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Vecchio 25-01-2012, 10:04   #1
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Che cos'è il metodo autobiografico?

1. Non solo un genere letterario

L'autobiografia è un genere letterario antico alla portata di chiunque sappia leggere e scrivere e voglia raccontare di sé, della propria vita, di quel che ha fatto, imparato e visto nel corso degli anni.
Oggi l'autobiografia è stata riscoperta anche come metodo di formazione, poiché raccontandosi - indipendentemente dall'età - si apprende a documentare la propria esperienza al passato e al presente, a lasciare una testimonianza di sé agli altri, a scrivere con più motivazione, a pensare e a riflettere meglio.
La declinazione pedagogica dell'autobiografia annovera da oltre vent'anni studi ed esperienze internazionali, applicazioni nel mondo delle relazioni d'aiuto, del lavoro e della promozione delle culture locali e del benessere individuale, e nella scuola di ogni ordine e grado, all'interno dei programmi di educazione del pensiero e dell'intelligenza, delle emozioni e della reciprocità interculturale.



2. Un metodo autoformativo

Per questo è meglio definire l'autobiografia un metodo autoformativo che ciascuno, da solo o con l'aiuto di un educatore esperto, può sperimentare in prima persona: autocorreggendosi, autovalutandosi, scoprendo potenzialità narrative prima sconosciute e rivelando così le sue doti creative nascoste.
Per stimarsi di più, innanzitutto, per prendersi cura di sé, per costruire e accompagnare lo sviluppo e i cambiamenti della propria identità, approfittando della pagina scritta (un diario, un memoriale, una lettera ecc.) e, quindi, per conoscersi meglio.

Inoltre è ormai accertato scientificamente che lo scrivere la propria storia, esercitandosi quotidianamente, facendo di tanto in tanto un bilancio in certi passaggi e fasi dell'esistenza, educa allo sviluppo del proprio mondo interiore: stimola a ricordare, a concentrarsi, a ragionare a partire da se stessi, ad apprezzare la solitudine e la meditazione.



3. Un'attività filosofica

La scrittura di sé alimenta domande e interrogativi sul perché e come si è vissuto, perché si sono fatte talune scelte e non altre. Ogni autobiografo ha modo quindi di riscoprire i grandi misteri, legati al senso della propria storia, che si ripresentano di fronte alle esperienze cruciali (l'amore, la gioia, la felicità, il dolore, la morte, ecc.) di cui ogni autobiografia racconta.

Molti filosofi (Marco Aurelio, Sant'Agostino, Montaigne, Rousseau, e oggi Ricoeur, Derrida, Foucault ecc.) non a caso hanno eletto l'autobiografia a strumento e via per cercare la verità, indagando sulla propria.
Religiosità e spiritualità laica si incontrano nel comune rispetto per la singolarità e l'irripetibilità di ogni vicenda umana proprio nel prestare ascolto ai racconti autobiografici.



4. Autobiografie e storie di vita

Benché sia necessario distinguere tra l'autobiografia (che implica sempre l'uso della scrittura nel racconto di sé e del proprio punto di vista) e le storie di vita (che possono essere costituite da racconti orali registrati o trascritti), rientrano nella metodologia autobiografica anche tutte le testimonianze personali di un'esperienza.
Ne consegue che il raccogliere storie per trasformarle in biografie come l'ascoltare soltanto un racconto ci forniscono descrizioni e osservazioni su come si vive o si è vissuto in un luogo, in un territorio, in una famiglia, in una scuola, in un'azienda, in qualsiasi situazione in cui gli esseri umani si siano scambiati racconti e abbiano appreso reciprocamente.



4. L'educatore autobiografo

Con questa denominazione si intende lo specialista in pedagogia e didattica che insegna a scrivere la propria storia e a raccogliere le storie degli altri.

E' un mediatore di comunicazione che facilita lo scrivere, proponendo esercizi, giochi, esperienze creative di carattere narrativo; che raccoglie e riorganizza le testimonianze tanto dei bambini o degli adolescenti quanto degli adulti o degli anziani per conservarle e proteggerle, per riproporle in lettura; che accompagna - quando lavora nel disagio, con la vecchiaia, con l'handicap, con i giovani in difficoltà - e assiste, svolgendo una funzione di incoraggiamento e promozione dell'autostima.

Tale figura, riconoscibile in un docente, in un educatore, in un animatore, in un pedagogista ecc. si preoccupa anche di fornire, dove lo si richieda, interpretazioni non psicologiche ma filosofiche e pedagogiche sulle potenzialità, sugli stili di pensiero, sulle competenze cognitive, su quanto il soggetto potrebbe ulteriormente aggiungere e sviluppare raccontandosi, pure esplorando altre domande, linguaggi e modalità narrative.
Vecchio 25-01-2012, 10:20   #2
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4.2 La tecnica autobiografica

AUTOBIOGRAFIA NELLA LOTTA CON L'OBLIO.
La scrittura di sé viene analizzata qui come uno strumento per lasciare una traccia di se stessi.

Il sentimento dell’ Cap. 4.1 esserci, è indubbiamente sorretto da una pratica pedagogica e insieme narrativa, di recente sviluppo, l’autobiografia che si caratterizza come “processo cognitivo di ricognizione della memoria personale” (Mantegazza, 1996, pag. 50).
Scrivere di sé concretizza questo sentirsi presenti a se stessi e al mondo di cui sentiamo aver bisogno. Ci ridona la consapevolezza che ci siamo e che siamo stati, ci colloca nel contesto delle relazioni che abbiamo vissuto e dei luoghi che abitano lucidamente la nostra memoria.
Scrivendo abbiamo la possibilità, di far affiorare dai più significativi ricordi della nostra vita a quelli irrisori, nell’intreccio delle relazioni con le persone che abbiamo di volta in volta incontrato; questa modalità ci dà inoltre la possibilità di connetterli secondo nessi personali, che diano un senso preciso a ciò che è il nostro passato e di conseguenza al nostro presente e a quel che verrà.
L’autobiografia infatti, come apprendiamo dalle parole di Demetrio: “È la testimonianza che abbiamo vissuto e siamo apparsi su questo pianeta per un certo periodo; Cap. 4.1.2 unici tra miliardi di individui che ci hanno preceduto, ci sono contemporanei e ci seguiranno” (Demetrio, 2004, pag. 207).
Essa è un lavoro personale di trascrizione di ricordi e tracce che si contrappone all’oblio della dimenticanza.
È quindi la memoria ciò che fa in modo che noi restiamo vivi, anche quando ce ne andiamo. Questo è reso possibile dalla trascrizione di ciò che abbiamo vissuto o dal tramandare pezzi di noi a chi verrà, attraverso oggetti e memorie che ci raccontano.
In realtà l’ombra dell’oblio fa comunque parte di noi, e sappiamo che c’è qualcosa che fatalmente ci sfugge o è già perduta, e che lascia un vuoto in suo luogo.
Lottiamo ogni giorno, estenuamente con questa oscura entità che fa scomparire parti di noi e soprattutto ha fatto scomparire chi ci ha preceduto. Un bisnonno o un lontano parente rivivono nel momento in cui qualcuno racconta di loro, fosse anche di un solo aneddoto che ha riguardato la sua vita, il suo passaggio su questa terra.
Scrivere un'autobiografia è un modo per lasciare un pezzo di noi su questa terra, per coloro che ci sopravvivranno, o che verranno dopo di noi in un epoca che non ci apparterrà.
È Cap. 5.2 fotografare il tempo che scorre, per cercare di fermarlo, nell’estremo desiderio di essere immortali, per chi non sa accettare la morte, sia la propria che quella degli altri.
È la pretesa di Cap. 5.4.1 contrastare l’oblio, la totale dimenticanza che incombe sulla vita effimera.
Siamo infatti ininterrottamente in divenire e ogni istante vissuto si muta immediatamente in passato, tutto si trasforma irrimediabilmente e quello che possiamo fare per fermare questa inevitabile necessità, è raccontarci a chi un giorno preserverà il ricordo di chi siamo stati.
Scrivere la nostra autobiografia significa consegnarci in qualche modo all’eternità, al seppur precario supporto di un quaderno, di un diario oppure di un foglio elettronico salvato nel nostro personal, o inciso su un cd conservato in un cassetto.
Scrivere di noi, è innanzitutto sfidare l’oblio della dimenticanza, cercando di rendere salda la nostra esistenza nella nostra memoria e soprattutto in quella degli altri.
Il nostro essere stati lascerà dietro di sé un “pieno”, una traccia indiscussa del cammino che abbiamo compiuto, nelle persone che abbiamo incontrato non rimarrà di noi solo il silenzio. “L’oblio è così il demone da sconfiggere, che allontana dalla certezza di essere stati per l’eternità, una volta per tutte e per sempre, nel tempo” (Demetrio, 2004, pag. 67).
Siamo stati dunque, e questo tratto del tempo che abbiamo modificato con la nostra presenza, non tornerà integro perché mutato per sempre. Il nostro passaggio rimarrà indelebile, grazie alla modalità con cui abbiamo vissuto e a ciò che di noi abbiamo saputo lasciare negli altri, un strumento utile a questo scopo è sicuramente la scrittura di sé.
Il racconto di noi stessi è infatti costituito dai nostri desideri e speranze, che attraverso la narrazione delle nostre esperienze possono portare alla luce Cap. 3.2 energie creative volte al cambiamento, nella convinzione che il futuro sia ancora gestibile e modificabile da noi stessi.
Essa incarna il nostro più intimo desiderio, l’immortalità a cui tendiamo e che possiamo raggiungere soltanto lasciando un pezzo di noi per chi verrà, per dare un senso al nostro lento incedere consapevoli della nostra finitezza e caducità.
Grazie alla tecnica autobiografica manifestiamo la voglia di vivere ancora, anche accettando di farlo in una forma sostanzialmente diversa, nella memoria e nelle menti di altre persone. Scrivendo la storia della nostra vita siamo sicuri che qualcuno un giorno ritroverà le nostre memorie e magari racconterà di noi, tenendoci in vita ancora un poco. Nel contempo questa narrazione esprime la nostra costante “paura che tutto si disperda nell’istante, se non trattenuto da parole che, comunque, non ci salveranno dalla impermanenza” (Demetrio, 2002, pag. 141).
Vecchio 25-01-2012, 10:35   #3
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L’Autobiografia: raccontarsi come cura di Sé di Gabriella D'Amore Costa

fogli bianchi sono la dismisura dell’anima
e io su questo sapore agrodolce
vorrò un giorno morire,
perché il foglio bianco è violento.
Violento come una bandiera,
una voragine di fuoco,
e così io mi compongo
lettera su lettera all’infinito
affinchè uno mi legga
ma nessuno impari nulla
perché la vita è sorso,
e sorso di vita i fogli bianchi
dismisura dell’anima

(Alda Merini)



Cercavo un incipit per parlare di autobiografia, qualcosa che toccasse il cuore delle persone e le incuriosisse in modo da arrivare in fondo all’articolo e “per caso” mi è capitato tra le mani un romanzo “Treno di notte per Lisbona” di Pascal Mercier e tra le pagine di questo libro un brano che ha colpito tutti i miei sensi, intenerito la mia anima e dato forse un senso a quello che leggerete dopo.....

“delle mille esperienze che facciamo, riusciamo a tradurne in parole al massimo una e anche questa solo per caso e senza l’accuratezza che meriterebbe. Fra tutte le esperienze mute si celano quelle che, a nostra insaputa, conferiscono alla nostra vita la sua forma, il suo colore, la sua melodia. Allorchè ci volgiamo, quali archeologi dell’anima, a questi tesori scopriamo quanto sconcertanti essi siano. L’oggetto che prendiamo in esame si rifiuta di stare fermo, le parole scivolano via dal vissuto e alla fine sulla carta rimangono pure affermazioni contraddittorie. Per lungo tempo ho creduto che questa fosse una mancanza, una pecca, qualcosa che si dovesse superare. Oggi penso che le cose stiano diversamente: che il riconoscimento dello sconcerto sia la via regia per giungere alla comprensione di quelle esperienze tanto familiari quanto enigmatiche. Tutto ciò può suonare strano, anzi singolare, lo so. Ma da quando vedo la faccenda in questo modo, ho la sensazione di essere per la prima volta davvero vigile e vivo.....”

“C’è un momento nel corso della nostra vita, come dice Duccio Demetrio ,in cui si sente il bisogno di raccontarsi in modo diverso dal solito. “Capita a tutti, prima o poi .... da quando forse, la scrittura si è assunta il compito di raccontare in prima persona quanto si è vissuto e di resistere all’oblio della memoria....” (D.Demetrio – “Raccontarsi” p.1).

Raccontare di sé, della propria vita, dei propri ricordi, dei successi e delle sconfitte, dei sentimenti, delle paure, degli amici e degli amori,…l'autobiografia è uno sforzo di attenzione/cura di sé che collega parti differenti della nostra vita fornendo un repertorio di modi di essere di sé nel tempo e nello spazio ed un senso del proprio posto nel mondo, secondo una prospettiva di continua costruzione e ri-costruzione della propria immagine identitaria.

E', dunque, da un lato, organizzazione e formalizzazione dell'identità vissuta, dall'altro raccolta e organizzazione di elementi costitutivi l'immagine di sé capaci di essere strumenti per scoprire la personale chance evolutiva che ognuno di noi possiede quella “tendenza attualizzante”, coniata da Rogers in base al quale ogni individuo ha in sé la capacità di realizzare le proprie potenzialità . La rivisitazione della propria vita è così sempre un invito e quasi una necessità di ricominciare a vivere e a cercare, abilitandosi a vivere il tempo futuro, consapevole che ogni abilitazione non è mai l'ultima e che ogni abilità maturata nasconde sempre un'altra faccia di sé che è quella del non-ancora-realizzato.

Scrivere di sè è un modo di attribuire un significato alle esperienze passate per poter costruire il proprio futuro; può aiutarci a ripensare a chi siamo e alla nostra storia; ci obbliga a fermarci un attimo e a capire dove siamo.

Narrare di Sé riattualizzando il passato sollecita nelle persone il recupero di “ quelle tracce di senso” esistenziali, spirituali, relazionali, cognitive, affettive presenti lungo il continuum esperienziale della personale storia di vita e, spesso, sommerse, e in-comprese dalla tumultuosità di quello che ci accade, unite spesso, dalla superficialità e automaticità che accompagnano le azioni della vita quotidiana. Azioni vissute frequentemente come disunite e apparentemente prive di connessioni, per le molteplici interferenze e imprevisti che accrescono il disagio, il disorientamento e ci costringono reattivamente a patteggiare, ad operare scelte, non senza sofferenza e frustrazioni, in un continuo costruire e ri-costruire contesti di vita.

Parlando di sé ci si consente inoltre di sentirsi autore, protagonista e regista di quello che si sta scrivendo. Questo sentirsi personaggio principale ci ricompensa di tutto quel tempo in cui la vita ci ha “obbligato” ad essere comparse, spettatori a volte muti di tutto quanto si è fatto.

Lo spazio autobiografico è il tempo della “tregua”, una “base sicura” nata da noi stessi per noi stessi, in cui pressante diventa il rintracciare i molti ruoli, le molte parti recitate non per colpevolizzarci, bensì per attendere alla “sutura”, alla ri-composizione di tutti i frammenti.

Ri-tessendo le trame della nostra esistenza, alla moviola di uno spazio-tempo per sé, si genera, altresì, quel momento essenziale di distanza emotiva da se stessi mentre si rivive se stessi, necessario per guardarsi sulla scena cercando di individuare ruoli, battute, esibizioni superflue o viceversa cruciali.

Fare autobiografia è un darsi pace, pur affrontando il dolore del ricordo: scrivendone, infatti, si allevia la sofferenza e se ne rielabora il senso.

E’ trovare una stanza tutta nostra in cui far emergere dallo sfondo indistinto cose ,fatti, sensazioni, figure.

E’ un guardarsi dall’alto osservandoci “come un paesaggio affatto ordinato dove, in quanto autori, stabiliamo simmetrie e asimmetrie, zone oscure o chiarificate, picchi o pianure, vie maestre e sentieri.... non sempre le figure emergono evidenti. E’ però un tentativo della mente di ritrovare un punto, un’ansa ..... al quale ancorarsi. Almeno per qualche istante, tra giochi della memoria e riflessioni sul senso degli accadimenti...” (D.Demetrio “Raccontarsi” pag.34).

Raccontare la propria storia, cercando di portare alla luce dalla penombra dell’oblio le immagini più lontane che si credevano perdute ma che invece sono ancora lì tra le pieghe della nostra memoria, è un atto di solidarietà e amore verso se stessi, è un voler prendersi per mano entrando in contatto in modo autentico con il nostro mondo emozionale iniziando un viaggio verso la parte più profonda di noi stessi portandola alla luce in tutta la sua ricchezza e le sue sfaccettature.



Da tutto ciò possiamo delineare i benefici della pratica autobiografica in un percorso di Arteterapia.

Raccontare la nostra storia, scriverla, buttarla fuori, è già di per se stesso un atto liberatorio. Non può cancellare il dolore o la sofferenza, ma può essere almeno un modo per prenderne le distanze, per mettere un punto. Questo è uno dei motivi più profondi (e per questo curativi) dell’autobiografia. Scrivere di sé è qualcosa che aiuta a stare bene, o meglio.

Prendendosi del tempo per sé, vuol dire aver cura di noi, in sintesi: volerci più bene. Inoltre l’ascolto di noi stessi ci aiuta anche ad aumentare la nostra capacità di ascolto verso gli altri.

Ritornare con la mente ad eventi ed emozioni passate ci fa capire il motivo di scelte che forse oggi non faremmo più ma in quel momento rappresentavano l’unico modo possibile e questo ci aiuta a perdonarci, ad alleviare quei sensi di colpa che spesso avvelenano la nostra vita.

Andare alla scoperta di pezzi lontani della nostra storia vuol dire anche riannodare fili che credevamo persi , trovando il coraggio di elaborare eventi che sembravano compiuti , giungendo a spiegazioni fino a quel momento rimaste nascoste, aprendosi così spazi di progettualità e cambiamento e permettendoci di intravedere ciò che è possibile fare ancora.

Andare alla ricerca dei ricordi, serve anche a ricercare la bellezza di tanti momenti che abbiamo dimenticato . Gli esercizi della memoria, ci aiutano a tirarli fuori, e così ..... a sorridere di più.

Scrivere di sé e condividere la nostra esperienza con altri, significa offrire ad altri la possibilità di conoscerci così come noi ci percepiamo riscoprendo il nostro valore , arricchendo la nostra immagine e di conseguenza aumentando la nostra autostima. Ci permette inoltre di trovare cose comuni e punti di contatto sentendosi così vicini e sviluppando sentimenti di unione. Crea comunicazione.

Narrare di sé, aiuta ad acquisire sicurezza. Ad operare delle scelte ascoltando le nostre intuizioni più profonde, superando la paura del giudizio degli altri.

E da ultimo l’aspetto più importante è sentire che si è vissuto e che si sta ancora vivendo.



Gabriella D’Amore Costa – Ottobre 2008
>>>347 1751469
Vecchio 25-01-2012, 12:09   #4
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Ultima modifica di angelfear; 06-02-2012 a 14:16.
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