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Vecchio 27-05-2018, 23:57   #1
Esperto
L'avatar di E. Scrooge
 

Ho notato che molti non fobici che dicono di apprezzare le opere dei grandi letterati possono considerarsi parte del gruppo di coloro, che se avessero davanti ai propri occhi uomini dalla sensibilità pari a quella dei protagonisti dei classici della letteratura, non farebbero altro che deriderli. Mi sembra che la letteratura al giorno d'oggi sia considerata come una chicca che le persone "colte" devono tenersi in saccoccia allo scopo di fare bella figura davanti agli altri, più che come un divertimento o una passione. Voglio dire, fra coloro che si dicono cultori dei classici, quanti, anche fra i professori universitari, hanno mai sperimentato sentimenti analoghi a quelli provati dal giovane Werther? Quanti si sono mai sentiti come Frédéric Moreau? A volte ho la sensazione che gli unici a possedere le potenzialità necessarie allo scopo di apprezzare davvero i classici siano i sociofobici. Non è snobismo il mio. Il fatto è che non riesco proprio a comprendere come un individuo "normale" e realizzato in tutto possa apprezzare opere che parlano precipuamente di "mal di vivere". Chi non ha mai sofferto di depressione maggiore come potrebbe comprendere a pieno i bellissimi versi di Hölderlin che, come tutti i depressi, comincia la sua giornata con titubanza e angoscia per poi calmarsi col passare delle ore?

« M'era, giovane, lieta la mattina
e di pianto la sera; ora più vecchio
io dubitando il mio giorno inizio
ma mi è santa e serena la mia sera »

Chi ha sempre ottenuto tutto dalla vita come può comprendere il dolore di un amore non ricambiato, l'angoscia delle solitudine o la ferita di chi, solo da sempre, non ha mai ricevuto un briciolo d'amore? Nelle università e nelle scuole le persone che arrivano anche solo ad intuire quello che gli autori intendevano esprimere si contano sulle dita di una mano. Tutti si dedicano allo studio della storia della letteratura, praticano autopsie, spulciano asetticamente il testo dedicandosi a delle noiosissime attività filologiche, ma nessuno è più in grado di percepire il dolore ed il sentimento del poeta. Voi cosa pensate a riguardo? Sono paranoie mie o anche voi avete percepito questo gap tra le "persone dotte" e l'anima delle opere letterarie?

Scusate il papiro e gli argomenti un po' distanti dalle problematiche più urgenti di questo forum, ma è uno sfogo che conservavo sulla punta della lingua da un po' e mi andava di condividerlo.

Ultima modifica di E. Scrooge; 28-05-2018 a 18:58.
Ringraziamenti da
Ergo Proxy (28-05-2018)
Vecchio 28-05-2018, 00:55   #2
Avanzato
L'avatar di Blackhoney
 

Bravissimo.
Leggono dei grandi classici della letteratura credendo forse che spesso siano opere di fantasia...
E li sostengono, pare li apprezzino davvero...
Ma chi è davvero in grado di capire quelle vicende?
Avessero in carne e ossa davanti a loro i personaggi di quegli stessi classici li deriderebbero in zero minuti, e lo so per certo perchè ho visto scene di sto tipo coi miei occhi.
Ecco perchè l'arte, la letteratura, la musica, non sono per tutti... Non tutti possono capirla davvero.


Comunque non viene trattato solo il mal di vivere, però c'è da dire che le opere frutto dei pazzi e dei negativi sono da sempre le migliori (almeno secondo un parere soggettivo), perchè sono sempre più cariche di significato e sentimento
Ringraziamenti da
Myway (29-05-2018)
Vecchio 28-05-2018, 02:27   #3
Banned
 

Quote:
Originariamente inviata da E. Scrooge Visualizza il messaggio
Ho notato che molti non fobici che dicono di apprezzare le opere dei grandi letterati possono considerarsi parte del gruppo di coloro, che se avessero davanti ai propri occhi uomini dalla sensibilità pari a quella dei protagonisti dei classici della letteratura, non farebbero altro che deriderli. Mi sembra che la letteratura al giorno d'oggi sia considerata come una chicca che le persone "colte" devono tenersi in saccoccia allo scopo di fare bella figura davanti agli altri, più che come un divertimento o una passione. Voglio dire, fra coloro che si dicono cultori dei classici, quanti, anche fra i professori universitari, hanno mai sperimentato sentimenti analoghi a quelli provati dal giovane Werther? Quanti si sono mai sentiti come Frédéric Moreau? A volte ho la sensazione che gli unici a possedere le potenzialità necessarie allo scopo di apprezzare davvero i classici siano i sociofobici. Non è snobismo il mio. Il fatto è che non riesco proprio a comprendere come un individuo "normale" e realizzato in tutto possa apprezzare opere che parlano precipuamente di "mal di vivere". Chi non ha mai sofferto di depressione maggiore come potrebbe comprendere a pieno i bellissimi versi di Hölderlin che, ormai pazzo e isolato nella sua torre, come tutti i depressi comincia la sua giornata con titubanza e angoscia per poi calmarsi col passare delle ore?

« M'era, giovane, lieta la mattina
e di pianto la sera; ora più vecchio
io dubitando il mio giorno inizio
ma mi è santa e serena la mia sera »

Chi ha sempre ottenuto tutto dalla vita come può comprendere il dolore di un amore non ricambiato, l'angoscia delle solitudine o la ferita di chi, solo da sempre, non ha mai ricevuto un briciolo d'amore? Nelle università e nelle scuole le persone che arrivano anche solo ad intuire quello che gli autori intendevano esprimere si contano sulle dita di una mano. Tutti si dedicano allo studio della storia della letteratura, praticano autopsie, spulciano asetticamente il testo dedicandosi a delle noiosissime attività filologiche, ma nessuno è più in grado di percepire il dolore ed il sentimento del poeta. Voi cosa pensate a riguardo? Sono paranoie mie o anche voi avete percepito questo gap tra le "persone dotte" e l'anima delle opere letterarie?

Scusate il papiro e gli argomenti un po' distanti dalle problematiche più urgenti di questo forum, ma è uno sfogo che conservavo sulla punta della lingua da un po' e mi andava di condividerlo.
Stupendo post. Fra le opere che hai citato mi identificherei in Frédéric Moreau....
Ringraziamenti da
E. Scrooge (28-05-2018), Silent Bob (28-05-2018)
Vecchio 28-05-2018, 03:02   #4
Principiante
 

Penso anch'io la stessa cosa da tantissimi anni, tanto che avrei voluto aprirci un topic. Sono contento di leggere che qualcun altro pensi la stessa cosa. Esiste un gap, come hai detto tu, che riguarda l'arte tutta e non solo le persone colte, ma anche gente qualsiasi che si trova ad apprezzare un film drammatico o il testo di una canzone esistenzialista, ma nella realtà quegli stessi eventi o stati d'animo non starebbe ad apprezzarli ma appunto a deriderli. La rigida verità (usando la dose di comprensione che non mi ritorna facilmente) è che l'arte trasfigura il fatto bruto rendendo fruibile ed apprezzabile ciò che nella vita reale è sconveniente, fonte di paura e pertanto puntualmente rifuggito, volentieri deriso nel tentativo di esorcizzare lo spauracchio. Da ragazzino mi ricordo che pensavo spesso a questo come superficialità e ipocrisia e falsità dell'egoismo dell'altro. Pensavo che molti, tanti, "tutti" non avrebbero avuto il coraggio di gettare la maschera, cosa che io tentavo di fare con un certo orgoglio quasi, come fosse un atteggiamento di ribellione, uno schiaffo in faccia (alla maschera) della gente tutta presa dalla smania di recita. Quel che dici per cui non si salvano neanche i letterati rende il misfatto ancora più insopportabile e imperdonabile, ma finché io sono rimasto immerso nell'ambiente universitario della letteratura ho trovato dimensioni di respiro e realizzazione ed empatia (respiro... molto respiro). Fuori da lì... come l'albatro infermo di Baudelaire:


Sovente, per diletto, i marinai catturano
degli albatri, grandi uccelli marini
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
il bastimento scivolante sopra gli abissi amari.

Appena li hanno deposti sulle tavole, questi
re dell'azzurro, goffi e vergognosi,
miseramente trascinano ai loro fianchi le grandi,
candide ali, quasi fossero remi.

Come è intrigato e incapace, questo viaggiatore alato!
Lui, poco addietro così bello, com'è brutto e ridicolo!
Qualcuno irrita il suo becco con una pipa mentre un altro,
zoppicando, mima l'infermo che prima volava!

E il poeta, che è avvezzo alle tempeste e ride dell'arciere,
assomiglia in tutto al principe delle nubi: esiliato
in terra, fra gli scherni, non puo' per le
sue ali di gigante avanzare di un passo.

Ultima modifica di Robinik; 01-06-2018 a 00:03.
Vecchio 28-05-2018, 03:11   #5
Banned
 

Credo che certi "abissi" siano davvero molto difficili da osservare con una qualche partecipazione. Vi è una minoranza che lo fa pur senza esserci affondata, mossa da un desiderio di conoscenza fortunosamente rimasto integro: ad esempio Dostoevskij. Si arrende a farlo a volte chi, come ad esempio Pavese, è messo alle strette dalla vita (e anche tra questi, una minoranza: questo forum lo testimonia).

Un conto però è capire la fenomenologia di qualcosa, un altro darle un significato realistico. Un fobico può senz'altro capire le Memorie del sottosuolo, e un depresso Il mestiere di vivere, ma come interpretano quello che leggono?

Sicuramente è comunque rinfrancante trovare qualcuno i cui pensieri e le cui emozioni assomigliano alle nostre, e dà un certo sollievo da un desiderio di "cambiare" spesso declinato in forma gravemente sminuente (la cui formulazione implica tra l'altro che lo si è già, cambiati).
Vecchio 28-05-2018, 08:55   #6
Esperto
L'avatar di E. Scrooge
 

Mi fa piacere non essere l'unico, grazie a tutti per i bei commenti.
Vecchio 28-05-2018, 10:16   #7
Esperto
L'avatar di Weltschmerz
 

In teoria un libro fatto bene dovrebbe aiutare a comprenderlo.

Ogni volta che leggo libri che parlano della vita di un'altra persona, le emozioni e i pensieri del protagonista mi sembrano completamente diversi dai miei, come se provenissero da un altro mondo.

Mi sa che ho un'esperienza troppo limitata per capire veramente gli altri.
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