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Vecchio 26-01-2018, 10:55   #1
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Buongiorno. Dopo aver conosciuto l'opinione di alcuni psichiatri sostenitori della tesi secondo la quale le malattie mentali non esistono affatto, ho cominciato a riflettere su cosa effettivamente fossero le malattie della mente, e ho deciso di riportare qui i risultati della mia riflessione. Per sviluppare nel modo più semplice possibile il mio pensiero ho deciso di prendere come esempio campione il disturbo da deficit dell'attenzione (ADHD). Innanzitutto ciò che mi ha stupito parecchio è che, nonostante si abbia una vaga idea di quale sia la fisiopatologia di tale disturbo, le diagnosi vengano fatte unicamente sulla base di testimonianze concernenti il comportamento della persona, e non attraverso esami del cervello. Ciò potrebbe già insospettire parecchio. Un altro dubbio è sorto in me dal momento in cui ho appreso il fatto che fra le cure proposte, oltre ai farmaci, vi sia anche la psicoterapia. È noto come essa abbia più la funzione di "educare" (o rieducare) o, per dirla con Pinel, di trattare moralmente il "sofferente", piuttosto che di guarirlo (qui per guarire intendo ciò che fa l'aspirina col mal di testa, per intenderci). La psicoterapia potrebbe essere considerata come una "cura dell'anima"; ma la mia domanda è: perché curare l'anima di un paziente il cui male ha cause biologiche/organiche? In questo caso non si vuole semplicemente obbligare un paziente, traverso un "trattamento morale", a comportarsi nel modo corretto? Ma esiste un modo corretto di comportarsi? E stabilire quale sia il modo corretto di comportarsi è una problematica della quale si deve occupare la medicina oppure la filosofia morale? Ma i miei dubbi si spingono anche più in là: se i medici riuscissero a dimostrare al 100% che l'ADHD avesse effettivamente delle cause biologiche, per quale ragione dovremmo considerarla una malattia? In fin dei conti i medici potrebbero tranquillamente dimostrare che gli schiavi desiderosi di libertà che "soffrivano" di drapetomania erano semplicemente dei mandingo zuppi di testosterone, dunque "malati" (ribelli) per cause biologiche; ma noi potremmo davvero considerarli malati in quanto ribelli per cause biologiche? La mia idea è che il fatto che gli scienziati riescano a scovare la causa biologica di un dato comportamento, non significa che quello debba necessariamente esser considerato patogeno. Portando alle estreme conseguenze tale ragionamento, qualora i medici riuscissero a dimostrare la completa corrispondenza tra vita psichica e vita fisica, ossia qualora riuscissero a dimostrare che tutto ciò che è psichico ha origini fisiche, dovremmo considerare la vita stessa come patogena, il che è ovviamente un'assurdità.
La mia tesi è che i concetti di "sano" e "malato", in quanto appunto concetti, dovrebbero essere trattati dalla disciplina che si occupa dell'elaborazione di concetti: la filosofia. Il medico, da questo punto di vista, avrebbe il compito di studiare le cause oggettive di certi comportamenti, senza però potersi pronunciare sulla più o meno sanità di quelli, in quanto quest'ultimo compito dovrebbe rimanere appannaggio esclusivo del filosofo. A questo punto si apre il dibattito filosofico riguardo al criterio da utilizzare per distinguere i comportamenti "patogeni" da quelli "sani". Io non ne riconosco nessuno, ad ogni modo so che molti utilizzano il concetto di funzionamento. Ossia spesso si giudica "sano" l'individuo che funziona (dal punto di vista sociale), ossia che va bene a scuola, che lavora molto ecc, e si giudica invece "malato" l'individuo che non funziona. Ed è qui che voglio chiedere a voi:
1) cosa pensate del mio ragionamento?
2) quale criterio proponete, se voleste proporne qualcuno, per distinguere ciò che è "sano" da ciò che è "malato"?

PS: scusate la prolissità della pergamena, ho cercato di fare del mio meglio.

Ultima modifica di E. Scrooge; 26-01-2018 a 11:05.
Vecchio 26-01-2018, 14:12   #2
Banned
 

interessante la drapetomania, non la conoscevo

diciamo che queste malattie , disturbi, o definiamole anche semplici caratteristiche non permettono di funzionare bene nella societa'... chi ha l'ADHD pe esempio non riesce a concentrarsi, spesso fatica anche solo a guardare un film o a leggere un libro e non e' che proprio ami cio'...o anche il bambino iperattivo forzato a farmaci, il fatto e' che giusto sabagliato a scuola e sul lavoro fermi, seduti e concentrati bisogna starci... e gli altri ci riescono, e nella storia si e' sempre fatto, e' ragionevole pensare la mancanza sia di tale persona. Poi che si presti ad abusi e che bisognerebbe indagare le cause a monte e' altro discorso.
Ringraziamenti da
E. Scrooge (28-01-2018)
Vecchio 26-01-2018, 18:57   #3
XL
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Secondo me nella maggior parte dei casi c'è un accordo tacito tra chi cura o offre cure e chi viene curato rispetto alle condizioni di salute da dover raggiungere, il tipo di funzionalità da ripristinare ed anche in buona misura sul come raggiungere l'obiettivo (anche se nello specifico della tecnica usata nei particolari se ne occuperà il medico, dato che un paziente non avrebbe la preparazione per occuparsene). E' grazie a questo tipo di accordo che si è riusciti a definire ed identificare le cosiddette malattie.

Là dove questo accordo non c'è vengono a crearsi una serie di problemi, anche perché in generale io non saprei dire chi dovrebbe aver ragione, anche chiamando in causa altri "esperti" si potrebbe lo stesso non essere d'accordo a monte.

In generale c'è un disagio umano, che può comportare anche dolore fisico o altro. Quale dovrebbe essere l'intervento medico che lo elimina? Spesso non è ben chiaro.
Si potrebbe prendere in considerazione il parto naturale... Questa cosa comporta svariati disagi per una donna ed anche sofferenza fisica... Ma partorire è una malattia?

Anche se si riconoscesse che non è una malattia lo stesso è qualcosa che lasciato così com'è provoca una sofferenza rispetto alla quale una persona potrebbe desiderare intervenire in svariati modi e dovrà essere la persona stessa a decidere poi grosso modo di che tipo di intervento avrebbe bisogno e ai curanti offrirlo o meno in base alle loro competenze ed intenzioni.

Penso che in fin dei conti lo stato di salute lo si potrebbe identificare grazie ad un accordo praticamente unanime e transculturale, chiaro che non corrisponderà ad uno stato di benessere umano, perché esisteranno molti altri disagi non condivisi rispetto ai quali si può riconoscere la necessità soggettiva di certi tipi di interventi mirati.

Ecco, in questi casi non si può parlare propriamente di malattie secondo me.

Si cura comunque qualcosa, ma sono problemi soggettivi e personali sui quali si desidera intervenire in qualche modo, non sono malattie, è il soggetto stesso che dovrà cercare di definire lo stato di benessere che desidererebbe ottenere (stato di benessere che potrebbe coinvolgere anche altri oggetti. situazioni e persone) o magari al limite accettare o rifiutare lo stato di benessere che gli vogliono vendere perché non si potrà usare il tacito accordo (come quello che si potrebbe usare quando si va dal dentista). Poi che lo si possa ottenere o meno è un altro problema.

Alcune volte è necessario ingaggiare un dialogo preliminare con i curanti proprio per individuare di che tipo di cura si avrebbe bisogno e se i curanti o qualsiasi tipo di persona offra servizi di cura (e si va dal medico vero e proprio, che so chirurgo estetico, psichiatra ecc. allo psicoterapeuta, prete, cartomante ecc.) non basta affatto una diagnosi secondo me... Quando anche ti è stato detto che sei super timido non è ben chiaro per te il disagio in cosa consista... Nella timidezza in sé, nelle reazioni sociali... O altro?
Tu cosa vorresti ottenere?

Le malattie sfumano nei disagi soggettivi ed individuali che possono tirare in causa un mucchio di variabili diverse e rispetto ai quali non è possibile fornire una diagnosi precisa di morbo perché potrebbe non intercettare quel che l'individuo ritiene disturbante. Anche gli agenti di cura non potranno essere identificati semplicemente soltanto in agenti operanti in ambito medico. Per questo poi secondo me è anche corretto provare a curare i disturbi mentali o con farmaci o con psicoterapeuti o magari anche altro. Parlo di disagio perché non è ben identificato lo stato di salute che dovrebbe curarlo, è qualcosa di vago, ma che può provocare anche sofferenze notevoli.

Per questo io trovo più corretta l'impostazione di un Jung rispetto a queste cose (che non ha mai separato nettamente quel che faceva da molte altre pratiche di tipo anche religioso) che Freud.
Una persona che si sente a disagio perché ha commesso peccato, la si potrà mai curare con l'analisi o la psicoterapia? Secondo me no, sarà molto più semplice mandarla da un confessore che la assolverà.

Ultima modifica di XL; 26-01-2018 a 19:18.
Ringraziamenti da
E. Scrooge (28-01-2018)
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