidezza patologica che all'oscuro di tutti mi fa soffrire inverosimilmente.
Al liceo non ho trascorso anni facili: evitavo di uscire, evitavo le feste, anche le gite. Non prendevo mai la parola, mi rannicchiavo al mio banco, nel mio silenzio e nei miei pensieri, e solo una cosa mi sforzavo di fare per sentirmi più "utile" a me stessa e gli altri: svanire. Mi consolavo a furia di leggere Merini, Baricco e Foscolo, pitturare Caravaggio ed ascoltare Allevi con la sua sconvolgente "Foglie di Beslan". Ero introversa e malinconica, e più la mia famiglia mi spronava a fare la vita dei miei coetanei finanche a costringermi, più io soffrivo e mi sentivo giudicata e inadeguata. E' stata per questa mia incapacità di gestire le relazioni sociali che ho scelto di lasciare il ragazzo che avevo trovato: mi sembrava invadente e possessivo.
Nei primi anni di liceo, veramente, la situazione non era così critica: provavo ad aprirmi, poi però provavo una vergogna più forte della forza che mi aveva spinto a farlo, per cui tornavo a richiudermi a riccio in me stessa. Il penultimo anno è stato veramente angosciante, mi sa che mi ero proprio depressa: l'unico desidero che mi compiaceva ogni mattina era quello di morire. Rimpiango solo il quinto anno: ero riuscita a prendere in mano la situazione, ad avere più fiducia in me stessa e quindi avevo meno fatica a relazionarmi; ho superato serenamente l'Esame di Maturità, dopodiché ho scelto un corso di laurea che mi permettesse di allontanarmi dalla mia famiglia per far sì di consolidare questo equilibrio. Ora è da novembre che frequento l'università lontana da casa e solo una cosa posso ammettere: ho fallito la mia missione. Sono precipitata al punto di partenza. Gli spettri della socio-fobia continuano a inseguirmi, e non ho più idea di come liberarmene. Se provo ad aprirmi, infatti, dopo provo vergogna, per cui torno di nuovo ad essere evitante. Riverso le mie frustrazioni sul cibo: mi si chiude lo stomaco e tocco a malapena qualcosa a pranzo. Ad abbattermi ancora un po' è pure la media, che non brilla come quella del liceo. Convivo con altre ragazze, so che fossi estroversa non patirei lo stress da cui mi sento opprimere.
Sono confusa su me stessa, non so chi sono; evito di relazionarmi per cui spendo la maggior parte del mio tempo da sola, o messaggiando al telefono con un caro amico che mostra comprensione essendo riuscito a superare la sua, di timidezza.
Ho paura del mondo degli adulti, così traboccante di responsabilità, ho paura delle relazioni sociali, soprattutto quelle con i miei coetanei, con cui mi pare di c'entrare ben poco. Mi sento solo un'inetta che non merita neanche l'ombra di ciò che ha.
Provo un forte vuoto che non so come colmare, un'insicurezza che mi trattiene e mi renda ridicola e impacciata, mi fa apparire ciò in cui non mi riconosco.
So che non mi fido degli altri perché non mi fido di me stessa; io mi sforzo di capire le cause della mia scarsa autostima e forse ne ho pure consapevolezza non avendo vissuto un passato "ordinario" di cui non riesco a parlare nemmeno con l'amico più intimo.
L'unica cosa che desidero è rompere questo guscio che mi tiene staccata dal mondo. Non ne posso più del mio silenzio e delle mie fobie!