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Una riflessione di J. Krishnamurti
Per trasformare se stessi è essenziale la conoscenza di sé; senza sapere che cosa siete, non vi è base per un retto pensiero, e senza conoscere voi stessi non potrà darsi alcuna trasformazione. Bisogna conoscersi come si è, e non come si desidera essere.
Conoscere se stessi come si è esige una profonda vigilanza della mente, poiché ciò che è subisce trasformazioni ininterrotte, muta senza tregua, e per seguirlo rapidamente la mente non deve attenersi ad alcun dogma o fede particolare, ad alcuno schema di azione particolare.
La realtà si troverà soltanto comprendendo ciò che è; e per comprendere ciò che è, occorre libertà, libertà dal timore di ciò che è.
Comprendere ciò che è, è estremamente difficile, perché ciò che è non è mai fermo, mai statico, è in movimento continuo. Ciò che è, è ciò che voi siete, non ciò che vi piacerebbe essere. Ma se cominciamo a condannare ciò che è, se cominciamo a biasimarlo e a resistervi, allora ci sfuggirà.
Se desidero comprendere qualcuno, non lo condannerò: dovrò osservarlo, studiarlo. Devo amare appunto la cosa che sto investigando. Similmente, per intendere ciò che è, si deve osservare che cosa si pensa, si sente e si fa di momento in momento. È questa la concretezza. Intendere ciò che si è esige uno stato mentale nel quale non si abbia né identificazione né condanna.
Questo stato di consapevolezza si verifica quando esiste l'interesse, e l'intenzione, di capire.
La comprensione fondamentale del sé non ha luogo mediante la conoscenza o l'accumulazione di esperienze: che altro non è se non coltivazione della memoria. La comprensione del sé viene di momento in momento; se accumuliamo puramente conoscenza circa il sé, quella conoscenza stessa impedisce un intendimento più profondo, perché la conoscenza e l'esperienza accumulata divengono il centro mediante il quale si mette a fuoco il pensiero.
La difficoltà, per la maggior parte di noi, è che non ci conosciamo direttamente, ma cerchiamo un sistema, un mezzo operativo mediante il quale risolvere i tanti problemi umani.
Non esiste un metodo per la conoscenza di sé. Cercare un metodo implica invariabilmente il desiderio di ottenere un qualche risultato: ed è ciò che tutti desideriamo. Seguire un sistema è invariabilmente il frutto del nostro desiderio di sicurezza, di certezza, e il risultato non è la comprensione di se stessi. Quando seguiamo un metodo, ci sono necessarie autorità – l'insegnante, il guru, il saggio, il Maestro – che ci garantiranno quel che desideriamo; e senza dubbio non è questa la via della conoscenza del sé.
L'autorità, per sua stessa natura, vieta la piena consapevolezza del sé e pertanto in ultima analisi distrugge la libertà; e nella libertà soltanto può esservi creatività. Creatività può esservi unicamente attraverso la conoscenza di sé.
Moltissimi tra noi non sono creativi; siamo macchine iterative, pure registrazioni fonografiche che suonano e ripetono senza interruzione certe canzoni dell'esperienza, certe conclusioni e certi ricordi, siano nostri, siano di qualcun altro.
Abbiamo perduto questo senso della creatività. Essere creativi non significa che si debbano dipingere quadri, o scrivere poesie e acquistare fama. Questa non è creatività: è puramente la capacità di esprimere un'idea che il pubblico applaude. Non si deve confondere abilità e creatività. L'abilità non è creativa. La creatività è una stato del tutto diverso. È una condizione nella quale il sé è assente, nella quale la mente non è più il fuoco ottico delle nostre esperienze, delle nostre ambizioni, dei nostri fini e desideri.
La creatività non è uno stato stabile, è nuova di momento in momento, è un movimento nel quale il “me”, il “mio”, non esistono, nel quale il pensiero non si focalizza su un'esperienza in particolare, sull'ambizione, sul conseguimento, sulla finalità e sulla motivazione.
Soltanto quando il sé non esiste si ha creatività. Ma è uno stato che non si può concepire né immaginare, che non si può né formulare né imitare, che non si può conseguire mediante nessun sistema, nessuna filosofia e disciplina; al contrario, esso nasce soltanto attraverso la comprensione del processo totale del sé.
La comprensione del sé non è un risultato, un culmine: è vedersi di momento in momento nello specchio della relazione che si ha nei confronti delle persone, delle idee, delle cose.
La condizione di creatività viene soltanto quando il sé, cioè il processo di riconoscimento e accumulazione, cessa di esistere. Riconoscere altro non è che il processo dell'accumulazione dell'esperienza. Ma tutti temiamo di non essere nulla, poiché tutti vogliamo essere qualcosa.
È questa l'attività incessante della mente. Una mente cosiffatta non può trovarsi in quiete e perciò non potrà intendere lo stato di creatività.
Se potremo intendere noi stessi quali siamo di momento in momento, rinunciando al processo di accumulazione*, vedremo affacciarsi una tranquillità che non sarà il prodotto della mente, una tranquillità che non sarà immaginata, né coltivata, e soltanto in quella condizione di tranquillità potrà esservi creatività.
*esempio: accumulo esperienza riguardo il giudizio altrui che mi dice: sei un perdente. Io desidero essere un vincente, e il risultato è che soffro. Accade la stessa cosa se il giudizio invece di provenire dall'esterno proviene dalla nostra interiorità.
Accade la stessa cosa se il giudizio, altrui o nostro, è positivo: sei un vincente...prima o poi quella condizione cambierà perché smetti di vincere o perché cambia il modo con cui vedi il tuo essere vincente e a questo punto vincere perde di valore e/o di significato, e tale mutamento ti fa soffrire
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