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Vecchio 10-03-2008, 01:22   #21
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Originariamente inviata da bardamu
AUTOSTIMA. La base. Il dilemma che non riuscivo a chiarire. Ho sempre dichiarato di non avere una bassa autostima, di avere una buonissima opinione di me e di avere fiducia nelle mie capacità, la storia del pavone ecc. Eppure finisco sempre con lo scontrarmi col limite della paura di esporre queste capacità e questa mia percezione di me stesso e a non tradurre in azione queste convinzioni che ho dentro. Se mi reputo una bellissima persona, piena di qualità e lati che penso possano piacere agli altri, perché non li tiro fuori?
La domanda è chiara, anche se, avendola posta in modo informale, non capisco se tieni conto di alcuni dettagli che poi ti dirò.
Stai analizzando l’eziologia di una risposta del tuo organismo a una classe di stimoli, e hai fatto questa congettura.
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Originariamente inviata da bardamu
Inizialmente pensavo fosse una questione di paura di non venire accettati, ma questo cozza con l'autostima e anche con le esperienze che ho avuto quando ho provato a lasciarmi andare.
Già! Anche a me questa osservazione mi ha fatto scartare l’ipotesi che l’ansia fosse causata dalla paura di non essere accettati. Andiamo avanti…
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Originariamente inviata da bardamu
Ho capito che la mia non è semplicemente paura del rifiuto, ma paura di venire deluso dalle persone verso cui mi lascio andare.
Paura di affidare me stesso, senza difese, ad un'altra persona e di venire tradito e fatto a pezzi. Per ovviare a questo ho sempre inconsciamente creato una maschera che mi nascondesse e fungesse da pupazzo dei crash test per gli altri. Una maschera di rabbia generica, indifferenza, sicurezza e autosufficienza alla quale probabilmente in molti non hanno mai creduto. Se fossi stato deluso dall'altro, in realtà quello che si era esposto non ero io, era la maschera.
Sei stato chiaro: in pratica il tuo linguaggio del corpo produceva l’enunciato A la cui interpretazione formale è “bardami è sicuro, indifferente, arrabbiato, autosufficiente, etc…”, inoltre questi enunciati erano falsi, ma il tuo simbolo del se’ non ne era cosciente (non aveva godelizzato quel particolare livello di interpretazione di quegli enunciati la cui interpretazione fosse “l’enunciato A è falso”, così lo spacciava per vero e non ti dava una conoscenza abbastanza completa di te stesso).
Sebbene io quel genere di enunciati come l’enunciato A (in parole povere, la maschera che hai descritto) non lo usi più da tempo, per motivi che poi ti spiegherò, capisco il meccanismo che hai descritto in cui incappavi.
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Originariamente inviata da bardamu
Questo spiega il fatto che leghi più facilmente con le ragazze che coi ragazzi: il fatto che l'altra persona appartenga ad un mondo intrinsecamente diverso dal mio, fa si che la colpa per un'eventuale insuccesso del rapporto possa essere spostata sulla diversità di fondo e sulla differenza di linguaggio e di pensiero fra uomini e donne.
Questo alibi non funzionerebbe nel mio sistema S-O-R, anzi, un’incomunicabilità dovuta al rifiuto di uscire da sistemi di pensiero diversi dal proprio naturale mi innervosirebbe di più, perché lo percepirei come uno sciovinismo del proprio sistema S-O-R. Non so se hai mai riflettuto su questo fatto.
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Originariamente inviata da bardamu
Venire delusi da qualcuno che in teoria dovrebbe essere più simile a te, come qualcuno del tuo stesso sesso, ti investe molto di più sul piano personale. La scommessa è maggiore. Quindi in definitiva, cos'è mai questa autostima che possiedo? E' realmente divisa, sdoppiata, schizofrenica in maniera tale da farmi credere di accettarmi quando in realtà non è così? La risposta sta nell'essenza del rapporto con gli altri...
La domanda intanto te la ponevi male, perché consideravi l’autostima come una proprietà legata al simbolo del se’, mentre in realtà l’autostima è legata a diversi livelli del proprio sistema S-O-R, molti dei quali possono essere inconsci, quindi non è paradossale che uno che abbia un giudizio di valore positivo su di se’ (leggasi, sul simbolo del se’) non abbia sicurezza in certi contesti.
Comunque, questa tua svista non è importante, perché tanto te ne sei accorto successivamente, da come continui.
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Originariamente inviata da bardamu
PARTI DI SE'. A lungo ho creduto di conoscere perfettamente me stesso, di poter risolvere tutto con la sola forza della ragione e di poter migliorare me stesso esclusivamente tramite l'autoperfezionamento.
Se credevi di conoscere perfettamente te stesso (leggasi: il sistema S-O-R-Bardamu) non stavi usando la ragione, dato che la ragione dimostra (teorema di Godel) che un sistema formale non può dimostrare tutte le proprietà della realtà che esprime (questo, applicato al sistema formale della Percezione di Bardami, significa che bardami non può conoscere se’ stesso completamente attraverso la percezione, quindi neanche attraverso la ragione, che è una particolare applicazione della percezione).
Che tu ne sia cosciente o meno, la ragione la applichi ogni volta che fai un’analisi, quindi sbagli a vederci un ostacolo per il tuo miglioramento.
Se mai, l’ostacolo per il miglioramento può essere un’applicazione sbagliata o inopportuna della ragione, ad esempio la funzione “godelizzazione” applicata in modo maniacale, o la trascendenza meta-linguistica per avere un contatto indiretto con la realtà, ma se vuoi far credere a te stesso o a me che non stai usando la ragione per farti la psico-analisi io almeno sarei scettico.
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Originariamente inviata da bardamu
Credevo in pratica che gli altri fossero in parte un banco di prova per me stesso e per il resto i rapporti fossero un mutuo scambio di affetto, bene e tutto quello che veniva. Poi ho capito che in realtà gli altri ci fanno conoscere parti di noi che da soli non riusciremmo mai a scoprire e che queste parti sono grandi e per niente marginali.
Sono d’accordo, e ricordo che è la ragione stessa a portare questo arricchimento.
Qualunque fenomeno scateni in noi degli stimoli ci aiuta a conoscere meglio noi stessi, perché gli stimoli causatici dagli altri vengono godelizzati e elaborati dal nostro simbolo del se’, fornendogli nuovi dati per poter analizzare il proprio sistema cognitivo.
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Originariamente inviata da bardamu
Noi abbiamo bisogno degli altri non solo per ricevere o dare cose, o per colmare dei presunti vuoti affettivi, ma soprattutto per conoscere noi stessi e ciò che siamo veramente.
Non bisognerebbe dimenticare che questo discorso è simmetrico: la modestia e l’umiltà, in questo caso, sono fuorvianti.
Come gli altri ci forniscono stimoli per la nostra maturazione, così gli altri, attraverso di noi, si arricchiscono, quindi non abbiamo solo l’impegno etico di “decodificare” gli stimoli prodotti dagli altri, ma anche di far decodificare agli altri i nostri, almeno questa è la mia etica.
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Originariamente inviata da bardamu
E qui mi si è svelato l'arcano: io amo la parte di me che conosco, che è quella alla quale riesco a giungere solo con la forza della mia mente e con le poche esperienze che ho avuto nella vita. Di tutto il resto non so nulla, potrei arrivare a conoscere parti di me che non mi piacciono, alcuni lati li sto scoprendo ora, pian piano, e devo ancora elaborarli. L'autostima è basata sulla conoscenza di sé stessi e quella che ho io è semplicemente incompleta. Scoprire parti di me difficili da accettare è la sfida successiva...
Questo è quello a cui sono giunto con la logica, a differenza tua, però, non ho paura di scoprire parti di me che non accetto. Se faccio resistenza a cambiare posizione su un argomento, è solo perché ci sono dei passaggi che non mi tornano che nessuno riesce a chiarire: è per questo che non mi sento un presuntuoso quando mi impunto su qualcosa: la mia impuntatura è fondata su precisi passaggi logici, di conseguenza nessuno, neanche Dio, e neanche la mia coscienza, potrebbe farmi sentire un presuntuoso.
E’ chiaro perché parlo di presunzione? Perché la paura di scoprire parti di se’ che non si accettano può essere legata alla spiacevole sensazione di essere presuntuosi, io non ho questa sensazione, sebbene gli altri spesso me la proiettano addosso.


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Originariamente inviata da bardamu



INSICUREZZA. in + sed + cura => non senza preoccupazione (di sé). Ma la cura può essere intesa anche, come avviene in molti dialetti, come una preoccupazione positiva, un'OSSERVAZIONE di sé stessi ("Ti curo" in certe zone d'Italia significa "Ti osservo, ti tengo d'occhio"). In questo senso l'insicurezza è desiderio di conoscersi e paura di scoprire parti di noi anche sgradevoli. Il grande passo è l'accettazione della propria umanità, l'approccio quasi "buddista" di rinuncia, non ai bisogni in generale, ma al bisogno di essere perfetti.
C’è un problema: io la mia insicurezza l’accetto, ma voglio che sia accettata anche dagli altri, e mi do’ da fare perché non venga privato di dignità sociale dagli altri a causa dell’ansia: rinunciare a questo impegno significherebbe permettere agli altri di diffondere un ERRORE, un’INGIUSTIZIA (e in me la pulsione della giustizia è piuttosto forte: la percezione dell’ingiustizia infatti attiva pulsioni distruttive come vendetta e rabbia).
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Originariamente inviata da bardamu
Siamo ciò che siamo, parti brutte comprese, rifiutare gli altri significa non voler conoscere queste nostre parti e non accettare il confronto con esse. Non temiamo il giudizio degli altri, il loro pensiero su di noi, abbiamo invece paura che gli altri ci facciano scoprire parti di noi che inficino il giudizio che noi abbiamo di noi stessi.
Questo è un bel modo per proiettare gli errori degli altri in noi stessi.
Gli altri sono una parte di noi stessi? Bene: allora io combatto quella parte di me stesso, il risultato non cambia. Gli altri potrebbero essere anche una proiezione di me stesso in un ipotetico spazio vettoriale della coscienza… sempre persone che sbagliano sono: da correggere.
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Originariamente inviata da bardamu
Il focus ritorna sempre sull'accettazione di noi stessi e dei nostri limiti. Questo limitare la conoscenza di me stesso alla parte che la mia ragione è in grado di scandagliare ha fatto si che la valutazione dei miei comportamenti verso gli altri, soprattutto in questo periodo, venisse falsata...
Aridaje con questa ragione, la percezione è isomorfa alla ragione, quindi se mai l’errore non era usare la ragione, ma adottare un modello distorto della realtà.
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Originariamente inviata da bardamu
COMUNICAZIONE. In questo periodo mi rendo conto che il modo che utilizzo per trasmettere agli altri ciò che ho dentro, i miei sentimenti, i miei pensieri e le mie emozioni, è inefficace. Come se non conoscessi il linguaggio per esprimerle. Mi è capitato più volte di compiere gesti che pensavo esprimessero appieno il calore che volevo trasmettere e che dall'altra parte venissero recepiti invece come freddi, rigidi e non sinceri. Confondo il voltaggio interno che percepisco nell'esprimere l'affetto, dato dalla novità e mancanza di desensibilizzazione per queste cose, con la portata affettiva del gesto in sé. Le persone verso cui compio quei gesti non vivono queste cose col senso e l'eccitazione della novità, come faccio io, e quindi percepiscono solo il gesto in sé, e non l'emozione che io vivo nel trasmetterlo e nel sentire in me il cambiamento. E' difficile trovare persone che si fidino sulla parola dell'affetto che hai dentro, quando ciò che trasmetti è il contrario, ma purtroppo è l'unica possibilità di imparare, di desensibilizzarsi e di acquisire il linguaggio necessario.
E’ qui che si sbaglia: NON DEVE ESISTERE un linguaggio necessario!
Se intendi dire che staresti più a tuo agio se usassi quel linguaggio standard allora sono d’accordo, ma ti assicuro che gran parte di quel disagio è causato dallo sciovinismo del linguaggio standard meta-verbale.
Dobbiamo fare in modo che le persone prendano coscienza del linguaggio meta-verbale per non esserne succubi, e finchè ci autopuniremo dicendo che siamo NOI a sbagliare perché non abbiamo il linguaggio standard, gli daremo solo l’alibi per diffondere questa regola.
E’ come se ti mancasse il linguaggio necessario… e allora? Dove sta scritto che bisogna avere il linguaggio necessario?

Ricordo le risposte che mi davano quando dissi che, in una situazione ansiogena, io non mi facevo problemi a dire “il mio cervello non ha appreso i comportamenti socialmente normali, ma non per questo dovete pensare che io sia strano”: mi hanno risposto tutti dicendo che, in questo modo, sarei stato preso per pazzo sempre, e avrei complicato la mia situazione… lo vedi quanto è ipocrita l’essere umano? Quanto peso da’ all’apparenza? Quando invece sappiamo benissimo che l’arbitrarietà della semiotica dei linguaggi rende non necessario un linguaggio standard.
E noi che abbiamo questa consapevolezza, invece di correggere la società che facciamo? Correggiamo noi stessi?
Questa non è la mia etica.
In questo aspetto non sento nessuna appartenenza (leggasi affinità) con il genere umano.

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Originariamente inviata da bardamu

Imparare l'alfabeto che permette di esprimere il vero sé, che funge come porta non solo per conoscere l'altro, ma per stabilirci veramente un contatto profondo. E' solo provando che si acquisiscono gli strumenti necessari per riuscire...
Vedi, se io imparassi questo alfabeto, lo userei per poi dissacrarlo e dimostrare a chi lo impone, finalmente con il loro linguaggio così lo capiscono, quanto è discriminante: esatto, gli metto sotto gli occhi la discriminazione di cui è complice e non uso termini più leggeri.
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Originariamente inviata da bardamu

ESPERIENZA. Alla luce di tutto questo l'esperienza assume un significato diverso, non più solo spinta a vivere e a crearsi un bagaglio per sentirsi adatti e normali nel confronto con gli altri, ma unico strumento per conoscere sé stessi a un livello più profondo. E' quasi il contrario: l'esperienza non è più uno strumento per aumentare la propria autostima in proporzione al numero di cose fatte, di amici o di ragazze che si hanno, ma uno strumento per minarla, far risaltare la sua parzialità e metterla sotto processo, renderla più completa, obiettiva e in definitiva vera.

Conoscere sé stessi è l'unico modo per vivere davvero.
Non sono d’accordo che l’analisi di se’ stessi debba implicare uno scetticismo verso la propria autostima, la modestia serve per non creare attrito con gli altri, ma applicata a se’ stessi non sempre ha utilità, anzi può essere fuorviante.
Vecchio 10-03-2008, 13:26   #22
Avanzato
 

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
Questo spiega il fatto che leghi più facilmente con le ragazze che coi ragazzi: il fatto che l'altra persona appartenga ad un mondo intrinsecamente diverso dal mio, fa si che la colpa per un'eventuale insuccesso del rapporto possa essere spostata sulla diversità di fondo e sulla differenza di linguaggio e di pensiero fra uomini e donne.
Questo alibi non funzionerebbe nel mio sistema S-O-R, anzi, un’incomunicabilità dovuta al rifiuto di uscire da sistemi di pensiero diversi dal proprio naturale mi innervosirebbe di più, perché lo percepirei come uno sciovinismo del proprio sistema S-O-R. Non so se hai mai riflettuto su questo fatto.
Si ma la difficoltà di comunicazione è sicuramente direttamente proporzionale alla lontananza degli schemi mentali dei comunicanti e il mio cervello generalizza (erroneamente ovviamente), amplificando la diversità culturale e biologica fino a farla diventare incompatibilità mentale. Anche a me da fastidio questa generalizzazione, lo sciovinismo è generalizzazione, è credere che la propria nazione sia meglio delle altre per il solo fatto di esservi nati, diceva qualcuno. Sono tutti meccanismi inconsci di autodifesa, slegati dai valori morali, ancora devo finire di smontarli. Su questo hai ragione, ci sto arrivando anch’io.

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
PARTI DI SE'. A lungo ho creduto di conoscere perfettamente me stesso, di poter risolvere tutto con la sola forza della ragione e di poter migliorare me stesso esclusivamente tramite l'autoperfezionamento.
Se credevi di conoscere perfettamente te stesso (leggasi: il sistema S-O-R-Bardamu) non stavi usando la ragione, dato che la ragione dimostra (teorema di Godel) che un sistema formale non può dimostrare tutte le proprietà della realtà che esprime (questo, applicato al sistema formale della Percezione di Bardami, significa che bardami non può conoscere se’ stesso completamente attraverso la percezione, quindi neanche attraverso la ragione, che è una particolare applicazione della percezione). Che tu ne sia cosciente o meno, la ragione la applichi ogni volta che fai un’analisi, quindi sbagli a vederci un ostacolo per il tuo miglioramento. Se mai, l’ostacolo per il miglioramento può essere un’applicazione sbagliata o inopportuna della ragione, ad esempio la funzione “godelizzazione" applicata in modo maniacale, o la trascendenza meta-linguistica per avere un contatto indiretto con la realtà, ma se vuoi far credere a te stesso o a me che non stai usando la ragione per farti la psico-analisi io almeno sarei scettico.
Per come l’hai posta tu è corretta, ma non sono d’accordo sull’analogia che fai fra un individuo e un sistema formale completo. Trovo limitativo ridurre l’essere umano a quest’unico livello e sono fermamente convinto (fideisticamente, in una maniera che la ragione non può spiegare) che esistano diversi livelli totalmente irrazionali che comunicano con la parte razionale e con le parti irrazionali e razionali degli altri individui. Tali parti poi non sono nemmeno separate nettamente, credo che la razionalità sfumi lungo un continuum nell’irrazionalità (che è semplicemente altro dal razionale, non vuol dire che si definisce esclusivamente in negativo rispetto alla ragione). La ragione per me non avrà mai il controllo completo su tutto (e nemmeno per te forse) ma nemmeno la conoscenza totale, neanche fra duemila anni, nemmeno mappando ogni singolo gene o neurone. La ragione è il pilota, ma altre cose influiscono sulla guida. Non sto parlando di anima o di dio, quelli sono tentativi di razionalizzare l’irrazionalizzabile. Mi chiederai come faccio ad esserne sicuro. Non lo so e non potrò mai saperlo, spiegare la fede è impossibile, so solo che tale “intuizione" (perché è al di là del pensiero e non soggetta alle leggi della ragione) riesce a non fare a pugni con la mia parte razionale, perché ho insegnato alla mia ragione ad accettare il proprio limite di campo, a contenerla nei suoi confini. E’ una cosa che riesco a vivere mantenendo una coerenza interna, e mi da una grandissima forza.

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
Noi abbiamo bisogno degli altri non solo per ricevere o dare cose, o per colmare dei presunti vuoti affettivi, ma soprattutto per conoscere noi stessi e ciò che siamo veramente.
Non bisognerebbe dimenticare che questo discorso è simmetrico: la modestia e l’umiltà, in questo caso, sono fuorvianti.
Come gli altri ci forniscono stimoli per la nostra maturazione, così gli altri, attraverso di noi, si arricchiscono, quindi non abbiamo solo l’impegno etico di “decodificare" gli stimoli prodotti dagli altri, ma anche di far decodificare agli altri i nostri, almeno questa è la mia etica.
Abbiamo l’impegno etico di creare ponti e punti di contatto intermedi, non necessariamente di decodificare e far decodificare completamente i vari stimoli. In questo senso la vita è un’accettazione continua di compromessi, quantità (certa) in cambio di qualità (incerta), per il semplice fatto che a un certo punto bisogna mettere sul piatto della bilancia da una parte la nostra finitezza e mortalità e dall’altra ciò che vogliamo ottenere dalla vita. Questo secondo me è la fonte dei tuoi blocchi. Assumi ogni individuo come un’isola a sé stante e ricerchi in esso (compreso te stesso) l’igiene mentale atta a poter decodificare il sé o l’altro, per permettere una sorta di identificazione totale priva di fraintendimenti. E’ un’impresa titanica, che non vale la vita stessa. Tu vivi in nome di questo ideale di verità inconoscibile, che cerchi di approssimare, e perdi di vista la tua finitezza, la miseria tragica in cui è immerso l’uomo, che la verità non la raggiunge mai e sempre crede di averla. Per me la verità è totalmente sottomessa a ciò che io voglio dalla vita: felicità per me e per coloro per i quali provo sentimenti positivi (e in senso lato per il mondo), tutto il resto non ha valore. La verità ordina, aiuta, ma è un mezzo, non un fine. Tu non riesci a sacrificare nemmeno una briciola di verità, perché per te è il fine ultimo e per essa sacrifichi la tua felicità e quella di chi ti sta accanto.

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
E qui mi si è svelato l'arcano: io amo la parte di me che conosco, che è quella alla quale riesco a giungere solo con la forza della mia mente e con le poche esperienze che ho avuto nella vita. Di tutto il resto non so nulla, potrei arrivare a conoscere parti di me che non mi piacciono, alcuni lati li sto scoprendo ora, pian piano, e devo ancora elaborarli. L'autostima è basata sulla conoscenza di sé stessi e quella che ho io è semplicemente incompleta. Scoprire parti di me difficili da accettare è la sfida successiva...
Questo è quello a cui sono giunto con la logica, a differenza tua, però, non ho paura di scoprire parti di me che non accetto. Se faccio resistenza a cambiare posizione su un argomento, è solo perché ci sono dei passaggi che non mi tornano che nessuno riesce a chiarire: è per questo che non mi sento un presuntuoso quando mi impunto su qualcosa: la mia impuntatura è fondata su precisi passaggi logici, di conseguenza nessuno, neanche Dio, e neanche la mia coscienza, potrebbe farmi sentire un presuntuoso.
E’ chiaro perché parlo di presunzione? Perché la paura di scoprire parti di se’ che non si accettano può essere legata alla spiacevole sensazione di essere presuntuosi, io non ho questa sensazione, sebbene gli altri spesso me la proiettano addosso.
No, io ho paura di conoscere parti di me che avrei difficoltà ad accettare (ma per l’evoluzione che sto avendo ora questa paura si sta rimpicciolendo) perché temo che siano portatrici di sofferenza, di ulteriore autoanalisi che toglie tempo alla ricerca della felicità, non perché ho paura di presumere troppo su me stesso. Non presumo niente, semplicemente mi sono in parte ignoto, e ovviamente ho delle speranze. E’ sempre alla mortalità e alla felicità che guardo.

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
INSICUREZZA. in + sed + cura => non senza preoccupazione (di sé). Ma la cura può essere intesa anche, come avviene in molti dialetti, come una preoccupazione positiva, un'OSSERVAZIONE di sé stessi ("Ti curo" in certe zone d'Italia significa "Ti osservo, ti tengo d'occhio"). In questo senso l'insicurezza è desiderio di conoscersi e paura di scoprire parti di noi anche sgradevoli. Il grande passo è l'accettazione della propria umanità, l'approccio quasi "buddista" di rinuncia, non ai bisogni in generale, ma al bisogno di essere perfetti.
C’è un problema: io la mia insicurezza l’accetto, ma voglio che sia accettata anche dagli altri, e mi do’ da fare perché non venga privato di dignità sociale dagli altri a causa dell’ansia: rinunciare a questo impegno significherebbe permettere agli altri di diffondere un ERRORE, un’INGIUSTIZIA (e in me la pulsione della giustizia è piuttosto forte: la percezione dell’ingiustizia infatti attiva pulsioni distruttive come vendetta e rabbia).
Vedi? Diffondere l’ERRORE per te è il peccato più grande che si possa commettere, e l’INGIUSTIZIA altro non è se non un errore applicato ad un individuo. Tu preferisci vivere una vita vera e infelice piuttosto che una parzialmente vera e felice, e così per gli altri. Sacrifichi la felicità altrui e la tua in nome della verità.

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
Siamo ciò che siamo, parti brutte comprese, rifiutare gli altri significa non voler conoscere queste nostre parti e non accettare il confronto con esse. Non temiamo il giudizio degli altri, il loro pensiero su di noi, abbiamo invece paura che gli altri ci facciano scoprire parti di noi che inficino il giudizio che noi abbiamo di noi stessi.
Questo è un bel modo per proiettare gli errori degli altri in noi stessi.
Gli altri sono una parte di noi stessi? Bene: allora io combatto quella parte di me stesso, il risultato non cambia. Gli altri potrebbero essere anche una proiezione di me stesso in un ipotetico spazio vettoriale della coscienza… sempre persone che sbagliano sono: da correggere.
Sempre per il discorso di prima, sacrifichi la possibilità di incontrarsi a metà strada, in uno spazio di verità parziale, in nome della verità assoluta.

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
Il focus ritorna sempre sull'accettazione di noi stessi e dei nostri limiti. Questo limitare la conoscenza di me stesso alla parte che la mia ragione è in grado di scandagliare ha fatto si che la valutazione dei miei comportamenti verso gli altri, soprattutto in questo periodo, venisse falsata...
Aridaje con questa ragione, la percezione è isomorfa alla ragione, quindi se mai l’errore non era usare la ragione, ma adottare un modello distorto della realtà.
Come prima, per me la ragione è solo un livello dell’individuo, la percezione è condizionata dall’intera persona, se non dal mondo intero (panteisticamente).

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da bardamu
COMUNICAZIONE. In questo periodo mi rendo conto che il modo che utilizzo per trasmettere agli altri ciò che ho dentro, i miei sentimenti, i miei pensieri e le mie emozioni, è inefficace. Come se non conoscessi il linguaggio per esprimerle. Mi è capitato più volte di compiere gesti che pensavo esprimessero appieno il calore che volevo trasmettere e che dall'altra parte venissero recepiti invece come freddi, rigidi e non sinceri. Confondo il voltaggio interno che percepisco nell'esprimere l'affetto, dato dalla novità e mancanza di desensibilizzazione per queste cose, con la portata affettiva del gesto in sé. Le persone verso cui compio quei gesti non vivono queste cose col senso e l'eccitazione della novità, come faccio io, e quindi percepiscono solo il gesto in sé, e non l'emozione che io vivo nel trasmetterlo e nel sentire in me il cambiamento. E' difficile trovare persone che si fidino sulla parola dell'affetto che hai dentro, quando ciò che trasmetti è il contrario, ma purtroppo è l'unica possibilità di imparare, di desensibilizzarsi e di acquisire il linguaggio necessario.
E’ qui che si sbaglia: NON DEVE ESISTERE un linguaggio necessario!
Se intendi dire che staresti più a tuo agio se usassi quel linguaggio standard allora sono d’accordo, ma ti assicuro che gran parte di quel disagio è causato dallo sciovinismo del linguaggio standard meta-verbale.
Dobbiamo fare in modo che le persone prendano coscienza del linguaggio meta-verbale per non esserne succubi, e finchè ci autopuniremo dicendo che siamo NOI a sbagliare perché non abbiamo il linguaggio standard, gli daremo solo l’alibi per diffondere questa regola.
E’ come se ti mancasse il linguaggio necessario… e allora? Dove sta scritto che bisogna avere il linguaggio necessario?

Ricordo le risposte che mi davano quando dissi che, in una situazione ansiogena, io non mi facevo problemi a dire “il mio cervello non ha appreso i comportamenti socialmente normali, ma non per questo dovete pensare che io sia strano": mi hanno risposto tutti dicendo che, in questo modo, sarei stato preso per pazzo sempre, e avrei complicato la mia situazione… lo vedi quanto è ipocrita l’essere umano? Quanto peso da’ all’apparenza? Quando invece sappiamo benissimo che l’arbitrarietà della semiotica dei linguaggi rende non necessario un linguaggio standard.
E noi che abbiamo questa consapevolezza, invece di correggere la società che facciamo? Correggiamo noi stessi?
Questa non è la mia etica.
In questo aspetto non sento nessuna appartenenza (leggasi affinità) con il genere umano.

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Originariamente inviata da bardamu
Imparare l'alfabeto che permette di esprimere il vero sé, che funge come porta non solo per conoscere l'altro, ma per stabilirci veramente un contatto profondo. E' solo provando che si acquisiscono gli strumenti necessari per riuscire...
Vedi, se io imparassi questo alfabeto, lo userei per poi dissacrarlo e dimostrare a chi lo impone, finalmente con il loro linguaggio così lo capiscono, quanto è discriminante: esatto, gli metto sotto gli occhi la discriminazione di cui è complice e non uso termini più leggeri.
Detto sopra, per me il linguaggio non coincide con la verità, quindi non è limitato all’immedesimazione totale nell’altro. Vedo il linguaggio nei confronti dell’altro unicamente come un mezzo di contatto (quasi sempre molto limitato e rozzo), anche qui tu non ti accontenti di un linguaggio standard (quindi secondo la tua ottica parzialmente falso) e ricerchi un linguaggio che sia totalmente vero. Sacrifichi la felicità per la verità, ancora una volta, ma in questo caso limiti anche la possibilità di avvicinarti a questa verità, perché non potrai mai obbligare gli altri ad accettare esclusivamente il tuo linguaggio, specialmente coloro a cui non piaci, e facendo così rinunci alla verità che puoi ottenere da queste persone. Mi piacerebbe sapere come concilii questo rigore linguistico coi tuoi sentimenti quando ti trovi di fronte a persone di cui t’importa.

Ma tu sei realmente convinto di riuscire ad essere felice in questo modo? O semplicemente non ti interessa esserlo? Non sono ironico, semplicemente mi viene il dubbio su quanta importanza abbia la felicità personale per te. E’ chiaro che tu identifichi in maniera totale la verità con la felicità, quindi desideri essere felice, mi rispondo da solo, ma mi domando cosa ti abbia portato nella tua vita a fare questa identificazione. All’inizio pensavo fosse un meccanismo più o meno conscio di difesa, ora mi rendo conto che la tua è una scelta ben precisa e cosciente, che ha comunque come effetto collaterale quello di difenderti.

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Originariamente inviata da HurryUp
Non sono d’accordo che l’analisi di se’ stessi debba implicare uno scetticismo verso la propria autostima, la modestia serve per non creare attrito con gli altri, ma applicata a se’ stessi non sempre ha utilità, anzi può essere fuorviante.
Non è modestia, è autocritica, senza valore morale. Lo scettico è colui che critica la verità riconosciuta, non sei tu il propugnatore del metodo scientifico? Io critico la stessa critica, critico il valore della verità usando i suoi stessi mezzi…godelianamente cerco di dimostrarne l’incompletezza dall’interno.

All’inizio volevo provare a litigare con te senza risponderti a tono, per cercare di capire come sei a tutto tondo e vedere un po’ il tuo istinto, ma forse è meglio così, per la mia parte razionale sei comunque una persona molto stimolante e preferisco non rinunciare a questo per il momento.
Vecchio 10-03-2008, 14:11   #23
Intermedio
L'avatar di _88_ThE_BeSt_88_
 

siete triviali
Vecchio 10-03-2008, 21:49   #24
Esperto
L'avatar di HurryUp
 

Quote:
Originariamente inviata da bardamu2
Per come l’hai posta tu è corretta, ma non sono d’accordo sull’analogia che fai fra un individuo e un sistema formale completo.
Non so se sia limitativo o meno, comunque io non ho paragonato l'individuo (la sua essenza) a un sistema formale, ma la sua percezione.
In pratica, l'individuo "è" la realtà matematica, la sua percezione "è" il sistema formale che non riesce a rappresentarla in modo completo.
O forse tu pensi che anche la stessa percezione non sia un sistema formale?
Quote:
Originariamente inviata da bardamu2
Trovo limitativo ridurre l’essere umano a quest’unico livello e sono fermamente convinto (fideisticamente, in una maniera che la ragione non può spiegare) che esistano diversi livelli totalmente irrazionali che comunicano con la parte razionale e con le parti irrazionali e razionali degli altri individui. Tali parti poi non sono nemmeno separate nettamente, credo che la razionalità sfumi lungo un continuum nell’irrazionalità (che è semplicemente altro dal razionale, non vuol dire che si definisce esclusivamente in negativo rispetto alla ragione).
Se per irrazionalità intendi tutto ciò che la ragione non può dimostrare, sono d'accordo.
Il teorema di godel non dice che non esiste una logica oltre l'autoreferenzialità, dice solo che non si può uscire da un sistema autoreferenziale.
L'ipotesi che si possa uscire è la trascendenza, che deve essere postulata (tu gli stai dando il nome di "senso di irrazionalità"), ottenendo un nuovo sistema rappresentazionale con il nuovo postulato della trascendenza.
Ma essendo questo sistema formalizzabile, posso riottenere la formula G di Godel e mi ritrovo ancora ingabbiato in una logica autoreferenziale, allora aggiungo il postulato della meta-trascendenza.
Percezione+trascendenza+meta-trascendenza= nuovo sistema rappresentazionale più completo... lo posso godelizzare? sì, allora è ancora incompleto. Dove sta questo senso dell'irrazionalità? Questo senso dell'irrazionalità non sarà, più che altro, un prodotto della pulsione psichica di voler trascendere una logica autoreferenziale dal suo interno? Questa pulsione è utile, perchè, fin quando non abbiamo preso coscienza dei teoremi di limitazione, la sua assenza rischierebbe di far cadere nel positivismo e nei suoi errori: era necessario all'uomo avere la pulsione di poter trascendere l'autoreferenza, perchè altrimenti avrebbe divinizzato la ragione e si sarebbe illuso di avere la verità.
Ma una volta che l'uomo, con la logica, arriva a dimostrare l'incompletezza della sua logica, non ha più bisogno di alimentare quella pulsione irrazionale, non rischia più di cadere nell'errore della presunzione, anzi, quella pulsione rischia di fargli commettere azioni sbagliate, diffondere memi sbagliati, etc...
Io non penso che l'essenza dell'uomo sia un sistema formale, penso solo che le mie categorie mentali siano teoremi di un sistema formale che è la percezione, quindi non posso andare oltre questo limite, non posso conoscere la mia essenza fin tanto che la mia coscienza si manifesterà come processo formale percezioni.

Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Abbiamo l’impegno etico di creare ponti e punti di contatto intermedi, non necessariamente di decodificare e far decodificare completamente i vari stimoli. In questo senso la vita è un’accettazione continua di compromessi, quantità (certa) in cambio di qualità (incerta), per il semplice fatto che a un certo punto bisogna mettere sul piatto della bilancia da una parte la nostra finitezza e mortalità e dall’altra ciò che vogliamo ottenere dalla vita.
Esatto, mettere sul piatto della bilancia. Il linguaggio extra-verbale dei socialfobici non viene accettato, perchè non c'è la volontà di conoscerlo, e sai perchè? Proprio a causa di quella pulsione irrazionale che ci fa abbandonare alla nostra emozionalità intuitiva, che fa sì che la gente, quando vuole divertirsi, non trova stimoli a interagire con noi.
Io questa dinamica la vedo e in questo punto non sono io a dover scendere a un compromesso: il mio sacrificio è già imposto da quella dinamica sociale. Il compromesso lo deve accettare l'altro.
Quote:
Originariamente inviata da bardamu
La verità ordina, aiuta, ma è un mezzo, non un fine. Tu non riesci a sacrificare nemmeno una briciola di verità, perché per te è il fine ultimo e per essa sacrifichi la tua felicità e quella di chi ti sta accanto.
Sì, in me è forte la pulsione di cercare la verità, quella che posso e devo raggiungere. Per me è un po' un mezzo e un po' un fine.

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Originariamente inviata da bardamu
Vedi? Diffondere l’ERRORE per te è il peccato più grande che si possa commettere, e l’INGIUSTIZIA altro non è se non un errore applicato ad un individuo. Tu preferisci vivere una vita vera e infelice piuttosto che una parzialmente vera e felice, e così per gli altri. Sacrifichi la felicità altrui e la tua in nome della verità.
Teoria dei giochi e dinamiche dominanti. Se ti invitano a giocare a una partita di scacchi in cui tu hai in partenza meno pedine dell'avversario, hai due possibilità: cercare di vincere con quelle pedine (la felicità), oppure convincere l'avversario a sacrificare alcune sue pedine, per rendere il gioco più giusto e non penalizzante.
Io seguo la seconda strada, perchè non mi piacciono i giochi scorretti... la vittoria di un gioco scorretto non ha sapore, la sento come una falsa vittoria (falsa felicità).

Quote:
Originariamente inviata da Bardamu
Detto sopra, per me il linguaggio non coincide con la verità, quindi non è limitato all’immedesimazione totale nell’altro. Vedo il linguaggio nei confronti dell’altro unicamente come un mezzo di contatto (quasi sempre molto limitato e rozzo), anche qui tu non ti accontenti di un linguaggio standard (quindi secondo la tua ottica parzialmente falso) e ricerchi un linguaggio che sia totalmente vero.
No, è qui che ti sbagli: io sono per i linguaggi informali, limitati e rozzi, flessibili, sono gli altri a imporre un linguaggio standard, io sono quello che vorrebbe aprire la mente alla comunicazioni con linguaggi strani come quelli del sociofobico, non quello che vuole penalizzarli.
Quote:
Originariamente inviata da Bardamu
Sacrifichi la felicità per la verità, ancora una volta, ma in questo caso limiti anche la possibilità di avvicinarti a questa verità, perché non potrai mai obbligare gli altri ad accettare esclusivamente il tuo linguaggio, specialmente coloro a cui non piaci, e facendo così rinunci alla verità che puoi ottenere da queste persone. Mi piacerebbe sapere come concilii questo rigore linguistico coi tuoi sentimenti quando ti trovi di fronte a persone di cui t’importa.
Io spero che la persona di cui mi importa accetti il mio linguaggio, siamo immersi in un gioco sleale, lo ripeto, quindi bisogna per forza sforzarsi di migliorare le regole, le dinamiche dominanti stanno a un livello superiore astratto, questo permette di perpetrare le discriminazioni, di nasconderle: quando vengono dimostrate però diventano osservabili, e si crea la responsabilità morale di cambiarla, dopo la consapevolezza arriva il momento della scelta: le cambi le regole o no? Che strategia usi in questo gioco?

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Originariamente inviata da Bardamu
Ma tu sei realmente convinto di riuscire ad essere felice in questo modo? O semplicemente non ti interessa esserlo? Non sono ironico, semplicemente mi viene il dubbio su quanta importanza abbia la felicità personale per te. E’ chiaro che tu identifichi in maniera totale la verità con la felicità, quindi desideri essere felice, mi rispondo da solo, ma mi domando cosa ti abbia portato nella tua vita a fare questa identificazione. All’inizio pensavo fosse un meccanismo più o meno conscio di difesa, ora mi rendo conto che la tua è una scelta ben precisa e cosciente, che ha comunque come effetto collaterale quello di difenderti.
E' comunque un compromesso, un fine per rendere il gioco più leale, secondo i miei canoni di lealtà.
E non mi criticare dicendo che sono soggettivi, perchè voler avere un'accoglienza sociale dignitosa, senza equivoci e pregiudizi, è una cosa che tutti cercano (almeno per se stessi, per gli altri di meno).

Se percepisco che un gioco è sleale non esiste per me una soddisfazione senza provare a modificarlo.
La mia esperienza mi ha aiutato a accrescere questa pulsione, a scuola per esempio ogni volta che c'era una gita scolastica è finita che non mi hanno fatto partecipare a causa del diabete, e del non volere la responsabilità, a me scandalizzava il fatto di quanta indifferenza ci fosse di fronte alla mia informazione della discriminazione, ma non tanto per la voglia di fare le gite in se', ma per il non scandalizzarsi di un'ingiustizia fatta sotto i loro occhi.
L'ingiustizia mi fa veramente schifo, ma ancora più schifo mi fanno le reazioni umane alle ingiustizie (il non essere interessati a correggerle).
Vecchio 10-03-2008, 22:09   #25
Esperto
L'avatar di Lice
 

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Originariamente inviata da HurryUp
Aridaje
8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O 8O

bardamu, HurryUp...mi fate un sesso quando vi scontrate a livello intellettuale!!!!!!!! :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
Vecchio 10-03-2008, 22:14   #26
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Originariamente inviata da Lice
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Originariamente inviata da HurryUp
Aridaje
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bardamu, HurryUp...mi fate un sesso quando vi scontrate a livello intellettuale!!!!!!!! :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
La ragazza sente la primavera.... :lol: :lol: :lol:
Vecchio 11-03-2008, 02:14   #27
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Vecchio 11-03-2008, 15:07   #28
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Originariamente inviata da HurryUp
Se per irrazionalità intendi tutto ciò che la ragione non può dimostrare, sono d'accordo.
Il teorema di godel non dice che non esiste una logica oltre l'autoreferenzialità, dice solo che non si può uscire da un sistema autoreferenziale.
L'ipotesi che si possa uscire è la trascendenza, che deve essere postulata (tu gli stai dando il nome di "senso di irrazionalità"), ottenendo un nuovo sistema rappresentazionale con il nuovo postulato della trascendenza.
Ma essendo questo sistema formalizzabile, posso riottenere la formula G di Godel e mi ritrovo ancora ingabbiato in una logica autoreferenziale, allora aggiungo il postulato della meta-trascendenza.
Percezione+trascendenza+meta-trascendenza= nuovo sistema rappresentazionale più completo... lo posso godelizzare? sì, allora è ancora incompleto. Dove sta questo senso dell'irrazionalità? Questo senso dell'irrazionalità non sarà, più che altro, un prodotto della pulsione psichica di voler trascendere una logica autoreferenziale dal suo interno? Questa pulsione è utile, perchè, fin quando non abbiamo preso coscienza dei teoremi di limitazione, la sua assenza rischierebbe di far cadere nel positivismo e nei suoi errori: era necessario all'uomo avere la pulsione di poter trascendere l'autoreferenza, perchè altrimenti avrebbe divinizzato la ragione e si sarebbe illuso di avere la verità.
Ma una volta che l'uomo, con la logica, arriva a dimostrare l'incompletezza della sua logica, non ha più bisogno di alimentare quella pulsione irrazionale, non rischia più di cadere nell'errore della presunzione, anzi, quella pulsione rischia di fargli commettere azioni sbagliate, diffondere memi sbagliati, etc...
Io non penso che l'essenza dell'uomo sia un sistema formale, penso solo che le mie categorie mentali siano teoremi di un sistema formale che è la percezione, quindi non posso andare oltre questo limite, non posso conoscere la mia essenza fin tanto che la mia coscienza si manifesterà come processo formale percezioni.
Tu vedi comunque la percezione e la coscienza come sistema formale, chiuso all’esterno e all’interno dell’individuo, io invece penso che la formalizzazione della percezione sia una sua riduzione, che esclude totalmente la sensazione, l’intuito e in generale tutto ciò che assorbiamo a livello inconscio (sotto la soglia della percezione) e che finisce per modificare le percezioni stesse. Ogni percezione è un’ipotesi sul mondo e sulla realtà (inconoscibile) ed è un’ipotesi condizionata dalle parti irrazionali e inconscie estranee alla ragione. Per questo dico che razionale e irrazionale non sono compartimenti stagni ma continuum che si intersecano e sovrappongono. La ragione e la percezione vengono continuamente spinte e deviate dalle correnti dell’irrazionale. Tu ovviamente puoi cercare di remare più forte, ma stai comunque puntando verso un posto solo, senza chiederti come sono gli altri.
Il tuo schema Percezione+trascendenza ecc non è godelizzabile per la semplice ragione che applichi delle leggi formali a qualcosa di non formalizzato. Se ammetti che l’individuo non è un sistema formale allora non è possibile fare ciò. Percezione+trascendenza è una tua formalizzazione…è percezione+”percezione formalizzata della trascendenza”. Io non ti sto dicendo di formalizzare la tua essenza oltre le tue categorie mentali, è assurdo, sto solo dicendo che tu ritieni di poter controllare (o percepire di essere controllato da) solo la ragione, o per lo meno di volerti limitare a quella.

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Originariamente inviata da HurryUp
Teoria dei giochi e dinamiche dominanti. Se ti invitano a giocare a una partita di scacchi in cui tu hai in partenza meno pedine dell'avversario, hai due possibilità: cercare di vincere con quelle pedine (la felicità), oppure convincere l'avversario a sacrificare alcune sue pedine, per rendere il gioco più giusto e non penalizzante.
Io seguo la seconda strada, perchè non mi piacciono i giochi scorretti... la vittoria di un gioco scorretto non ha sapore, la sento come una falsa vittoria (falsa felicità).
Tu vedi ogni rapporto come una partita a sé stante, ma se identifichi il gioco con la vita intera e i rapporti con le mosse che fai allora intervengono altri fattori, primo fra i quali la mortalità. La vita diviene allora una partita in cui al passare del tempo il divario di pedine fra te e l’avversario aumenta sempre di più e quindi l’ipotesi di riuscire a convincere il contendente a rinunciare ad alcune pedine diventa sempre più remota. Questo fa sì che io cerchi assolutamente di vincere (di essere felice), piuttosto che di fare bel gioco e rischiare di perdere, considerando anche che è la mia unica possibilità di farlo. Nella vita non c’è rivincita, la possibilità è una sola, se perdi non hai più niente. Se sei disposto a sacrificare tutto per la giustizia e la verità allora, davvero, va in Africa e salva qualche bambino. Il mio altruismo proviene da altre strade, meno ragionate ma non per questo più deboli.

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Originariamente inviata da HurryUp
Esatto, mettere sul piatto della bilancia. Il linguaggio extra-verbale dei socialfobici non viene accettato, perchè non c'è la volontà di conoscerlo, e sai perchè? Proprio a causa di quella pulsione irrazionale che ci fa abbandonare alla nostra emozionalità intuitiva, che fa sì che la gente, quando vuole divertirsi, non trova stimoli a interagire con noi.
Io questa dinamica la vedo e in questo punto non sono io a dover scendere a un compromesso: il mio sacrificio è già imposto da quella dinamica sociale. Il compromesso lo deve accettare l'altro.

No, è qui che ti sbagli: io sono per i linguaggi informali, limitati e rozzi, flessibili, sono gli altri a imporre un linguaggio standard, io sono quello che vorrebbe aprire la mente alla comunicazioni con linguaggi strani come quelli del sociofobico, non quello che vuole penalizzarli.
Si ma tu non vuoi adattare il tuo linguaggio, però pretendi che gli altri lo facciano. Pretendi che gli altri abbiano il tuo stesso imperativo razionale e coltivino la volontà di conoscenza a discapito della loro parte irrazionale. Entro certi limiti è anche giusto, sono d’accordo che uno sforzo dall’altra parte ci deve essere, ma rifiutando di fare un ulteriore passo verso gli altri e di adattare in parte il tuo linguaggio, commetti anche tu gli stessi peccati di cui accusi gli altri: l’intolleranza e la non volontà di conoscenza. Il punto d’incontro deve essere per forza a metà strada, altrimenti una delle due parti per forza di cose è intollerante. Inoltre ciò che tu consideri un tuo sacrificio è determinato da un dinamica sociale cui contribuisci tu stesso con la tua personalità, ne sei causa scatenante tanto quanto l’altro. Io non voglio snaturarmi ed essere estroverso in un modo che non sento mio e che non mi rende felice, voglio solo sforzarmi e acquisire le capacità necessarie ad incontrarmi a metà strada con chi estroverso lo è per natura più di me, in un rapporto sodidsfacente per entrambi. La mia introversione non giustifica sé stessa, non giustifica la mancanza di volontà di tendere verso l’altro.

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Originariamente inviata da HurryUp
Io spero che la persona di cui mi importa accetti il mio linguaggio, siamo immersi in un gioco sleale, lo ripeto, quindi bisogna per forza sforzarsi di migliorare le regole, le dinamiche dominanti stanno a un livello superiore astratto, questo permette di perpetrare le discriminazioni, di nasconderle: quando vengono dimostrate però diventano osservabili, e si crea la responsabilità morale di cambiarla, dopo la consapevolezza arriva il momento della scelta: le cambi le regole o no? Che strategia usi in questo gioco?

Se percepisco che un gioco è sleale non esiste per me una soddisfazione senza provare a modificarlo.
La mia esperienza mi ha aiutato a accrescere questa pulsione, a scuola per esempio ogni volta che c'era una gita scolastica è finita che non mi hanno fatto partecipare a causa del diabete, e del non volere la responsabilità, a me scandalizzava il fatto di quanta indifferenza ci fosse di fronte alla mia informazione della discriminazione, ma non tanto per la voglia di fare le gite in se', ma per il non scandalizzarsi di un'ingiustizia fatta sotto i loro occhi.
L'ingiustizia mi fa veramente schifo, ma ancora più schifo mi fanno le reazioni umane alle ingiustizie (il non essere interessati a correggerle).
Io sono d’accordissimo con te in questo, so che tante ingiustizie si nascondono nelle pieghe di uno status quo sociale perpetrato per abitudine, e da parte tua tendere a volerle razionalmente smascherare è lodevole, e spesso cerco di farlo anch’io, ma non identificare questa tua vocazione e sensibilità con il fine ultimo della tua vita. Le discriminazioni non sono tutte uguali e alcune sono invincibili perché fanno parte della natura stessa dell’uomo-animale. Combattere contro i mulini a vento non ha mai portato a nulla che non fosse una vita puramente sognata e mai vissuta.
Vecchio 11-03-2008, 15:11   #29
Esperto
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Originariamente inviata da Lice
bardamu, HurryUp...mi fate un sesso quando vi scontrate a livello intellettuale!!!!!!!! :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
Mi sa che a te fa sesso anche un comodino pieno di calzini 8)
Vecchio 11-03-2008, 17:35   #30
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Originariamente inviata da bardamu
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Originariamente inviata da HurryUp
Se per irrazionalità intendi tutto ciò che la ragione non può dimostrare, sono d'accordo.
Il teorema di godel non dice che non esiste una logica oltre l'autoreferenzialità, dice solo che non si può uscire da un sistema autoreferenziale.
L'ipotesi che si possa uscire è la trascendenza, che deve essere postulata (tu gli stai dando il nome di "senso di irrazionalità"), ottenendo un nuovo sistema rappresentazionale con il nuovo postulato della trascendenza.
Ma essendo questo sistema formalizzabile, posso riottenere la formula G di Godel e mi ritrovo ancora ingabbiato in una logica autoreferenziale, allora aggiungo il postulato della meta-trascendenza.
Percezione+trascendenza+meta-trascendenza= nuovo sistema rappresentazionale più completo... lo posso godelizzare? sì, allora è ancora incompleto. Dove sta questo senso dell'irrazionalità? Questo senso dell'irrazionalità non sarà, più che altro, un prodotto della pulsione psichica di voler trascendere una logica autoreferenziale dal suo interno? Questa pulsione è utile, perchè, fin quando non abbiamo preso coscienza dei teoremi di limitazione, la sua assenza rischierebbe di far cadere nel positivismo e nei suoi errori: era necessario all'uomo avere la pulsione di poter trascendere l'autoreferenza, perchè altrimenti avrebbe divinizzato la ragione e si sarebbe illuso di avere la verità.
Ma una volta che l'uomo, con la logica, arriva a dimostrare l'incompletezza della sua logica, non ha più bisogno di alimentare quella pulsione irrazionale, non rischia più di cadere nell'errore della presunzione, anzi, quella pulsione rischia di fargli commettere azioni sbagliate, diffondere memi sbagliati, etc...
Io non penso che l'essenza dell'uomo sia un sistema formale, penso solo che le mie categorie mentali siano teoremi di un sistema formale che è la percezione, quindi non posso andare oltre questo limite, non posso conoscere la mia essenza fin tanto che la mia coscienza si manifesterà come processo formale percezioni.
Tu vedi comunque la percezione e la coscienza come sistema formale, chiuso all’esterno e all’interno dell’individuo, io invece penso che la formalizzazione della percezione sia una sua riduzione, che esclude totalmente la sensazione, l’intuito e in generale tutto ciò che assorbiamo a livello inconscio (sotto la soglia della percezione) e che finisce per modificare le percezioni stesse. Ogni percezione è un’ipotesi sul mondo e sulla realtà (inconoscibile) ed è un’ipotesi condizionata dalle parti irrazionali e inconscie estranee alla ragione. Per questo dico che razionale e irrazionale non sono compartimenti stagni ma continuum che si intersecano e sovrappongono. La ragione e la percezione vengono continuamente spinte e deviate dalle correnti dell’irrazionale. Tu ovviamente puoi cercare di remare più forte, ma stai comunque puntando verso un posto solo, senza chiederti come sono gli altri.
Il tuo schema Percezione+trascendenza ecc non è godelizzabile per la semplice ragione che applichi delle leggi formali a qualcosa di non formalizzato. Se ammetti che l’individuo non è un sistema formale allora non è possibile fare ciò. Percezione+trascendenza è una tua formalizzazione…è percezione+”percezione formalizzata della trascendenza”. Io non ti sto dicendo di formalizzare la tua essenza oltre le tue categorie mentali, è assurdo, sto solo dicendo che tu ritieni di poter controllare (o percepire di essere controllato da) solo la ragione, o per lo meno di volerti limitare a quella.

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Originariamente inviata da HurryUp
Teoria dei giochi e dinamiche dominanti. Se ti invitano a giocare a una partita di scacchi in cui tu hai in partenza meno pedine dell'avversario, hai due possibilità: cercare di vincere con quelle pedine (la felicità), oppure convincere l'avversario a sacrificare alcune sue pedine, per rendere il gioco più giusto e non penalizzante.
Io seguo la seconda strada, perchè non mi piacciono i giochi scorretti... la vittoria di un gioco scorretto non ha sapore, la sento come una falsa vittoria (falsa felicità).
Tu vedi ogni rapporto come una partita a sé stante, ma se identifichi il gioco con la vita intera e i rapporti con le mosse che fai allora intervengono altri fattori, primo fra i quali la mortalità. La vita diviene allora una partita in cui al passare del tempo il divario di pedine fra te e l’avversario aumenta sempre di più e quindi l’ipotesi di riuscire a convincere il contendente a rinunciare ad alcune pedine diventa sempre più remota. Questo fa sì che io cerchi assolutamente di vincere (di essere felice), piuttosto che di fare bel gioco e rischiare di perdere, considerando anche che è la mia unica possibilità di farlo. Nella vita non c’è rivincita, la possibilità è una sola, se perdi non hai più niente. Se sei disposto a sacrificare tutto per la giustizia e la verità allora, davvero, va in Africa e salva qualche bambino. Il mio altruismo proviene da altre strade, meno ragionate ma non per questo più deboli.

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Originariamente inviata da HurryUp
Esatto, mettere sul piatto della bilancia. Il linguaggio extra-verbale dei socialfobici non viene accettato, perchè non c'è la volontà di conoscerlo, e sai perchè? Proprio a causa di quella pulsione irrazionale che ci fa abbandonare alla nostra emozionalità intuitiva, che fa sì che la gente, quando vuole divertirsi, non trova stimoli a interagire con noi.
Io questa dinamica la vedo e in questo punto non sono io a dover scendere a un compromesso: il mio sacrificio è già imposto da quella dinamica sociale. Il compromesso lo deve accettare l'altro.

No, è qui che ti sbagli: io sono per i linguaggi informali, limitati e rozzi, flessibili, sono gli altri a imporre un linguaggio standard, io sono quello che vorrebbe aprire la mente alla comunicazioni con linguaggi strani come quelli del sociofobico, non quello che vuole penalizzarli.
Si ma tu non vuoi adattare il tuo linguaggio, però pretendi che gli altri lo facciano. Pretendi che gli altri abbiano il tuo stesso imperativo razionale e coltivino la volontà di conoscenza a discapito della loro parte irrazionale. Entro certi limiti è anche giusto, sono d’accordo che uno sforzo dall’altra parte ci deve essere, ma rifiutando di fare un ulteriore passo verso gli altri e di adattare in parte il tuo linguaggio, commetti anche tu gli stessi peccati di cui accusi gli altri: l’intolleranza e la non volontà di conoscenza. Il punto d’incontro deve essere per forza a metà strada, altrimenti una delle due parti per forza di cose è intollerante. Inoltre ciò che tu consideri un tuo sacrificio è determinato da un dinamica sociale cui contribuisci tu stesso con la tua personalità, ne sei causa scatenante tanto quanto l’altro. Io non voglio snaturarmi ed essere estroverso in un modo che non sento mio e che non mi rende felice, voglio solo sforzarmi e acquisire le capacità necessarie ad incontrarmi a metà strada con chi estroverso lo è per natura più di me, in un rapporto sodidsfacente per entrambi. La mia introversione non giustifica sé stessa, non giustifica la mancanza di volontà di tendere verso l’altro.

Quote:
Originariamente inviata da HurryUp
Io spero che la persona di cui mi importa accetti il mio linguaggio, siamo immersi in un gioco sleale, lo ripeto, quindi bisogna per forza sforzarsi di migliorare le regole, le dinamiche dominanti stanno a un livello superiore astratto, questo permette di perpetrare le discriminazioni, di nasconderle: quando vengono dimostrate però diventano osservabili, e si crea la responsabilità morale di cambiarla, dopo la consapevolezza arriva il momento della scelta: le cambi le regole o no? Che strategia usi in questo gioco?

Se percepisco che un gioco è sleale non esiste per me una soddisfazione senza provare a modificarlo.
La mia esperienza mi ha aiutato a accrescere questa pulsione, a scuola per esempio ogni volta che c'era una gita scolastica è finita che non mi hanno fatto partecipare a causa del diabete, e del non volere la responsabilità, a me scandalizzava il fatto di quanta indifferenza ci fosse di fronte alla mia informazione della discriminazione, ma non tanto per la voglia di fare le gite in se', ma per il non scandalizzarsi di un'ingiustizia fatta sotto i loro occhi.
L'ingiustizia mi fa veramente schifo, ma ancora più schifo mi fanno le reazioni umane alle ingiustizie (il non essere interessati a correggerle).
Io sono d’accordissimo con te in questo, so che tante ingiustizie si nascondono nelle pieghe di uno status quo sociale perpetrato per abitudine, e da parte tua tendere a volerle razionalmente smascherare è lodevole, e spesso cerco di farlo anch’io, ma non identificare questa tua vocazione e sensibilità con il fine ultimo della tua vita. Le discriminazioni non sono tutte uguali e alcune sono invincibili perché fanno parte della natura stessa dell’uomo-animale. Combattere contro i mulini a vento non ha mai portato a nulla che non fosse una vita puramente sognata e mai vissuta.
che lotta all'ultimo tasto!!!!!! forza barda non mollare!!!! non fa male!!! colpisci!!!! non dargliela vinta..... che duello.......
bardamu VS hurry up..... chi l'ha spunterà?????
Vecchio 24-03-2008, 02:12   #31
Banned
 

Rispondo alla prima parte
Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Tu vedi comunque la percezione e la coscienza come sistema formale, chiuso all’esterno e all’interno dell’individuo
, io invece penso che la formalizzazione della percezione sia una sua riduzione, che esclude totalmente la sensazione, l’intuito e in generale tutto ciò che assorbiamo a livello inconscio (sotto la soglia della percezione) e che finisce per modificare le percezioni stesse.
Io penso che tu trovi riduttiva la mia formalizzazione perché poni la percezione nel “mondo della semantica” e la formalizzazione nel “mondo della sintassi”.
Io cerco di non cadere in questo dualismo, lo so che la percezione sfugge alla formalizzazione, ma penso che questa sfumatura possa essere causata non dal fatto che la percezione venga da una dimensione irrazionale, ma dal fatto che la nostra parte cosciente non conosce la semantica della percezione, probabilmente è questa non possibilità di conoscenza completa a 360 gradi che genera la sensazione che la percezione sia sempre “agli antipodi”, forse è tutto un gioco di specchi sovrapposti che generano l’illusione del regresso all’infinito, del dualismo semantica/sintassi, e di questo gioco di specchi noi percepiamo solo un punto di vista incompleto, ma abbiamo comunque la ragione che ci permette di intuire la logica di fondo, di intuire che questi specchi non sono abbastanza potenti da farci trascendere l’autoreferenza, questa intuizione mi porta alla stessa tua conclusione, cioè che la ragione non ci permette di avere la verità , perché nessun sistema formale può rappresentare il concetto di verità senza cadere in contraddizione (teorema di Tarsky).
A questo punto posso procedere solo in due modi: o mi fermo a questo punto, senza poter andare oltre, osservando i miei limiti, oppure “disinnesco” il simbolo dell’io che genera questo sistema rappresentazionale incompleto, non avvertendo così la frustrante sensazione di essere incompleto (è la cosiddetta spontaneità). Questa seconda strada magari mi permette di avvicinarmi alla mia essenza? Non lo so, non posso cercare una risposta, perché nel momento che lo facessi riattiverei il simbolo dell’io e non sarei più nello stato mentale della spontaneità.
In ogni caso, se ipotizzassi induttivamente che la spontaneità mi porterebbe alla trascendenza… non posso essere “io” a trascendermi, dato che l’io è limitato, ma allora chi è il soggetto? L’universo? Dio? Io non lo so, so solo che l’io non può trascendersi, non può alzarsi reggendosi ai tiranti dei propri stivali.

Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Ogni percezione è un’ipotesi sul mondo e sulla realtà (inconoscibile) ed è un’ipotesi condizionata dalle parti irrazionali e inconscie estranee alla ragione.
Sono d’accordo che siano ipotesi sul mondo, ma non che siano condizionate da parti irrazionali, le parti inconscie sono pulsioni razionali, che seguono una logica, una fisica, il fatto che siano ipotetiche non mi sembra un argomento sufficiente a concludere che siano irrazionali.
Inoltre se fossero irrazionali ci sarebbe l’effetto collaterale che si potrebbe dimostrare tutto e il contrario di tutto: quella parte irrazionale contaminerebbe anche la parte razionale formalizzabile della coscienza, diventerebbe tutto irrazionale, mi sembra assurdo.
Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Per questo dico che razionale e irrazionale non sono compartimenti stagni ma continuum che si intersecano e sovrappongono. La ragione e la percezione vengono continuamente spinte e deviate dalle correnti dell’irrazionale. Tu ovviamente puoi cercare di remare più forte, ma stai comunque puntando verso un posto solo, senza chiederti come sono gli altri.
A me sembra che sia tu che stia remando contro una corrente, la corrente che ci fa intuire una logica di fondo nella realtà. La nostra psiche soffre quando tenta di rappresentarsi un modello di questa logica, perché il cervello non possiede i simboli mentali, i blocchi neurotici, necessari a costruire questo modello: il cervello si sforza di fare qualcosa fisicamente impossibile (rappresentarsi un modello completo razionale della realtà) e soffre. E’ questa sofferenza fisica che porta a voler credere che non ci sia una logica di fondo, non l’intuito: l’intuito (funzione del cervello) porta a credere l’opposto, cioè che ci sia una logica di fondo.
Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Il tuo schema Percezione+trascendenza ecc non è godelizzabile per la semplice ragione che applichi delle leggi formali a qualcosa di non formalizzato. Se ammetti che l’individuo non è un sistema formale allora non è possibile fare ciò.
Io per godelizzare intendo avere una rappresentazione simbolica definita, non necessariamente al livello intellettuale, ma formale. Posso postulare che la percezione non sia un sistema formale, ma non posso negare che le mie percezioni abbiano una forma definita e riconoscibile. Quindi, anche se non la formalizzo io, si formalizza da sola, ed è godelizzabile.
Vecchio 24-03-2008, 17:14   #32
Esperto
 

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Io penso che tu trovi riduttiva la mia formalizzazione perché poni la percezione nel “mondo della semantica” e la formalizzazione nel “mondo della sintassi”.
Io cerco di non cadere in questo dualismo, lo so che la percezione sfugge alla formalizzazione, ma penso che questa sfumatura possa essere causata non dal fatto che la percezione venga da una dimensione irrazionale, ma dal fatto che la nostra parte cosciente non conosce la semantica della percezione, probabilmente è questa non possibilità di conoscenza completa a 360 gradi che genera la sensazione che la percezione sia sempre “agli antipodi”, forse è tutto un gioco di specchi sovrapposti che generano l’illusione del regresso all’infinito, del dualismo semantica/sintassi, e di questo gioco di specchi noi percepiamo solo un punto di vista incompleto, ma abbiamo comunque la ragione che ci permette di intuire la logica di fondo, di intuire che questi specchi non sono abbastanza potenti da farci trascendere l’autoreferenza, questa intuizione mi porta alla stessa tua conclusione, cioè che la ragione non ci permette di avere la verità , perché nessun sistema formale può rappresentare il concetto di verità senza cadere in contraddizione (teorema di Tarsky).
A questo punto posso procedere solo in due modi: o mi fermo a questo punto, senza poter andare oltre, osservando i miei limiti, oppure “disinnesco” il simbolo dell’io che genera questo sistema rappresentazionale incompleto, non avvertendo così la frustrante sensazione di essere incompleto (è la cosiddetta spontaneità). Questa seconda strada magari mi permette di avvicinarmi alla mia essenza? Non lo so, non posso cercare una risposta, perché nel momento che lo facessi riattiverei il simbolo dell’io e non sarei più nello stato mentale della spontaneità.
In ogni caso, se ipotizzassi induttivamente che la spontaneità mi porterebbe alla trascendenza… non posso essere “io” a trascendermi, dato che l’io è limitato, ma allora chi è il soggetto? L’universo? Dio? Io non lo so, so solo che l’io non può trascendersi, non può alzarsi reggendosi ai tiranti dei propri stivali.
Su questo potresti avere ragione, ma anche no. E' un'ipotesi plausibile, ma allo stato attuale non può essere provata. Leggevo proprio ieri il capitolo del geb sul significato e sul dove risieda veramente. Il fatto che sia impossibile conoscere la semantica della percezione, è da imputare solamente alla conformazione fisica del nostro cervello? Anche tu ad un certo punto devi ricorrere all'intuizione, devi scegliere ciò che ritieni più plausibile, ma senza la certezza che sia la strada che segue la verità, perchè come dici su questo non puoi ottenere la verità all'interno del sistema senza contraddirti. E fin qui spero che siamo d'accordo, oltre non si può andare.
A questo punto tiri in ballo l'io, ma qui è molto facile fraintendersi...parli di io in senso psicologico o filosofico? Che cosa intendi per io? L'autocoscienza? La parte puramente logica della nostra mente? Se intendi questo sono d'accordo, trascenderlo è impossibile. Ma per ipotesi potrei anche allargare il concetto di io a ciò che mi circonda, a qualcosa di apparentemente scollegato dalla mia fisicità, secondo una visione più cosmica e panteistica e meno individualistica. E a questo punto la trascendenza può riguardare anche un sasso. Ma ancora una volta stai correndo dritto sparato verso la verità, e mi sa che vogliamo andare in due posti diversi.

Quote:
Sono d’accordo che siano ipotesi sul mondo, ma non che siano condizionate da parti irrazionali, le parti inconscie sono pulsioni razionali, che seguono una logica, una fisica, il fatto che siano ipotetiche non mi sembra un argomento sufficiente a concludere che siano irrazionali.
Inoltre se fossero irrazionali ci sarebbe l’effetto collaterale che si potrebbe dimostrare tutto e il contrario di tutto: quella parte irrazionale contaminerebbe anche la parte razionale formalizzabile della coscienza, diventerebbe tutto irrazionale, mi sembra assurdo.
E come fai a dire che seguono una logica, o che comunque la seguono FINO IN FONDO? Per te è formalizzabile anche l'inconscio? Non sto sostenendo che tutto ciò che è inconscio è irrazionale, ma nemmeno il contrario. L'argomento del "contagio irrazionale" non mi convince, sembra che tu lo esponga solamente per una paura teleologica di non riuscire a giungere ad una verità ultima. Cosa fai, rifiuti Godel? Forse ti sei fatto l'idea di me come di uno che rifiuti la parte logica di ognuno di noi...non è così. Sono conscio del potere del grosso potere della logica, ma mi rifiuto di limitare la mia ricerca di un senso esclusivamente a quella.

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A me sembra che sia tu che stia remando contro una corrente, la corrente che ci fa intuire una logica di fondo nella realtà. La nostra psiche soffre quando tenta di rappresentarsi un modello di questa logica, perché il cervello non possiede i simboli mentali, i blocchi neurotici, necessari a costruire questo modello: il cervello si sforza di fare qualcosa fisicamente impossibile (rappresentarsi un modello completo razionale della realtà) e soffre. E’ questa sofferenza fisica che porta a voler credere che non ci sia una logica di fondo, non l’intuito: l’intuito (funzione del cervello) porta a credere l’opposto, cioè che ci sia una logica di fondo.
La logica di fondo è percepita come tale dalla nostra parte logica, che ne riconosce il linguaggio...ma se io mi rifiuto di guardare solo a quella allora posso cercare e trovare anche altrove. Chi cerca trova. Il mio rifiuto del fatto che tutto sia logico e razionale non nasce dalla mia incapacità di spiegarlo, altrimenti farei come te e mi dedicherei interamente all'analisi razionale, starei comunque meglio. Io apprezzo il potere della mia mente e della parte logica che la governa, ma proprio questa parte logica mi costringe a criticarla e a indagarne i limiti. Limiti che sono insuperabili solo per la logica stessa. Anche se avessi letto tutti i testi di logica mai scritti, la penserei allo stesso modo, non è questione di conoscenza.

Non so quanto questa discussione abbia ancora un'utilità, specialmente in questo contesto. Nel profondo abbiamo due visioni inconciliabili, ed entrambi saremo sempre convinti che l'altro sbaglia, almeno nel breve periodo. Magari dovremmo limitarci a discutere di cose più pragmatiche, su cui siamo d'accordo, e utilizzare meglio le nostre energie. Sinceramente vivere questa cosa come una sfida sarebbe una cretinata, e ho paura che stia diventando solo questo.
Vecchio 04-04-2008, 02:33   #33
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Quando avrai tempo e voglia magari te la leggi, non temere, non voglio trattenerti in questa discussione!
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Originariamente inviata da bardamu
Non so quanto questa discussione abbia ancora un'utilità, specialmente in questo contesto. Nel profondo abbiamo due visioni inconciliabili, ed entrambi saremo sempre convinti che l'altro sbaglia, almeno nel breve periodo. Magari dovremmo limitarci a discutere di cose più pragmatiche, su cui siamo d'accordo, e utilizzare meglio le nostre energie. Sinceramente vivere questa cosa come una sfida sarebbe una cretinata, e ho paura che stia diventando solo questo.
Non è con spirito di sfida che vivo questa discussione, capisco che per te possa non rappresentare molto, ma a me mi stimola, non potevo fare a meno di sviluppare questa discussione, non mi ero posto dei limiti, comunque anche per me è abbastanza, adesso scrivo perché ho un po’ di tempo libero.

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Originariamente inviata da bardamu
Su questo potresti avere ragione, ma anche no. E' un'ipotesi plausibile, ma allo stato attuale non può essere provata. Leggevo proprio ieri il capitolo del geb sul significato e sul dove risieda veramente. Il fatto che sia impossibile conoscere la semantica della percezione, è da imputare solamente alla conformazione fisica del nostro cervello? Anche tu ad un certo punto devi ricorrere all'intuizione, devi scegliere ciò che ritieni più plausibile, ma senza la certezza che sia la strada che segue la verità, perchè come dici su questo non puoi ottenere la verità all'interno del sistema senza contraddirti. E fin qui spero che siamo d'accordo, oltre non si può andare.
E’ vero, devo scegliere l’intuizione, ma l’intuizione non è una percezione extra-sensoriale, è un senso fisico, non meno della vista, del tatto, e degli altri sensi.
A meno che tu non creda in una forza animista che anima gli esseri viventi non puoi negare che l’uomo funzioni come una macchina di Turing, quindi l’intuizione è rappresentabile come un programma del cervello che decodifica l’informazione in modo logico, attraverso passaggi logici che sfuggono all’io cosciente, ma sempre in modo meccanico, seguendo rigorosi passaggi formali, di cui l’io cosciente percepisce l’eco sottoforma di idee, immagini mentali, etc…
Io quindi non faccio la scelta di credere a qualche suggestione mentale acriticamente, la scelta di cui parli è data dall’analisi di queste intuizioni, e vista la complicatezza dell’interpretazione dell’intuito devo fare attenzione a farla in modo analitico, facendo attenzione a tutti i passaggi.
E’ differente dal lavoro che fai tu, che non osservi con lo stesso occhio analitico i messaggi del tuo intuito (li osservi con un metodo che non è completamente analitico, mi riferisco al tuo dualismo razionale/irrazionale).
Tu dici che questa differenza tra noi è data dal fatto che vogliamo andare in due direzioni diverse, io verso la verità, tu verso la serenità… io non credo che sia il modo giusto di inquadrare la situazione, spiego più avanti il perché.
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Originariamente inviata da bardamu
A questo punto tiri in ballo l'io, ma qui è molto facile fraintendersi...parli di io in senso psicologico o filosofico? Che cosa intendi per io? L'autocoscienza? La parte puramente logica della nostra mente? Se intendi questo sono d'accordo, trascenderlo è impossibile.
Per io intendo quella parte del sistema uomo che detiene il simbolo del se’ (quella parte del cervello che godelizza il soggetto con il simbolo del “se’”): hai presente quel simbolo di identità che ti spinge a dire e pensare “io sono bardamu”? Ecco, quando parlo dell’io mi riferisco a quel simbolo. Anche se l’io rappresenta la sintesi di un insieme di pulsioni, di sub-coscienze, di sub-individualità, il simbolo che le rappresenta è unico e ben definito: è il simbolo del se’.
Questo non vuol dire che il simbolo del se’ conosce tutto il sistema Bardamu, così come il simbolo che rappresenta uno stato (l’insieme delle persone che hanno il potere esecutivo) non conosce tutta la realtà sociale dello stato che rappresenta… spero che sia chiaro cosa intendo per “io”.
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Originariamente inviata da bardamu
Ma per ipotesi potrei anche allargare il concetto di io a ciò che mi circonda, a qualcosa di apparentemente scollegato dalla mia fisicità, secondo una visione più cosmica e panteistica e meno individualistica. E a questo punto la trascendenza può riguardare anche un sasso. Ma ancora una volta stai correndo dritto sparato verso la verità, e mi sa che vogliamo andare in due posti diversi.
In questo modo ti stai riferendo a un altro simbolo, non più al simbolo dell’io, in me esiste un simbolo del genere? Cioè, un simbolo del “Tutto”? Se esiste, questo simbolo deve escludere il simbolo dell’io, che è il suo complemento (negazione), quindi per attivare il simbolo del tutto e raggiungere il “nirvana” non è sufficiente trascendere il simbolo dell'io, bisogna proprio negarlo.
Il simbolo del “se’” si opporrà sempre a questo simbolo, quindi l’intenzione non mi aiuta a raggiungere la coscienza cosmica, perché l’intenzione è mediata dal simbolo del se’, che non ammetterà mai di innescare la coscienza cosmica: l’unico modo per farlo è auto-plagiare il simbolo del se’, facendogli “realizzare” l’intenzione di attivare la coscienza cosmica mascherando questa intenzione in modo che non venga riconosciuta dall’io, ma il solo impegnarsi ad architettare questo auto-plagio viene rilevato dall’io, che subito vanifica quella intenzione.
Ti convince questa argomentazione del plagio fatto all’io per potersi trascendere? Se ti convince, allora, nel momento stesso in cui ammetti di non essere intenzionato ad andare verso la verità dovresti avere la sensazione di starti plagiando!
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Originariamente inviata da bardamu

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Sono d’accordo che siano ipotesi sul mondo, ma non che siano condizionate da parti irrazionali, le parti inconscie sono pulsioni razionali, che seguono una logica, una fisica, il fatto che siano ipotetiche non mi sembra un argomento sufficiente a concludere che siano irrazionali.
Inoltre se fossero irrazionali ci sarebbe l’effetto collaterale che si potrebbe dimostrare tutto e il contrario di tutto: quella parte irrazionale contaminerebbe anche la parte razionale formalizzabile della coscienza, diventerebbe tutto irrazionale, mi sembra assurdo.
E come fai a dire che seguono una logica, o che comunque la seguono FINO IN FONDO? Per te è formalizzabile anche l'inconscio? Non sto sostenendo che tutto ciò che è inconscio è irrazionale, ma nemmeno il contrario.
Tu percepisci come limitativo immaginare che l’inconscio segue una logica “fino in fondo” (cioè proprio fino in fondo, nella sua essenza più profonda). Io penso che lo senti limitativo perché hai una rappresentazione mentale simbolica della “logica” diversa dalla mia.
Forse nella tua mente tu hai l’idea che l’inconscio possa, nella sua essenza più profonda, ammettere la proprietà A e nonA, e da questa immagine mentale segue la tua sensazione che l’inconscio, nella sua essenza, non segue una logica. Ma questa immagine mentale che hai non mi porta a questa sensazione, perché io la risolvo visualizzandomi una logica in cui A e nonA non sono in contraddizione (una “meta-logica” che io non posso cogliere), e non trovo questa idea riduttiva, l’impressione di “limitare” mi viene solo se proietto la MIA logica autoreferenziale all’essenza dell’inconscio.

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Originariamente inviata da bardamu
L'argomento del "contagio irrazionale" non mi convince, sembra che tu lo esponga solamente per una paura teleologica di non riuscire a giungere ad una verità ultima.
Cosa fai, rifiuti Godel?
Veramente questa “paura teleologica” ce l’aveva pure Godel, infatti Godel diceva chiaramente che senza postulare gli enti logici (o matematici perchè isomorfi) come eterni, facenti parte della struttura di base della realtà (qualsiasi cosa essa sia), cioè senza una posizione che è definita platonista, non si poteva raggiungere l'enunciazione del suo teorema.
Anche se l’io non può raggiungere la completezza, quindi, si ha la sensazione che oltre questo limite autoreferenziale ci sia una logica, questa logica io la percepisco, emotivamente, come quella cosa che “giustifica” questo strano anello autoreferenziale che è la mia rappresentazione della realtà.
Se la vuoi vedere come una paura teleologica, non c’è problema, perché io la vedo come ciò da cui dipende il fondamento ontologico della realtà: tolto quello rimane il nichilismo, e sarebbero cavoli amari (per fortuna è solo una proiezione mentale assurda).

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Originariamente inviata da bardamu
Forse ti sei fatto l'idea di me come di uno che rifiuti la parte logica di ognuno di noi...non è così. Sono conscio del potere del grosso potere della logica, ma mi rifiuto di limitare la mia ricerca di un senso esclusivamente a quella.
Non mi sono fatto questa idea, mi sono fatto l’idea che hai una rappresentazione mentale della logica diversa dalla mia.
Vecchio 04-04-2008, 02:43   #34
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Vecchio 04-04-2008, 02:54   #35
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Nella prossima puntata.....

Goedel vs Magneto



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Vecchio 06-05-2008, 17:11   #36
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Originariamente inviata da HurryUp
Io quindi non faccio la scelta di credere a qualche suggestione mentale acriticamente, la scelta di cui parli è data dall’analisi di queste intuizioni, e vista la complicatezza dell’interpretazione dell’intuito devo fare attenzione a farla in modo analitico, facendo attenzione a tutti i passaggi.
E’ differente dal lavoro che fai tu, che non osservi con lo stesso occhio analitico i messaggi del tuo intuito (li osservi con un metodo che non è completamente analitico, mi riferisco al tuo dualismo razionale/irrazionale).
Tu dici che questa differenza tra noi è data dal fatto che vogliamo andare in due direzioni diverse, io verso la verità, tu verso la serenità… io non credo che sia il modo giusto di inquadrare la situazione, spiego più avanti il perché.
Ultimamente ho riflettuto su questa cosa e ho capito che usiamo parole diverse: io chiamo irrazionale ciò che tu chiami "logica diversa". Alla base credo anch'io che siamo costruiti allo stesso modo e che da quel punto di vista l'insieme di tutte le logiche possibili per il nostro cervello sia uguale per tutti. Però non è vero tanto che io non ragiono analiticamente su ciò che afferro per intuizione. Semplicemente vedo queste intuizioni arrivare e mi chiedo se non possa in qualche modo diverso, slegato dall'analisi del sè, arrivare a cogliere queste logiche diverse e sconosciute che il mio cervello mette in atto. Non scarto l'ipotesi di poter arrivare ad una comprensione logica per altre vie, se preferisci che lo dica in questo modo.

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Originariamente inviata da HurryUp
In questo modo ti stai riferendo a un altro simbolo, non più al simbolo dell’io, in me esiste un simbolo del genere? Cioè, un simbolo del “Tutto”? Se esiste, questo simbolo deve escludere il simbolo dell’io, che è il suo complemento (negazione), quindi per attivare il simbolo del tutto e raggiungere il “nirvana” non è sufficiente trascendere il simbolo dell'io, bisogna proprio negarlo.
Il simbolo del “se’” si opporrà sempre a questo simbolo, quindi l’intenzione non mi aiuta a raggiungere la coscienza cosmica, perché l’intenzione è mediata dal simbolo del se’, che non ammetterà mai di innescare la coscienza cosmica: l’unico modo per farlo è auto-plagiare il simbolo del se’, facendogli “realizzare” l’intenzione di attivare la coscienza cosmica mascherando questa intenzione in modo che non venga riconosciuta dall’io, ma il solo impegnarsi ad architettare questo auto-plagio viene rilevato dall’io, che subito vanifica quella intenzione.
Ti convince questa argomentazione del plagio fatto all’io per potersi trascendere? Se ti convince, allora, nel momento stesso in cui ammetti di non essere intenzionato ad andare verso la verità dovresti avere la sensazione di starti plagiando!
Il simbolo del tutto, se esiste nella nostra mente, è molto più impreciso del simbolo dell'io. Il percorso sta proprio nel precisarlo e farlo coesistere con quello dell'Io. Non si negano necessariamente perchè dovrebbero essere posti a livelli diversi: il mio Io fa parte del tutto. Negare l'io significa allo stesso tempo espanderlo all'infinito. Finché si concepisce l'io stesso come una parte del tutto, questo tutto non lo si è raggiunto. Per questo io intuisco, ma sono ben lungi dal riuscire a mettere in pratica tutto ciò. Quel che tu chiami plagiare l'Io, io lo chiamo ricerca di una condizione, di uno stato reale, non di verità, perchè anche la verità è un concetto divisorio, tutt'al più dell'UNICA VERITA', che comprende tutto. Ma l'unica verità, in quanto tale, non ha più il valore funzionale di individuare la falsità, quindi a livello dell'io, ma solo quello di comprensione totale, di fine forse irraggiungibile al quale tendere. La rinuncia all'Io passa non per la sua negazione, ma per la sua comprensione all'interno del tutto. Il solo parlarne in termini di concetti e categorie è un allontanamento dalla comprensione (l'illuminazione Zen).

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Originariamente inviata da HurryUp
Tu percepisci come limitativo immaginare che l’inconscio segue una logica “fino in fondo” (cioè proprio fino in fondo, nella sua essenza più profonda). Io penso che lo senti limitativo perché hai una rappresentazione mentale simbolica della “logica” diversa dalla mia.
Forse nella tua mente tu hai l’idea che l’inconscio possa, nella sua essenza più profonda, ammettere la proprietà A e nonA, e da questa immagine mentale segue la tua sensazione che l’inconscio, nella sua essenza, non segue una logica. Ma questa immagine mentale che hai non mi porta a questa sensazione, perché io la risolvo visualizzandomi una logica in cui A e nonA non sono in contraddizione (una “meta-logica” che io non posso cogliere), e non trovo questa idea riduttiva, l’impressione di “limitare” mi viene solo se proietto la MIA logica autoreferenziale all’essenza dell’inconscio.
Hai ragione al livello del cervello umano. Ultimamente ho capito che questa irrazionalità che intuisco forse è semplicemente il desiderio di riuscire ad annullare la logica quando essa fornisce un'affermazione dell'Io, perchè ciò contrasta con una comprensione superiore alla quale aspiro. Ciò che contrasta è l'affermazione dell'Io, che può essere più o meno errata in sé (come una dimostrazione sbagliata che porta a credeze sbagliate), non l'esistenza stessa della logica.

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Originariamente inviata da HurryUp
Veramente questa “paura teleologica” ce l’aveva pure Godel, infatti Godel diceva chiaramente che senza postulare gli enti logici (o matematici perchè isomorfi) come eterni, facenti parte della struttura di base della realtà (qualsiasi cosa essa sia), cioè senza una posizione che è definita platonista, non si poteva raggiungere l'enunciazione del suo teorema.
Anche se l’io non può raggiungere la completezza, quindi, si ha la sensazione che oltre questo limite autoreferenziale ci sia una logica, questa logica io la percepisco, emotivamente, come quella cosa che “giustifica” questo strano anello autoreferenziale che è la mia rappresentazione della realtà.
Se la vuoi vedere come una paura teleologica, non c’è problema, perché io la vedo come ciò da cui dipende il fondamento ontologico della realtà: tolto quello rimane il nichilismo, e sarebbero cavoli amari (per fortuna è solo una proiezione mentale assurda).
Tu dici: per poter applicare il teorema di Godel alla mia mente bisogna che gli enti logici esistano in qualche modo anche al di fuori della mia mente, ma io la vedo come un'estensione impropria. Il teorema di Godel, se è possibile applicarlo al sistema formale della mente umana, ne afferma solamente l'incoerenza, dall'interno del sistema stesso. Non possiamo fare come in matematica ed immaginare un sistema più potente in grado di contenere quello precedente, a meno di non considerare il tutto non come entità suprema (in quanto ogni entità è godelizzabile), ma come condizione dell'essere nella quale ogni logica trascende sé stessa all'infinito, mantenendo quindi una quasi-coerenza. Solo il tutto è forse intrascendibile (non godelizzabile).
Vecchio 06-05-2008, 22:24   #37
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Originariamente inviata da bardamu2
Ultimamente ho riflettuto su questa cosa e ho capito che usiamo parole diverse: io chiamo irrazionale ciò che tu chiami "logica diversa". Alla base credo anch'io che siamo costruiti allo stesso modo e che da quel punto di vista l'insieme di tutte le logiche possibili per il nostro cervello sia uguale per tutti. Però non è vero tanto che io non ragiono analiticamente su ciò che afferro per intuizione. Semplicemente vedo queste intuizioni arrivare e mi chiedo se non possa in qualche modo diverso, slegato dall'analisi del sè, arrivare a cogliere queste logiche diverse e sconosciute che il mio cervello mette in atto. Non scarto l'ipotesi di poter arrivare ad una comprensione logica per altre vie, se preferisci che lo dica in questo modo.
Anch'io, nel frattempo, ho riflettuto rielaborando le informazioni, mi sono reso conto di aver intuito già da prima questa interpretazione che hai argomentato, e sulla base di questa interpretazione, non ho nessun disaccordo concettuale sul metodo che hai descritto.
Viceversa, ho disaccordi locali su certi passaggi logici che sviluppi.
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Originariamente inviata da bardamu2
Il simbolo del tutto, se esiste nella nostra mente, è molto più impreciso del simbolo dell'io. Il percorso sta proprio nel precisarlo e farlo coesistere con quello dell'Io. Non si negano necessariamente perchè dovrebbero essere posti a livelli diversi: il mio Io fa parte del tutto. Negare l'io significa allo stesso tempo espanderlo all'infinito. Finché si concepisce l'io stesso come una parte del tutto, questo tutto non lo si è raggiunto. Per questo io intuisco, ma sono ben lungi dal riuscire a mettere in pratica tutto ciò. Quel che tu chiami plagiare l'Io, io lo chiamo ricerca di una condizione, di uno stato reale, non di verità, perchè anche la verità è un concetto divisorio, tutt'al più dell'UNICA VERITA', che comprende tutto. Ma l'unica verità, in quanto tale, non ha più il valore funzionale di individuare la falsità, quindi a livello dell'io, ma solo quello di comprensione totale, di fine forse irraggiungibile al quale tendere. La rinuncia all'Io passa non per la sua negazione, ma per la sua comprensione all'interno del tutto. Il solo parlarne in termini di concetti e categorie è un allontanamento dalla comprensione (l'illuminazione Zen).
Anche su questo ho riflettuto nel frattempo.
Anch'io ho trovato la necessità di cambiare posizione: l'io non lo devo considerare la negazione del tutto (posso sostituire il tutto con il termine "coscienza assoluta", se infatti vedo il tutto come la totalità dell'informazione possibile, io non cado nell'incoerenza, dato che è una definizione incompleta, e come sai, se rinuncio alla completezza salvo la coerenza).
In particolare, adesso, il rapporto che c'è tra io e il tutto, lo vedo come un rapporto non simmetrico: dal sistema dell'io è una negazione, mentre dal punto di vista del tutto è un'inclusione (inclusione talmente radicale da annullare l'io, ma non nel senso di negare le sue proprietà formali, ma di "fonderle" in una simultaneità assoluta con il suo complemento: come quando osservi un'immagine con i due occhi: le immagini monoculari elaborate diversamente dai due occhi non vengono annullate, ma fuse).
Non giungo però alla tua conclusione che, per raggiungere lo stato di illuminazione necessiti di una rinuncia all'analisi formale (delle categorie) dell'io. O meglio, penso che sia possibile, ma non necessario, proprio a causa della non simmetricità della negazione IO-tutto.
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Originariamente inviata da bardamu2
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Originariamente inviata da HurryUp
Veramente questa “paura teleologica” ce l’aveva pure Godel, infatti Godel diceva chiaramente che senza postulare gli enti logici (o matematici perchè isomorfi) come eterni, facenti parte della struttura di base della realtà (qualsiasi cosa essa sia), cioè senza una posizione che è definita platonista, non si poteva raggiungere l'enunciazione del suo teorema.
Anche se l’io non può raggiungere la completezza, quindi, si ha la sensazione che oltre questo limite autoreferenziale ci sia una logica, questa logica io la percepisco, emotivamente, come quella cosa che “giustifica” questo strano anello autoreferenziale che è la mia rappresentazione della realtà.
Se la vuoi vedere come una paura teleologica, non c’è problema, perché io la vedo come ciò da cui dipende il fondamento ontologico della realtà: tolto quello rimane il nichilismo, e sarebbero cavoli amari (per fortuna è solo una proiezione mentale assurda).
Tu dici: per poter applicare il teorema di Godel alla mia mente bisogna che gli enti logici esistano in qualche modo anche al di fuori della mia mente, ma io la vedo come un'estensione impropria. Il teorema di Godel, se è possibile applicarlo al sistema formale della mente umana, ne afferma solamente l'incoerenza, dall'interno del sistema stesso. Non possiamo fare come in matematica ed immaginare un sistema più potente in grado di contenere quello precedente, a meno di non considerare il tutto non come entità suprema (in quanto ogni entità è godelizzabile), ma come condizione dell'essere nella quale ogni logica trascende sé stessa all'infinito, mantenendo quindi una quasi-coerenza. Solo il tutto è forse intrascendibile (non godelizzabile).
Il teorema di Godel non enuncia l'incoerenza del sistema formale, ma la sua incompletezza. Cioè, dice solo che gli assiomi non possono far decidere al sistema formale se sia più giusto scegliere alcune congetture o la loro relativa negazione (quando si assume una di queste congetture e non la negazione, questo mi riporta, per analogia, al collasso della funzione d'onda che fa collassare una sovrapposizione di stati).
Mi rendo conto che il teorema di Godel non implica una verità trascendente, ma implica una sovrapposizione di verità trascendenti.
Quindi, ovviamente, non è giusto il postulato che ci sia una verità unica fuori dagli assiomi, però è necessario postulare che ci sia una sovrapposizione di verità (come la sovrapposizione di stati quantistici), e considerando questa sovrapposizione come un'entità unica, allora il postulato "platonista" è innegabilmente vero.
Il Tutto io non lo posso godelizzare, ma visto che, dal sistema di riferimento dell'io, il tutto è definibile in modo incompleto come la negazione dell'io, grazie alla non simmetricità della relazione di negazione io-tutto, posso simboleggiare, dal piano relativo, il tutto, e non cadere nel relativismo e nello scetticismo assoluto.
Vecchio 06-05-2008, 22:47   #38
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Originariamente inviata da Who_by_fire_2
Nella prossima puntata.....

Goedel vs Magneto
- Onda elettromagnetica!
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- Godelizzazione!
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