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Vecchio 14-12-2010, 15:52   #1
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Noi tre (io, Mock e Strak) siamo dei gentiluomini inglesi impegnati in discussioni dal tono elevato. Due giovinastri (Bunker e Terza), invincibilmente intolleranti nei confronti della nostra forbita conversazione, decidono di divertirsi alle nostre spalle. Ci annunciano che un famoso comico italiano giungerà presto per rendere allegra la nostra serata. Noi tre anime colte amanti dell'arte italiana, solleticati piacevolmente dall'idea di questo diversivo accogliamo la notizia con entusiasmo. Il comico italiano compare davanti ai nostri occhi: è Winston Smith.
I giovinastri ci dicono che la peculiarità di Win è quella di declamare i versi ridicoli di un poema eroicomico del medioevo, con una solennità di portamento e una serietà contegnosa nel tono della voce, che conferiscono alla recitazione uno straniante effetto comico irresistibile.
L'istrione attacca il primo verso, mentre noi con discrezione puntiamo gli occhi sui due giovinastri per cogliere le loro reazioni, l'italico idioma ci è ignoto ma non ci sembra il caso di alimentare, con la confessione della nostra lacuna linguistica, la boria dei due.
Sì, la voce profonda e potente di Winston non aveva nulla di divertente, il suo viso infervorato e dolente trasmetteva una tristezza ultraterrena, pensai... Ma i due alle sue spalle ridacchiavano senza ritegno, cercavano di soffocare a vicenda i rispettivi scoppi d'ilarità... Un riso contagioso constatammo. Le sfumature esilaranti del poema incominciarono a solleticarmi a più non posso! Anche Mock e Stark sembravano altrettanto bendisposti nei confronti del riso... Win ogni tanto sollevava le sopracciglia, avevo l'impressione talvolta, che il suo cipiglio esprimesse una furia infernale. Mi risovvenne un'espressione da un passato obliato di studi: "occhi di bragia". Era incredibile che riuscisse a mantenere quello sguardo furibondo mentre declamava imperterrito una marea di versi demenziali, pensavo. Le sue doti d'attore erano davvero raffinate. Pensai con sdegno a quegli inglesi che ancora erano convinti che la comicità italiana si riducesse tutta a Boldi, de Sica e Berlusconi...
Ogni tanto dei nomi dal suono buffo ma, stranamente, non ignoto mi facevano sbellicare fino alle lacrime: Paris, Dido... La lingua italiana è così comicamente espressiva!
Winston ad un certo punto si superò: con le mani sembrava volersi strappare la camicia in un gesto che riuscisse a contenere l'angoscia che faceva vibrare tutto il suo corpo; la nota straziante delle sue incomprensibili parole sembrava voler esprimere il dolore più profondo che l'animo umano potesse provare! Di fronte a tale melodrammatico gesto la ridicolaggine della vicenda narrata e l'assurdità dei personaggi che l'animavano ci fece sganasciare fino ad angolazioni pericolose, ma il ruggito di risa che doveva espellere era troppo potente per poter essere contenuto. Io dovetti appoggiarmi a Mock per non rotolare in terra preso dalle convulsioni per non venir meno ai principi inglesi in fatto di contegno in pubblico...

Ultima modifica di Labocania; 14-12-2010 a 15:56.
Vecchio 14-12-2010, 15:53   #2
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“morto cade”. Con questa dolenti parole si concluse l’incredibile performance di Win, in un’apoteosi di risate sfrenate che comunicavano estrema gratitudine per il meraviglioso spettacolo. L’attore ci squadrò con occhi folli, mentre la faccia rappresentava il paradigma dello sbalordimento. Si riscosse e incominciò a dimenare le braccia violentemente, mentre a lunghi passi misurava la sala avanti e indietro. Sembrava volersi strappare i capelli dal capo mentre con voce tonante, indirizzava sconvolgenti imprecazioni a soggetti non meglio identificati. Il fiammeggiare del suo sguardo e i tratti distorti della bocca mi trasmisero una certa inquietudine, ma Stark mi rassicurò affermando che quella era la maniera italiana di ricambiare gli applausi del pubblico. Lui che, aveva compiuto studi seri, giurava che si trattava di una consuetudine ereditata dagli spettacoli giullareschi presso le corti medievali. “Eh! Tipica espressione della passionalità latina!” aggiunse Mock con tono ammirato.
Nel frattempo Win, persuaso di aver ricambiato in maniera soddisfacente i nostri amichevoli tributi, si fermò e iniziò a parlare nella nostra lingua. Disse… A dire il vero è meglio non ripetere quel che ci disse, basta sapere che dopo alcune stime poco lunsinghiere delle nostre capacità intellettive, dopo aver sciorinato alcune metafore a proposito dell'aspetto delle nostre teste, ci riferì che quello che aveva declamato non era affatto un poema comico bensì il quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia, quello che trattava della passione fatale tra due giovani orribilmente oltraggiati dal destino. Disse che nemmeno un certo Papi (pronunciato con un ruggito) sarebbe stato capace di sbellicarsi di fronte tanta tragicità… Continuò con commenti, che giudicammo di pessimo gusto, a carico della nostra persona e manifestando propositi ferini all’indirizzo di noi e dei nostri parenti anche più lontani.
Stark, per contenere quella sequela di espressioni violente che non dovrebbero essere mai usate da un uomo di buona educazione, provò a far intendere di aver compreso le sue ragioni:
“L’inferno, la Divina Commedia! Ora capisco! Ho sempre amato la poesia del Boccaccia, per questo sarei lieto di ascoltarla rec…”
Il ruggito inarticolato e lo sguardo bestiale di Win gli ghiacciarono la lingua. Io mentre contemplavo la maschera folle dell’italiano non potevo fare a meno di rallegrarmi per l’istruttivo groviglio di vene e muscoli sconosciuti che potevo osservare. Un proposito indicibile sembrò attraversare la mente dell’uomo. Vide l’armatura medievale che adornava la parte, in un attimo s’impadronì della spada in acciacco inox perfettamente lavorata.
Evidentemente era persuaso che noi non avessimo ben chiara la dinamica del delitto perpetrato da Gianciotto, e con ampi gesti ci comunicava l’intenzione di istruirci proficuamente con esempi concreti.
Noi apprezzamento calorosamente il suo lodevole proposito, ma purtroppo improrogabili impegni ci avrebbero sottratto alla splendida lezione. La cortesia dell’italiano fu davvero straordinaria dovetti constatare: per evitare di farci arrivare tardi al nostro appuntamento, ci trasmise una voglia irresistibile di correre a perdifiato. Grazie al suo impulso toccammo punte di velocità fuori dall'ordinario!

Ultima modifica di Labocania; 14-12-2010 a 15:57.
Vecchio 14-12-2010, 16:06   #3
Avanzato
 

non ce la farò mai a leggerlo tutto sorry
Vecchio 14-12-2010, 16:09   #4
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Io non ci sono.

(ho usato la funzione "cerca", non l'ho letto e non lo leggo se non mi scritturi in un ruolo )
Vecchio 14-12-2010, 16:11   #5
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcherII Visualizza il messaggio
Io non ci sono.

(ho usato la funzione "cerca", non l'ho letto e non lo leggo se non mi scritturi in un ruolo )
Ok. Tu sarai il malcapitato su cui Win scatenerà la sua rabbia, visto che non è riuscito ad acciuffarci .
Vecchio 14-12-2010, 16:14   #6
Esperto
 

Uhm, in pratica faccio la figura dell'Orlando Furioso che viene a sapere le cose per ultimo, grazie
Comunque la reazione alla battuta di Stark su Boccaccio è molto realistica
Vecchio 14-12-2010, 16:14   #7
Avanzato
 

nemmeno io ci sono
Vecchio 14-12-2010, 16:17   #8
Esperto
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Quote:
Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
Uhm, in pratica faccio la figura dell'Orlando Furioso che viene a sapere le cose per ultimo, grazie
Comunque la reazione alla battuta di Stark su Boccaccio è molto realistica
Bene .
Tra l'altro mi accorgo adesso che Word me ha cambiato la vocale a Boccaccio...
Vecchio 14-12-2010, 17:17   #9
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Quote:
Originariamente inviata da moonwatcherII Visualizza il messaggio
Io non ci sono.

(ho usato la funzione "cerca", non l'ho letto e non lo leggo se non mi scritturi in un ruolo )
Quote:
Originariamente inviata da orange Visualizza il messaggio
nemmeno io ci sono
Il buon Labo ora vi accontenterà; un racconto tutto per voi.

Ringraziate Charles Dickens per il sostanzioso contributo .
Vecchio 14-12-2010, 17:30   #10
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Moon cameriere approfitta dell'ingenuità di Orange

Orange entrò nel ristorante. La sala era deserta. L’azzimato Moon l’unico cameriere presente, stese una tovaglia a bella posta per lei e mise le ampolline dell’olio e dell’aceto.
Egli le portò delle costolette e i legumi, che aveva ordinato e scoperchiò i piatti in maniera così energica che la ragazza temette d’averlo offeso in qualche modo. Impressione presto dissolta dal sorriso caloroso e dall'occhio scintillante di Moon.

– Ecco il vino che ha ordinato. Verso?-

- Sì - La versò da un boccale in un grosso bicchiere, e la tenne contro luce, facendola apparire bella.

– Veramente! – egli disse. – Sembra ottima, non è vero?

– Ieri ci fu qui un signore – egli disse – un signore molto robusto, che si chiamava Muttley... forse lo conoscete.

– No – disse Orange – non credo...

– Con le brache corte e le uose, il cappello largo, il soprabito grigio, un cravattone a piselli – disse il cameriere...

– No – rispose Orange – non ho il piacere...

– Entrò qui – disse il cameriere, continuando a guardar la luce attraverso il bicchiere; – ordinò una tazza di questo vino... lo volle ordinare... io gliel’avevo sconsigliato... la bevve,e stramazzò morto. Era troppo forte per lui. Non doveva berlo, ecco tutto.
Orange si commosse molto per il caso del povero Muttley e disse che forse avrebbe fatto meglio ad accontentarsi dell’acqua semplice.

– Ma vedete – disse il cameriere, sempre fissando la luce attraverso il bicchiere, e chiudendo un occhio – ai miei padroni non piace che si ordini la roba e poi si lasci. Se ne offendono. La berrò io, se non vi dispiace. Mi ci sono abituato, e l’abitudine è tutto. Non pensate che mi possa far male, se butto la testa all’indietro e la tracanno subito. La bevo?
Orange annuì favorevolmente. Fu lieta di constatare che Moon pareva più arzillo di prima.

– Che avete qui? – disse, puntando una forchetta sul piatto. – Costolette, forse?

– Costolette – disse.

– Che il signore vi benedica! – egli esclamò. – Non sapevo che fossero costolette! Ebbene, una costoletta è proprio ciò che ci vuole per scongiurare i cattivi effetti di quella birra. Non è una fortunata combinazione?
Così con una mano prese dalla parte dell’osso una costoletta e con l’altra una patata (), e divorò tutto in un istante.
Quand’ebbe finito, le portò un profiterol e dopo averlo posto dinanzi alla ragazza, parve meditare e distrarsi per alcuni istanti.

– Che cosa è questo pasticcio? – disse, svegliandosi.

– Un profiterol – rispose.

– WoW! – egli esclamò. – To’, che il Signore mi benedica, proprio un profiterol! Che! – esaminandolo più da presso. – Non mi volete dare a intendere che sia un profiterol ripieno.

– Sì, ripieno.

– Ebbene, il profiterol ripieno – disse, afferrando un cucchiaio – è la mia passione. Che combinazione fortunata! Avanti, piccina, facciamo a chi ne piglia di più.

Certamente ne pigliò più lui. Orange pensò che nessun altro mai sapesse goder tanto d’un profiterol; e si mise a ridere, quando la vivanda fu tutta sparita, come se il piacere durasse ancora.
Vedendolo così affabile e socievole, Orange gli chiese una penna per scrivere una cartolina. Non solo la portò immediatamente, ma fu tanto buono da legger la cartolina mentre la scriveva offrendosi di spedirla personalmente.

– E’ indirizzata a Roma! – disse con tono d’abbattimento. – Me ne dispiace molto.

– Perché? – chiese Orange.

– È caro – egli disse – per il dazio. 30 euro. Questo paese è pieno di balzelli. Ma non c’è altro, tranne la mancia. Non contate l’inchiostro. Ce lo rimetto io di tasca mia.

– Che dovreste... che dovrei... quanto dovrei pa... quanto sarebbe giusto dare per mancia, se non vi dispiace? – balbettò Orange, arrossendo.

– Se non avessi una famiglia, e questa famiglia non avesse il vaiuolo – disse Moon – non prenderei neanche 30 euro. Se non mantenessi una cara sorella – a questo il cameriere si commosse molto – non accetterei neanche un centesimo. Se avessi un buon posto, e fossi trattato bene qui, pregherei io gli avventori di accettare una mia piccola offerta, invece di accettarla io da loro. Ma io vivo di miseri avanzi... e dormo sul carbone; – e a questo Moon scoppiò in lagrime.
Profondamente commossa dalle sue disgrazie, a Orange parve che un segno di riconoscenza minore di 50 euro potesse rappresentare da parte sua un vero indizio di brutalità e di durezza di cuore. Perciò gli diede una banconota, ed egli la prese con molta umiltà e venerazione, benché, immediatamente dopo, la guardasse in controluce, per veder se non fosse falsa.

Orange uscì dal ristorante a stomaco praticamente vuoto, ma felice di aver fatto felice quel disgraziato di Moon.
Vecchio 14-12-2010, 17:50   #11
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Azz moon truffatoruccio da quattro soldi... lo vedi che ho ragione io? Circuisci le povere ragazze per rubare costolette birra e dolci, non baci
Vecchio 14-12-2010, 18:02   #12
Avanzato
 

ecco adesso che appaio in un racconto sono contenta
Vecchio 14-12-2010, 18:40   #13
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Decadent, Just e il quadro.

- Dec ci sarebbe un quadro da appendere nella mia cameretta! – Esclama Ju allegra.

- Non ti preoccupare figliola, faccio tutto da me.

Si toglie la giacca e comincia col mandare Time a comprare sei euro di chiodi e quando quella era già uscita la faceva rincorrere da Night per dirle di che lunghezza dovevano essere; e così, a poco a poco, metteva in moto tutta la famiglia.

- Tu, Dasil, vai a prendermi il martello, - gridava, - e tu, James, portami la riga; mi occorrerà la scala a pioli e sarà meglio che mi portiate anche una seggiola di cucina. Tu, Myway, fai un salto dal signor Redman e digli: "Papà le manda i suoi saluti e spera che la sua gamba vada meglio e la prega di imprestargli la livella". E tu, Rorò, non te ne andare, mi occorrerà qualcuno che mi tenga il lume; e appena la ragazza torna dovrà uscire di nuovo per un po' di cordone da tappezziere; e... Bunk! dove si è cacciato Bunk? Vieni qui; avrò bisogno di te per farmi porgere il quadro.
Poi nell'alzare il quadro se lo lasciava scappare di mano; il quadro usciva dalla cornice e lui, nel tentativo di non far rompere il vetro, si tagliava e si metteva a correre per la stanza in cerca del fazzoletto.
Il fazzoletto non riusciva a trovarlo perché stava nella tasca della giacca e tutti quanti dovevamo smettere di cercare gli arnesi per correre alla scoperta della giacca mentre lui ci saltabeccava dietro.

- Ma è mai possibile che in tutta la casa non ci sia uno che sappia dove è la mia giacca? Mai visto in vita mia un'accozzaglia di scemi come voi, parola d'onore mai vista in vita mia. Siete in sei! e in sei non siete capaci di trovare una giacca che mi sono tolto non più tardi di cinque minuti fa! Bene... per tutti...

Poi si alzava e scopriva che stava seduto sulla giacca. E allora gridava:
- Potete smettere di cercare; me la sono trovata da me. Tanto valeva rivolgersi al gatto.
Poi, dopo avere impiegato mezz'ora a fasciarsi il dito, e avere comperato un altro vetro, e avere portato gli utensili, la scala, la sedia e la candela, ricominciava il lavoro, con tutta la famiglia, incluse la giovane domestica e la donna a ore, in semicerchio intorno a lui, pronta ai suoi ordini. Due dovevano reggere la scala, un terzo doveva aiutarlo a salire e sostenerlo lassù, un quarto gli doveva porgere il chiodo, un quinto il martello; lui tentava di puntare il chiodo alla parete e lo lasciava cadere.
- Corpo... - diceva allora, come offeso, - il chiodo è scappato!
E tutti noi dovevamo metterci in ginocchio alla pesca del chiodo mentre lui restava in piedi sulla sedia brontolando e chiedendo se per caso non avessimo l'intenzione di farlo rimanere là per tutta la serata.
Finalmente qualcuno trovava il chiodo, ma nel frattempo lui non sapeva più dov'era il martello.

- Dov'è il martello? Ma che ne ho fatto di questo benedetto martello? Santo Cielo! Possibile che tutti e sette ve ne stiate lì come allocchi e non sappiate che ne ho fatto del martello?

Gli trovavamo il martello, ma lui non trovava più il segno che aveva fatto sulla parete dove avrebbe dovuto piantare il chiodo e ciascuno di noi saliva a turno sulla sedia dietro di lui per cercare di scoprirlo. Succedeva che ognuno di noi vedesse il segno in un punto diverso e lui ci dava del cretino, a tutti, uno dopo l'altro, e ci faceva scendere. Allora prendeva la riga e ricominciava concludendo che il buco doveva esser fatto alla metà di trentun pollici e tre ottavi dall'angolo e perdeva la testa a fare il calcolo a mente.
Tutti ora ci sforzavamo a fare quel calcolo a memoria e arrivavamo a risultati diversi canzonandoci a vicenda. Succedeva che in tanto calcolare dimenticavamo il dato originale e Dec doveva riprendere le misure.

Questa volta però si serviva di uno spago e al momento critico, quando quel buon vecchio matto pendeva dalla sedia e tentava di arrivare a un punto che stava tre pollici più in alto di quanto egli potesse giungere, lo spago gli scivolava dalle dita e lui cadeva sul pianoforte battendo col capo e col corpo su tutti i tasti allo stesso tempo e producendo un effetto musicale veramente notevole.

E la zia Terza diceva che non avrebbe permesso che i bambini rimanessero lì a sentire un linguaggio simile. Finalmente Dec trovava il posto e vi appoggiava la punta del chiodo reggendolo con la mano sinistra mentre con la destra prendeva il martello. Alla prima martellata si schiacciava un dito ed emettendo un urlo lasciava cadere il martello sul piede di qualcuno di noi zia Terza, tutta tenerezza, diceva che la prossima volta che Dec avrebbe dovuto conficcare un chiodo nella parete, sperava che glielo avesse fatto sapere in tempo affinché, mentre egli faceva quello, lei potesse combinare un viaggio di una settimana da sua madre.

- Oh! Voi donne fate un can-can per qualsiasi piccolezza!
rispondeva Dec riprendendo il controllo di se stesso. In fondo con questi lavoretti mi ci diverto.

Ed eccolo a fare un altro tentativo. Al secondo colpo il chiodo sprofondava nell'intonaco e mezzo martello spariva dietro di lui:
Dec per forza di inerzia sbatteva contro la parete acciaccandosi il naso.

E ricominciava la ricerca dello spago e della riga e si faceva un altro buco. Verso mezzanotte il quadro era appeso... di traverso e pericolante; alcuni metri della parete sembravano raschiati con un rastrello e tutti noi, ad eccezione di Dec r, eravamo stanchi morti, in uno stato miserevole.

- Ecco fatto, - diceva lui scendendo pesantemente dalla sedia sui piedi di Solitudine e guardando con evidente orgoglio la strage compiuta. - C'è della gente che per una sciocchezza simile sarebbe stata capace di chiamare un operaio. Contenta Ju?
Just, troppo stanca per opporre un qualunque appunto, annuisce sconsolata.
Vecchio 14-12-2010, 18:46   #14
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la risata contagiosa di terza
Vecchio 14-12-2010, 18:47   #15
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Ehi, disgraziato a chi!?
Vecchio 14-12-2010, 18:48   #16
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bello labooooooooooooooo
Vecchio 14-12-2010, 20:23   #17
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ahahahahahahahahahahahahahahhhahaha
Vecchio 14-12-2010, 21:40   #18
Esperto
L'avatar di Labocania
 

Clang consulta l’enciclopedia medica; ovvero pagine sottratte da un senza il consenso dell’autore.


Ricordo che una sera, ero particolarmente affaticato dagli aridi capitoli della mia scienza. Così, per diporto, presi l’enciclopedia medica e distrattamente iniziai a voltare le pagine e scorrere la descrizione delle varie malattie; e prima ancora che avessi dato un'occhiata alla metà dell'elenco dei "sintomi premonitori" c'era in me la certezza assoluta che, ovviamente, avessi tutte quelle malattie. Rimasi per un momento agghiacciato dall'orrore, poi con l'indifferenza della disperazione, continuai a sfogliare le pagine. Arrivai alla febbre tifoidea - ne lessi i sintomi scoprii che avevo la febbre tifoidea, che dovevo portarmela addosso da mesi senza accorgermene - mi chiesi che altro ancora avessi; mi capitò sott'occhio il Ballo di San Vito - scoprii, come previsto, d'avere anche quello - e cominciando a interessarmi al mio caso decisi di scrutarmi fino in fondo e quindi ripresi la lettura in ordine alfabetico. Lessi: brividi di febbre intermittente, e seppi che ne soffrivo e che la crisi acuta sarebbe cominciata tra una quindicina di giorni. In quanto a Bright e alla sua malattia del rene, rimasi consolato scoprendo che l'avevo solo in una forma di sottospecie e che, quanto a lei, mi avrebbe fatto vivere per anni.
Il colera ce lo avevo e con gravi complicazioni; con la difterite sembrava che ci fossi nato. Mi sprofondai coscienziosamente in tutte e ventisei le lettere e arrivai alla conclusione che l'unica malattia da cui ero esente era il ginocchio della lavandaia.
Questa scoperta al primo momento mi lasciò piuttosto deluso, mi parve quasi un affronto. Perché mai non avevo il ginocchio della lavandaia? Perché questa invidiosa eccezione? Ma dopo un po', grazie a Dio, prevalsero sentimenti meno avidi. Riflettei che avevo tutte le altre malattie conosciute dalla farmacologia e così mi sentii meno egoista e decisi di fare a meno del ginocchio della lavandaia. La gotta, sembrava che mi avesse ghermito nella forma più maligna senza che ne avessi coscienza; in quanto alle fermentazioni per zimosi evidentemente ne soffrivo dalla fanciullezza. Dopo la zimosi non c'erano altre malattie e così conclusi che non avevo altro.

Rimasi lì seduto a meditare. Pensai... che caso interessante devo essere io dal punto di vista clinico; che pacchia per una scuola!
Gli studenti, avendo me, non avevano più bisogno di fare pratica ospedaliera. L'ospedale ero io; sarebbe bastato fare un giro intorno a me e poi potevano prendersi la laurea.
Pensai a quanto tempo ancora mi rimanesse da vivere. Tentai di esaminarmi. Mi tastai il polso. In principio non lo trovai, ma poi sembrò che cominciasse a battere tutto di un colpo. Tirai fuori l'orologio e contai. Andava a cento e quarantacinque pulsazioni al minuto. Cercai di sentirmi il cuore. Ma il mio cuore non lo trovai. Non batteva più. Ero sempre stato d'opinione che doveva esserci, e aver pulsato; quindi non mi potevo render conto di che cosa era accaduto. Mi palpai dappertutto sul davanti, da quella che io chiamo la mia vita fino alla testa, e un po' attorno da ciascun lato e un po' sulle spalle. Ma non riuscivo a sentire né udire nulla. Cercai di guardarmi la lingua. La cacciai fuori per quanto fu possibile, chiusi un occhio e cercai di esaminarla con l'altro. Non riuscivo a vedere che la punta e l'unica cosa che ci guadagnai fu di esser certo più di prima che avevo la scarlattina.

Avevo aperto quel libro felice e pieno di salute. Quando lo chiusi, ero un decrepito relitto .
E mi recai dal mio medico Histo. E' una vecchia amica e tutte le volte che che mi metto in testa di di essere ammalato, lei mi tasta il polso, mi guarda la lingua, parla del tempo che fa, tutto ciò gratis; e pensai che, andandoci ora, gli avrei reso un bel servizio. Mi dicevo: "I medici hanno bisogno di pratica. Histo avrà me. Farà più pratica con il mio corpo che con quelli di mille e settecento di quegli ammalati comuni, trascurabili, che non hanno che una o due malattie ciascuno".
Andai dritto dritto da lei, la trovai in casa e lei disse:

- Claaaaaaaaaaaaaaanggggg!!!!!!!! Ciao!!!! Dunque! Che cos'hai?

Io dissi:

- Cara Histo, non ti farò perdere tempo elencandoti i malanni che ho. La vita è breve e tu potresti andare all’altro mondo prima che io finisca. Ti dirò quello che non ho. Non ho il ginocchio della lavandaia. Perché proprio non abbia anche il ginocchio della lavandaia non lo capisco, ma il fatto è che non ce l'ho. Però, gli altri malanni ce li ho tutti!

E le raccontai come ero approdato a quella verità.

Histo mi sbottonò e si mise ad osservarmi, mi afferrò il polso e mi colpì il petto quando me lo aspettavo – un’autentica vigliaccata, dico io - e subito dopo cominciò a darmi testate col viso per appoggiare l'orecchio al mio petto. Dopo di che si accomodò e scrisse una ricetta, la piegò e me la porse. Io me la misi in tasca e uscii.
Non la lessi. Andai dal primo farmacista e gliela diedi. Il buon uomo la lesse e me la porse indietro.
Disse che non poteva servirmi.

Io dissi:
- Ma non è un farmacista, lei?

Lui disse:
- Sono un farmacista. Se avessi un negozio di generi alimentari potrei servirla. Ma il fatto di essere soltanto un farmacista mi limita fortemente.

Lessi la ricetta: Diceva:

1 libbra di bistecca, con 1 bottiglia di birra, ogni 6 ore.

1 passeggiata di dieci miglia ogni mattina.

Andare a letto alle 11 in punto tutte le sere.

E non t’infarcire la testa di cose che non puoi capire.

Seguii la prescrizione col risultato (felice risultato, per quanto mi riguarda) di aver salva la vita, che ancora continua.
Vecchio 14-12-2010, 21:48   #19
Banned
 

...un clang ipocondriaco
Davvero complimenti Labo
Vecchio 14-12-2010, 21:50   #20
Esperto
L'avatar di just92
 

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
[B]Clang
E le raccontai come ero approdato a quella verità.

Histo mi sbottonò e si mise ad osservarmi, mi afferrò il polso e mi colpì il petto quando me lo aspettavo – un’autentica vigliaccata, dico io - e subito dopo cominciò a darmi testate col viso per appoggiare l'orecchio al mio petto.
ehm...solo io ci vedo un non so che di molto ambiguo?
(dovrebbe esserci stata time al posto di histo, allora si che la cosa avrebbe avuto veramente senso diventando un racconto a luci rosse LOL)

Ultima modifica di just92; 14-12-2010 a 21:53.
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