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Originariamente inviata da bardamu
AUTOSTIMA. Se mi reputo una bellissima persona, piena di qualità e lati che penso possano piacere agli altri, perché non li tiro fuori?
Ho capito che la mia non è semplicemente paura del rifiuto, ma paura di venire deluso dalle persone verso cui mi lascio andare. Paura di affidare me stesso, senza difese, ad un'altra persona e di venire tradito e fatto a pezzi. Per ovviare a questo ho sempre inconsciamente creato una maschera che mi nascondesse e fungesse da pupazzo dei crash test per gli altri. Se fossi stato deluso dall'altro, in realtà quello che si era esposto non ero io, era la maschera.
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Complimenti per l’analisi! :D
Hai trascritto, nero su bianco, ciò che andavo intuendo da un po’ di tempo. Il timore di espormi mi frena dal rilassarmi in compagnia e mettere in risalto i miei pregi; è così che la mia mente, per non rimanere in balia di questo timore, produce una sorta di “facciata”, uno strato esterno di amabilità e battutine che serve a rendere le persone più o meno ben disposte nei miei confronti.
In questo non-luogo virtuale, ne sto tuttora testando l’efficacia;
però, nei contesti di vicinanza fisica io adotto più consapevolmente questa facciata – il pupazzo dei crash test, come tu lo hai definito – ottenendo paradossalmente risultati ben dissimili da quelli che speravo, proprio in quanto il timore che qualcuno possa approfittare della mia fiducia, di “venire fatto a pezzi”, prevale sulla spontaneità.
Potrei dire che la paura del rifiuto coesiste o è compresa nella paura di subire, più che una delusione, un vero e proprio tradimento.
Non c’è da stupirsi se all’esterno possa apparire come altezzosa o, all’opposto, un’imbranata irrecuperabile. Sarebbe utile per me sapere se questa elaborazione a posteriori coincida o no con l’impressione di terzi.
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Originariamente inviata da bardamu
Venire delusi da qualcuno che in teoria dovrebbe essere più simile a te, come qualcuno del tuo stesso sesso, ti investe molto di più sul piano personale.
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Come te, anche io lego più facilmente con i ragazzi, mentre con quelle del mio sesso comunico a stento –
se comunico; ritengo che questo sia derivato dalle molteplici delusioni avute in un passato, meno lontano di quanto io voglia ricordare.
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Originariamente inviata da bardamu
PARTI DI SE'. A lungo ho creduto di conoscere perfettamente me stesso, di poter risolvere tutto con la sola forza della ragione e di poter migliorare me stesso esclusivamente tramite l'autoperfezionamento.
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Non saprei da quanto tempo mi fossi adagiata in questo condizionamento; è soltanto un’illusione omeostatica che l’ego escogita per ricondursi ad uno stato di equilibrio tale che, se da un lato protegge la mente dalle tensioni del mondo esterno, dall’altro giustifica la volontà di non sottoporsi ad alcun rischio. Non agire quindi significa non rischiare, il che si traduce in (da discrete ad irrisorie) probabilità di farsi male.
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Originariamente inviata da bardamu
INSICUREZZA.Non temiamo il giudizio degli altri, il loro pensiero su di noi, abbiamo invece paura che gli altri ci facciano scoprire parti di noi che inficino il giudizio che noi abbiamo di noi stessi.
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Come giustamente hai rilevato, conoscersi in completezza è possibile attraverso i rapporti interpersonali ed implica il disvelamento di parti della nostra personalità che l’ego vorrebbe preservarci dal conoscere; parti di noi spiacevoli da accettare, che anzi, si vorrebbe rimuovere dalla coscienza.
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Originariamente inviata da bardamu
COMUNICAZIONE. In questo periodo mi rendo conto che il modo che utilizzo per trasmettere agli altri ciò che ho dentro, i miei sentimenti, i miei pensieri e le mie emozioni, è inefficace. Come se non conoscessi il linguaggio per esprimerle. Mi è capitato più volte di compiere gesti che pensavo esprimessero appieno il calore che volevo trasmettere e che dall'altra parte venissero recepiti invece come freddi, rigidi e non sinceri.
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E’ come se tu avessi descritto me. O, almeno, mi rispecchio nella tua imperizia a comunicare le emozioni provate. Non tutte le emozioni, beninteso, ma in generale, non lascio capire agli altri se ho sofferenze di portata emotiva; cioè, non ricordo di essermi mai lamentata per qualcosa, in chat o sul forum, o di essermi mostrata, chessò, triste, dispiaciuta, ferita, disillusa…. Tutti noi ci arrabbiamo, a volte; a me capita per lo più dal vivo, ma quand’anche avvenisse su internet, tendo più al sarcasmo e all’autodifesa; gridare, insultare, rinfacciare vecchi torti, cedere a parole e gesti impulsivi sono quanto di più lontano riesca a concepire dalle mie reazioni. Non sono tipo da sfuriate, dunque. Prescindendo dal concorso di colpa in uno scontro (piaga che io, quando posso, evito volentieri), ci rimugino su, chiedendomi cosa diavolo è andato storto.
Sono vagamente convinta che l’abitudine ad evitare l’esposizione di nitidi stati d’animo (e di vulnerabilità) sia legata alla scarsa conoscenza (in quanto novità) del linguaggio emotivo appropriato. E’ il linguaggio essenziale per trasmettere, nella loro intensità, gesti di stima, incoraggiamento, affetto, al di là delle semplici parole.
E’ anche quello necessario a far si che vengano recepiti dagli altri in modo isomorfico a quello preventivato nelle nostre buone intenzioni.
Alla luce delle tue riflessioni, ho fatto questo ragionamento, ma non so se valga anche per te.
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Originariamente inviata da bardamu
ESPERIENZA. Alla luce di tutto questo l'esperienza assume un significato diverso, non più solo spinta a vivere e a crearsi un bagaglio per sentirsi adatti e normali nel confronto con gli altri, ma unico strumento per conoscere sé stessi a un livello più profondo. E' quasi il contrario: l'esperienza non è più uno strumento per aumentare la propria autostima in proporzione al numero di cose fatte, di amici o di ragazze che si hanno, ma uno strumento per minarla, far risaltare la sua parzialità e metterla sotto processo, renderla più completa, obiettiva e in definitiva vera.
Conoscere sé stessi è l'unico modo per vivere davvero.
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Quoto pienamente; piantiamola di sottoporci al consueto, incessante confronto con i cosiddetti “normali”, in meri termini quantitativi di esperienze vissute. A patto di non indulgere in paranoie e paure infondate, interagire attivamente con più tipi di persone (non solo coetanei, e/o affini del proprio sesso) porta per forza di cose alla scoperta di noi stessi, quindi ad apprezzarci
in toto (non soltanto la facciata) e, in definitiva, a ricavare da questi co-fattori, una percezione – questa sì, veritiera – di felicità.