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La "lentezza" della psicoterapia
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Re: La "lentezza della psicoterapia
Io ci vado da più di 5 anni e sinceramente ancora non sono riuscita ad afferrare fino in fondo il senso. Continuo ad andarci perché resta in me la speranza che qualcosa cambi e perchè ho paura di perdermi qualcosa se dovessi rinunciare (sarebbe come ammettere che la mia vita così è e così rimarrà per sempre).
In tutti questi anni ho sicuramente inquadrato meglio molte cose (e addirittura alcune prima proprio non le vedevo), quindi si può dire che ho acquisito consapevolezza. Però pressoché nulla a livello concreto. Dal canto mio mi sono fatta l'idea che spesso le premesse con cui si va dallo psico sono sbagliate. Personalmente ci sono andata sperando di poter diventare una persona diversa, ma è illusione la mia. Credo sia più che altro un gioco di confronto con punti di vista differenti in un ambiente e in una relazione non giudicante, ma lo psico non può cambiare il tuo modo di pensare (se è radicato e non c'è una reale capacità di cambiare prospettiva) e non può concretamente aiutarti a cambiare qualcosa. Ho come l'impressione che gli psico credano che quello viene dopo in qualche modo, ma non si sa bene come. Ho avuto tante volte l'impressione di entrare lì dentro e sprecare un'ora a parlare di qualcosa che poi però non era realmente importante, ma...sei tu a selezionare gli argomenti, quindi sei tu a dover capire come poter sfruttare quell'ora in modo tale che davvero ti possa aiutare. Esiste chi ne trae grande beneficio e secondo me sono le persone che riescono a capire come sfruttare quella cosa per evolvere. Poi purtroppo ci sono anche le persone come me, che la usano più che altro come supporto, perché altro non riescono a trarne. Non so...questo è un messaggio forse un po' sconclusionato in cui ho sfogato un po' di mia frustrazione personale, ma la psicologia resta per me una roba oscura e ancora non capisco se sia valida davvero oppure no. |
Re: La "lentezza della psicoterapia
Figurati io... sono anni che ne faccio, con anni di tempo perso e soldi buttati.
La vita è una fregatura, che ce voi fa |
Re: La "lentezza della psicoterapia
Anche io la uso come supporto, non credo mi possa aiutare davvero a fare altro o a cambiar vita.
Se uno riesce a cambiare secondo me nella maggior parte dei casi sarebbe riuscito comunque anche senza di loro. Non diranno mai una cosa del genere ritenendola troppo svalutante, vogliono sentirsi molto utili in certi sensi e non utili, che so, come una prostituta, una badante o un infermiere. Che poi comunque è utile avere un supporto se uno non ha davvero nessuno intorno con cui parlare. |
Io vado in psicanalisi. Secondo me bisogna anche trovare il tipo di psicoterapia più adatto a sé. Puoi trovarti bene con una cognitivo comportamentale o con la psicanalisi. Io personalmente ne ho provati un paio, ho cominciato con psicoterapia dinamica, e per quanto brava era la terapeuta, non sentivo fosse la strada per me. Successivamente ho provato la cognitivo comportamentale, e son durato un mese. Non era assolutamente quello che cercavo.
Ora da marzo faccio psicanalisi e mi trovo davvero molto bene, non mi sento assolutamente di star sprecando dei soldi. Quindi magari dipende anche dal tipo di terapia che si intraprende. E poi credo che anche l'attitudine con la quale ci si "affida" ad uno psicoterapeuta incide. |
Re: La "lentezza della psicoterapia
Io ho iniziato con una psicologa da poco più di un anno, e anch'io ogni tanto mi chiedo se sia davvero utile.
Spesso ho il tuo stesso pensiero "ma abbiamo parlato solo di quello? Io avrei avuto bisogno di far uscire anche questo e quest'altro". Adesso dovrò affrontare l'argomento EMDR, che vuole riprovare ma proprio non mi convince, io preferisco parlare, solo che i miei tempi sono moooolto lunghi, e l'ora a disposizione serve solo a grattare la superficie. Fate conto che con la mia amica a volte abbiamo passato 3/4 ore di fila a parlare. Continuo però ad andare anche solo per parlare con qualcuno di argomenti un po' più complessi di quelli trattati solitamente con le persone. |
Re: La "lentezza della psicoterapia
La mia esperienza con la psicologa la reputo molto positiva, ha empatizzato molto, tant'è che mi ha parlato di alcuni avvenimenti della sua vita, in parte simili, esempio paura di guidare la macchina, e il bullismo... Io sto proseguendo con la cognitivo comportamentale e emdr, ma ahimè la mia fobia sociale è cronicizzata nella mia personalità infatti mi ha detto esplicitamente che sono evitante, ho da lavorare tanto su me stesso io in primis, lei mi da spunti esterni alla fine ma molto viene da te, devi credere nel metodo scientifico, e lasciarti guidare.
Le prime volte che andavo avevo un nodo in gola assurdo, ma quando ho iniziato a sentirmi meno giudicato (e in questo caso dipende dal terapeuta in questione) mi sono aperto il minimo indispensabile per la terapia. |
Re: La "lentezza della psicoterapia
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Re: La "lentezza della psicoterapia
Adesso mi è tornato in mente che quando avevo circa 25 o 26 anni, mia madre mi propose di andare a fare una visita da un loro amico psicoterapeuta, ci andai solo una volta e ricordo che manco mi fece pagare. Siam stati a parlare un ora, in quell'ora riuscii a dirgli le cose piu importanti. Perchè non volevo piu tornarci!
Gli chiesi se potevo farci qualcosa, se era possibile un cambiamento e lui mi rispose che no, ce poco da fare, inizierà a cambiare qualcosa quando ti sarai stufato per bene. Me lo disse in un modo cosi odioso che poi tornato a casa quasi litigai con mia madre. Praticamente non mi aveva detto nulla e manco mi aveva dato delle ragionevoli speranze. Ero deluso, incazzato e frustrato. Mi sembrava di aver ricevuto una condanna! Dopo tanti anni ho capito cosa stava facendo e che aveva ragione! |
Re: La "lentezza della psicoterapia
Io anni fa provai ad andarci, per meno di un anno, con scarsi(ssimi) risultati.
Non me la sento di condannare la psicoterapia in toto, pero' di certo per quanto riguarda la mi personale esperienza posso dire esser stata senz'altro fallimentare. Non poteva essere altrimenti, la maggior parte dei miei problemi ruotano attorno all'aspetto, li' la psicoterapia puo' farci bene poco. |
Re: La "lentezza della psicoterapia
La mia è talmente lenta che deve ancora iniziare.
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Re: La "lentezza della psicoterapia
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
Come si fa a pensare che parlando con qualcuno si possa risolvere qualcosa? In certi casi immagino di sì, ma credo siano una ristretta minoranza.
Sono sempre più convinto che per il 90% di noi i problemi derivino dalle condizioni al contorno: lavoro (essenzialmente sua mancanza, di un lavoro degno e soddisfacente), famiglie tossiche, ambienti di vita malsani... E questi non vengono toccati da alcuna psicoterapia, purtroppo. L'unica è la fortuna di poterli eliminare "fisicamente". |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Però mi raccomando non scrivere che fare terapia è "parlare con qualcuno" perché mi cadono le braccia :D Che vi siano psicologi incompetenti è del tutto possibile (e una sfortuna trovarli), ma quelli competenti si presuppone che dispongano di concetti (non parole) appropriati per elaborare modelli di trattamento. Anche l'idea di dover "eliminare fisicamente" i problemi rischia di essere triviale in molte circostanze, perché pecca di una visione unipolare per cui "la realtà esterna" è l'origine del problema, dimenticandosi che siamo dei soggetti che pensano, sentono, interpretano la realtà, cioè che il mondo esterno è strutturato in base a quello interno, e che in forza di questo, a parità di condizioni c'è chi sviluppa problemi psichici (di personalità, sintomatici etc.) e chi no. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Basta esaminare un minimo la casistica: di persone che abbiano "risolto" con la terapia non mi pare se ne vedano tante. E di quelle che migliorano, una notevole percentuale è falciata da recidive, molto spesso provocate da condizioni ambientali come cambio di lavoro, partner che molla, eccetera. Quote:
Certamente si tratta di mie opinioni ma credo che se si spendesse un po' di tempo a fare una specie di metanalisi anche dei contributi limitati al forum, tutto questo successo della psicoterapia non credo verrebbe confermato. Non lo dico con compiacimento o attaccamento alle mie opinioni, vorrei tanto che parlando con qualcuno 1-2 ore a settimana le cose andassero meglio, a me per primo. Al contrario, come dico sempre i miei unici miglioramenti strutturali, piccoli, li ho ottenuti "lavando la maglietta" per qualche anno (intendo, sport e conseguente bucato a mano o in lavatrice). Mio vissuto, non pretendo sia regola generale. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Io non ragiono per statistiche o per probabilità, ma per ciò che potenzialmente funziona se ci sono le condizioni per attuare un trattamento (studio un po' queste cose). Le statistiche vanno bene se sono condotte da studi scientifici, dove vengono trattati temi specifici e c'è il controllo delle variabili. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Per questo a mio parere le statistiche devono essere il criterio principale. Perché se so che vado in un campo incerto ma ho la prova che su 1000 persone almeno 800 si sono sentite meglio e hanno migliorato la vita nell'arco di tre-quattro anni al massimo allora posso farci un pensiero. Ma se mi si venisse a dire di fare un lavoro quasi sempre lungo senza sapere se ci sono le condizioni io onestamente prendo il problema da altre parti. In ogni caso non ti volevo confutare. Ti leggo da un po' e mi è chiaro che la mente ti interessa e ci hai dedicato letture e approfondimenti. Io invece ho tutt'altro background e convinzioni, penso che la psicologia potrebbe comprendere tutto fuorché terapie e percorsi migliorativi; le scienze umane hanno molto da dire sui comportamenti di massa, selezione del personale, agganci con filosofia e neuroscienze, tantissime cose utili. Ma temo non queste, è una semplice questione di convinzioni personali di ciascuno di noi. Chiaramente se ci fossero prima ancora di statistiche delle casistiche attendibili sono sempre pronto a cambiare idea; fin qui la casistica almeno limitata al forum mi pare desolante, cosa che peraltro non mi fa piacere. Come dicevo, se funzionasse in percentuali tempi e costi accettabili e non in principio nel caso singolo, sarei tra i primi a "(ri)provarci". Sì perché ci ho provato da adolscente con risultati nulli. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Comunque come dicevi sì mi interessa la mente e studio queste cose, sono ormai mesi che ho la testa sotto XD Mi sembra che volevi evidenziare che la salute della mente deve tenere in considerazione altri fattori diversi, come ad esempio lo sport per dirne una. E ci sta! Quello che evidenzio io è abbastanza tautologico cioè rispetto a un problema psicologico la psicologia ne ha di cose da dire per potenzialmente realizzare miglioramenti. Fermiamoci qui :mrgreen: |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
Per me è anche poco chiaro cosa curano, si prende una persona cronicamente triste e si suppone esista un qualche sistema per renderla non triste e si pensa poi che quando riesce questa cosa si è curata la tristezza cronica.
Uno ci va dagli psicoterapeuti giusto perché magari è disperato e non sa a chi o cosa rivolgersi, ma non mi sembra che cose del genere siano tanto diverse dall'andare in pellegrinaggio a Lourdes. Secondo me anche là se si conteggiano le persone "miracolate" e che stanno meglio ci saranno buone percentuali, ma da questo dovremmo dedurre che questa "terapia" funziona? S'è curato realmente qualcosa? Chi vuol vedere la Madonna finirà col vederla, chi non ci crede e non è interessato a questa roba farà solo un buco nell'acqua. Non parlo solo dell'effetto placebo, secondo me a seconda dei parametri culturali più diffusi finirà col funzionare più o meno una certa "pratica terapeutica". Fossimo stati nel medioevo avrebbe funzionato di piú l'esorcismo, non certo però poi sulle persone che saltavano fuori anche allora da questi schemi. Sono disturbi e disagi esistenziali i problemi con cui si ha a che fare e non malattie, per questo per me è già sbagliata l'impostazione non c'è un cavolo da cui guarire, c'è una vita che si sta vivendo male che si vorrebbe vivere bene in un qualche senso, senso che non è nemmeno univocamente determinato. A chi piace la filosofia magari farà bene occuparsi di queste cose, a chi non gliene frega nulla di queste cose magari sarà più utile farsi una sega e masturbarsi effettivamente piuttosto che mentalmente. Per me è tutto abbastanza relativo, poi magari non sono relative certe cose, se prendi dei sonniferi potenti ti addormenti, ma osservato questo non è che il sonnifero cura qualcosa, se uno vuol dormire il sonnifero funzionerà. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
XL, tu la Madonna la vedi e poi la critichi, ma non vedi il tuo problema. Non in termini oggettivi, descritti dall'una o l'altra diagnosi, ma soggettivi, relativi al tuo sentire.
La tua pars destruens funziona, ma ti manca quella construens. Secondo te non esiste alcun problema personale da risolvere legato alle proprie vicissitudini passate, ma solo problemi pratici, materiali e attuali. Tant'è che contro l'idea di "patologia" ti ci scagli contro senza distinguere tra sue buone e cattive concezioni (come del resto tra buone e cattive terapie). |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Supponiamo che un tizio sia un serial killer che fa a fette le persone e le mangia, ora questo tizio magari va dallo psicoterapeuta per paura di finire in galera o che lo becchino. Lo psicoterapeuta di preciso cosa dovrebbe curare? Far sparire la paura? Incrementarla in maniera tale che non ammazzi più le persone? Altro? È proprio poco chiaro dove si dovrebbe andare a parare, si è creato un problema analogo con l'omosessualità, all'inizio per gli psichiatri era una sorta di malattia oggi non lo è più. iI raffreddore e la febbre son rimaste costantemente malattie non dipendono mica sensibilmente dal fatto che delle persone si siedono a tavolino e le definiscono tali. In campo infettivo virale sono identificabili agenti patogeni, in ambito funzionale muscolo scheletrico neurologico sono identificabili disfunzioni, in campo psicologico sociale sta roba non mi sembra che sia più applicabile, perché la disfunzione e il difetto non sono ben identificabili, non ci sono agenti patogeni tali da creare certi sintomi, dove si vuole andare a parare? Uno pare che vuol distruggere tutto ma io descrivo solo quel che vedo, mica per stabilire se esiste una certa malattia in altri ambiti si siedono a tavolino? Che un tizio viva male lo si capisce chiaramente basta chiederglielo, ora però non è identificabile univocamente un qualche modo di vivere bene tale da poter definire di cosa era malato e non è chiaro nemmeno se si possa guarire in qualche senso. Il benessere non è identificabile con l'assenza di malattie per me, è una cosa un po' distaccata, sono concetti che vanno separati, oggi si tende ad accavallarli. Anche il malessere diventa una malattia e si suppone poi che se 200 persone su 300 stanno bene in certi modi le altre 100 dovrebbero essere curate cosí, lo dicono i dati statistici, ma sono dati falsati a monte per me. Se la maggior parte delle persone diventano più felici nell'ascoltare Lady Gaga secondo questo modo di pensare dovrei costringermi ad ascoltare anche io questa roba che poi magari mi sentirò meglio come loro anche io. Se dico che mi fa cagare sono matto io, devo provare ad ascoltarla per almeno un centinaio di giorni e poi starò meglio, hanno fatto gli esperimenti. A me non sembrano impostazioni corrette a monte, non sono esportabili esperimenti, che so, in certi campi medici, in questi ambiti qua. S'è fatta la stessa cosa con la meditazione e con un mucchio di altra roba, io non riesco a prenderli seriamente se impostano il loro discorso cosí. Io li uso a modo mio ma a monte continuo a non esser persuaso che curino qualcosa. Se uno inizia a frequentare CasaPound e inizia a star meglio (spariscono certi sintomi depressivi), casomai la maggior parte delle persone dovessero star meglio così si potrebbe dedurre allo stesso modo che dovrei provare a cambiare valori ed orientamento politico perché quelli che fanno star bene sono questi altri valori qua, è chiaro, hanno fatto l'esperimento. Io non le riconosco come corrette a monte 'ste cose, che poi esistono ed influenzano la società lo vedo cosí come vedo che l'influenza la religione, la pornografia, e un mucchio di altra roba. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Come risultato il serial killer potrebbe capire che ha ammazzato persone perché aveva dimenticato un trauma da ragazzino, ricordo opportunamente represso, quindi pentirsi, costituirsi e avere sconto di pena. Questo è il classico scenario da film con Richard Gere in cerca di visibilità e Jennifer Lopez :D Più concretamente (sempre per la mia pregiudiziale che ho espresso in tanti post) non succederà probabilmente niente perché hai scelto un esempio troppo forzato. Un serial killer sarà probabilmente di competenza dello psichiatra e nel quadro della sua gestione del personaggio potrà prevedere psicoterapia. Ma in un caso normale, di persone come noi (va be', ammetto che ho avuto amici a cena ma non è stato facile affettarli) il terapeuta ha ogni volta un problema diverso. L'obiettivo resta quello che ho specificato ma dovrà ogni volta fare tentativi diversi la cui base resta la fiducia nella terapia e la volontà del paziente. Il problema è proprio questo: anche chi sta male ha elaborato una sua zona di comfort dalla quale non vuole uscire. Lo vedo per primo su di me, ma penso che generalizzare non sia così azzardato. E' questo il motivo della mia sfiducia; nessun animale vorrebbe abbandonare la tana, ma lo deve fare per cercare cibo. E allo stesso modo secondo me in troppi casi che si trascinano per anni dal terapeuta con risultati minimi, mancando lo stimolo coattivo a cambiare, perché cambiare? Chiaro, ci sono casi particolari di famiglie altamente distruttive in cui si dovrebbero fare discorsi specifici, ma le uniche discussioni che ha senso fare sono sul soggetto medio, con problemi medi, famiglie eventualmente disfunzionali ma non distruttive, etc. In questo senso, delle persone che ho conosciuto che hanno scelto questa strada non mi pare siano troppo cambiate. Ma l'unica è un test su campione vasto, somministrato in condizioni ben note, eccetera. Sarei curioso di saper interpetare i risultati ammesso che esistano e siano discutibili (nel senso che ci si possa discutere sopra in quanto attendibili). |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Per il soggetto? Per chi lo cura? Per i mandanti sociali? E quando bisogna farla questa valutazione, perché anche questo è importante. Non abbiamo bilance oggettive con cui pesare il comportamento e quanto questo o quel tipo di esistenza vada considerata buona, il problema di fondo è questo. Questa roba resta inevitabilmente invischiata con certe visioni valoriali in conflitto tra loro. Supponiamo che socialmente una persona non viene accettata in relazione a qualche aspetto che sia il sesso, l'orientamento sessuale o altro cambia poco per me, supponiamo che esista una macchina capace di farla mutare di sesso, orientamento o quel che è senza alcuno sforzo e in modo perfetto, nel senso che una volta mutata non è che avrà istinti del vecchio assetto. Ora è chiaro che il conflitto e i disagi sparirebbero se cambiasse cosí, ma fatti sparire questi disagi con questo sistema io non direi che s'è curato qualcosa, una malattia o cose del genere, si è appianato un conflitto con un sistema che a qualcuno potrebbe andar bene mentre ad altri no. Se ci fosse una donna che si lamenta di esser trattata male socialmente e ci fosse una macchina capace di renderla un maschio dovremmo dedurre che essere femmine è una malattia e che una donna che non si vuol sottoporre a questa cura sia matta. Una certa donna magari desidera un altro tipo di sostegno e non questa "cura" qua. Perché questo discorso qua si suppone sia assurdo e in altri casi si pensa vada bene? Questi mali non sono collocabili chiaramente nel soggetto, vengono generati in buona parte da conflitti sociali e roba simile, per questo io non li definirei malattie. Non è mai chiaro di cosa si sia malati anche quando ci sono sintomi simili e quando si è mostrato che una "cura" attecchisce in larga misura. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Il problema secondo me è che a seconda delle situazioni il dialogo psicoterapico ha un'efficacia molto bassa, quasi nulla. Questo non a causa delle visioni valoriali alla base della psicoterapia, ma perché effettivamente incidere su alcune situazioni concrete di vita può essere molto difficile. Se il motivo per cui una persona si rivolge alla psicoterapia risiede più nell'impatto della società sul soggetto che all'interno del soggetto stesso, il terapeuta può comunque fornire degli strumenti per affrontare meglio i problemi. Seguendo il tuo esempio: se una donna si lamenta di essere trattata male può trovare i modi e le forze di cambiare ambiente... |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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o eliminarci noi fisicamente, che poi è quello che in tanti a un certo punto troveranno il coraggio di fare. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Ad esempio la personalità evitante viene definita a monte come una malattia, io non sono d'accordo con questa impostazione e non col fatto che poi possa esserci una qualsiasi forma di aiuto in relazione a quello che questo o quel soggetto cercano. Non è che una donna che non volesse cambiare sesso va etichettata come resistente ad una cura. Non c'è una malattia precisa da curare c'è una persona disagiata e non si sa nemmeno di preciso da cosa doverla fare guarire, un assetto di sintomi questa direzione qua non la definisce. Io direi che un po' alla volta bisognerà allontanare questa roba dal camice bianco dei medici. Poi si possono sviluppare tecnologie per fare certe cose e va bene, ma che queste tecnologie curino in ogni caso qualcosa in maniera analoga al prendere un'aspirina per guarire dal raffreddore lo dubito. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Nel campo dei disagi psichici non esistono soluzioni scientificamente valide che garantiscano risultati senza tener conto della singolarità del soggetto. Un farmaco contro il raffreddore può andar bene indistintamente per milioni di persone. Nel caso dei disagi psichici invece le soluzioni sono decisamente più personali, da costruire, da elaborare, non ci sono piani stabiliti a priori... è per questo che spesso servono molti colloqui i quali possono anche risultare vani. La psicoterapia può aiutare, ma certamente non nel modo scientifico e relativamente sicuro della medicina. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
Purtroppo sia i farmaci che le terapie incidono su personaoita ognuna diversa con un proprio vissuto.puo succedere che terapeuti vadano bene per alcuni pazienti e altri con i loro metodi no.a me hanno sbagliato diagnosi per anni ansia sociale.schizxotipico a 23 anni.e alla fine ero asperger e bipolare.il rischio di buttare soldi dietro a vari terapeuti senza ottenere risultati spesso e concreto.io i miglioramenti li ho fatti più osservando gli altri e cercando di capire i miei punti di forza e quali erano i punti deboli.se si hanno disturbi di personalità migliorare ci vogliono anni.non e un semplice fobia o attacco di panico che con xanax lo gestisci questo voglio dire.
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
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. La vita è una successione di scene, che non vengono scelte se non marginalmente da noi. Ognuna di queste richiede di essere opportunamente conclusa al tempo giusto, in un modo o nell'altro (in positivo o in negativo). A 22 anni vuoi parlare con una certa persona: ci riesci e sei contento, oppure non ci provi, non ci riesci, ci riesci ma resti deluso, e in questi secondi casi sei infelice, poi, a seconda di quanto la cosa era per te importante, elabori un lutto di un minuto o di sei mesi. In ogni caso, concludi la scena e riprendi una vita in cui essa è progressivamente meno rilevante: l'hai archiviata. Adesso, se la scena non la chiudi essa si riaffaccia continuamente alla tua coscienza (chiedendo una conclusione) e, se non vuoi affrontarla in modo appropriato e definitivo, sei costretto a prendere contromisure di altro tipo. Quando incontri qualcun altro, lo tratti con distacco e non riesci a parlargli come vorresti (perché ti ricorda quella vecchia persona e quella vecchia scena incompiuta); è per te molto frustrante, e un'ulteriore scena da chiudere; schivi anche questa, dai e dai, e a un certo punto ti ritrovi a evitare a priori qualsiasi tipo di rapporto, perché sai che non ne trarrai nulla. La cronica assenza di buone relazioni è una scena ulteriore, molto pesante e difficile da chiudere (magari ti sei bruciato la giovinezza); schivi anche questa, ma a livello inconscio inizi ad accumulare rabbia. Questa influisce progressivamente sempre di più sul tuo umore, finché non ti accorgi che scaricandola "stai meglio". Ti lasci trascinare e diventi un troll, uno che si sfoga su un forum, il serial killer che dici tu, o magari la rivolgi contro te stesso, sabotandoti in cose per te importanti. Se non "elabori" i tuoi eventi di vita via via che si presentano, essi influiscono in modo forte sul tuo presente e sul tuo futuro, restringendo concretamente la tua libertà. E questa è abbastanza oggettivamente una "patologia", in senso proprio: ti ritrovi in una gabbia. Una psicoterapia potrebbe servire a rispondere a tale domanda, e a darti strumenti di correzione. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Altrimenti bisogna pensare che anche un avvocato cura delle patologie se grazie alla sua consulenza risolvo un problema che altrimenti potrebbe avere degli strascichi futuri. Io non ho mica detto che debba essere inutile, ho detto che non sono cure mediche perché non vengono curate delle patologie. Gli interessi poi possono variare nel tempo, se oggi sono diventato un serial killer, col serial killer e questi interessi si avrà a che fare, ma non riesco ad identificare questo o quell'interesse come patologico, si è solo costruito nel tempo. Dubito comunque che gli psicoterapeuti abbiano in mano cose del genere e siano simili a degli oracoli. Se io vado da uno psicoterapeuta perché dovrei chiudere un lutto? Qua alla fine non capisco come dovrebbe farla funzionare lo psicoterapeuta questa elaborazione se io alla fine penso che l'alternativa che mi propone mi fa comunque cagare o mi fa cagare più del lutto non chiuso. Lo psicoterapeuta può proporre qualcosa, ma è simile alla consulenza di un avvocato, alla confessione religiosa, a cose del genere più che ad una cura medica. Per questo poi trovo corretto che esistano diecimila orientamenti cosí come esistono varie forme di arte orientamenti politici e compagnia bella. Ci sono persone che coltivano il risentimento, gli egoisti, gli altruisti, di destra, di sinistra, maschi, femmine... pensare che debba esistere un solo stile che vada bene per tutti, che sia la psicoanalisi, cognitiva comportamentale, il cristianesimo, il buddismo, il satanismo o vattelappesca non mi ha mai convinto. In qualche senso le persone che fanno uso di ogni tipo di consulenza o aiuto stanno meglio (dal loro punto di vista) ma in generale questa roba non la identificherei con una cura medica. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
Praticamente ignori l'esistenza della mente, delle emozioni, del lutto, ecc.
Che tutti gli "interessi" pari siano poi non è affatto vero. C'è un modo "normale", se vogliamo, di elaborare gli eventi e restare aperti, e reazioni difensive che portano alla chiusura verso la vita, a una morte vivente più o meno grave. Inoltre, ma tu pensi di sapere tutto? "Qua alla fine non capisco come dovrebbe farla funzionare lo psicoterapeuta questa elaborazione", e non è che ti viene la curiosità, trasformi il tuo dubbio in certezza negativa: non può farla funzionare. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
[QUOTE=XL;2653458
Se io vado da uno psicoterapeuta perché dovrei chiudere un lutto? Qua alla fine non capisco come dovrebbe farla funzionare lo psicoterapeuta questa elaborazione se io alla fine penso che l'alternativa che mi propone mi fa comunque cagare o mi fa cagare più del lutto non chiuso. Lo psicoterapeuta può proporre qualcosa, ma è simile alla consulenza di un avvocato, alla confessione religiosa, a cose del genere più che ad una cura medica. [/QUOTE] Lo psicoterapeuta, (nel mio caso analisi) non ti propone niente. Ti aiuta a scavare e capire tutta una serie di cose che, come già detto da Angus, ti creano problemi in quanto erano una sorta di ''gabbia'' che ci si era autocostruiti attorno per i motivi più disparati. Puoi dare chiavi di lettura diverse a molti avvenimenti che ti hanno causato problemi anche a distanza di anni, riuscendo a vederli in maniera più analitica e meno emotiva, ed evitare che i loro effetti si ripercuotano sui tuoi comportamenti futuri e contemporanei. Ovviamente ci si va se si vuole una versione ''alternativa'' della propria persona, se pensi sia tutto ok o che le ipotetiche alternative siano peggiori stai a casa. L' esempio che hai fatto paragonando gli psicoterapeuti con gli avvocati sinceramente non vedo cosa c' entri.... Ci si va per motivi completamente diversi. A me ha fatto solo bene andarci, ma ovviamente è il mio caso. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Uno può provare ad andarci e vedere, ma non è detto che risolvano qualcosa che a te interessa risolvere o che riescano a risolvere quel che sulla carta sostengono di poter risolvere. Interpretare degli avvenimenti, ecco, lo fanno anche i giornalisti o i politici di questo o quell'orientamento, le interpretazioni realmente analitiche in mezzo a questa miriade di alternative quali sarebbero? Che a te ha fatto bene non lo metto mica in dubbio, metto in dubbio che quel che si fa è curare una malattia. Basta che si usi in termine "cura" e bisogna credere che si sta curando una malattia? Leggo un articolo su un giornale che condivido e mi sembra descriva qualcosa in linea con certi miei valori ma che allo stesso tempo è capace di farmi interpretare in un certo modo un avvenimento al quale non avevo pensato. Il giornalista secondo te sta curando una mia malattia? Secondo me non è scienza questa roba perché è troppo invischiata con certi valori, quindi dire che sia un'analisi neutra dei fatti è una cazzata, dire che sia una cura di una malattia anche mi convince poco, dà delle interpretazioni, suggerisce stili di vita, cerca di modificare certi valori, poi a seconda dei casi può fare star meglio o meno o anche peggio, dipende da cosa va cercando quella persona specifica. Mi convince molto poco cercare di avvicinare 'sta roba a certi protocolli scientifici, mica un'interpretazione fortemente influenzata da valori di sinistra descrive qualcosa in modo neutro?! Certo è che questa interpretazione può tornare utile a certe persone mentre potrebbe danneggiare altre persone. Dire che il padrone sfrutta, ad esempio, non è un'interpretazione neutra, perché mica è ben definito e oggettivo cosa debba esser considerato equo. A seconda di questi giudizi a monte poi si crea il resto, ma non sono giudizi che si possono rendere scientifici, non c'è alcuna sostanza nelle cose o avvenimenti che si possa misurare e che definitamente assicuri che il tale impiego valga il tale stipendio, anche il sistema della domanda e offerta è un sistema effettivo che assegna valore ma nulla obbliga a riconoscerlo come equo. Rispetto al fatto che riescono a svolgere positivamente certe funzioni sociali le psicoterapie (come la religione, l'astrologia, i sindacati, le associazioni femministe e roba simile) lo ammetto e lo riconosco, riconosco meno il fatto che nella loro azione di cura di certi interessi e di interpretazione di certe dinamiche sociali, questi movimenti siano equiparabili ad una terapia per curare il raffreddore, che è una cosa che può colpire tutti ed è abbastanza chiaro quale siano gli stati di salute e malattia relativi a questa patologia specifica. È ancora più discutibile poi il fatto che queste narrazioni e movimenti rappresentino forme di conoscenza neutra. Già è discutibile il fatto che la scienza dura vera e propria sia davvero analitica e neutra figuriamoci 'sta roba. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Io di terapeuti che sostengano di poter risolvere questo o quello non ne ho mai visti in vita mia, non metto in dubbio che ci siano ma non sono tutti così. Lo psicoterapeuta ti aiuta a scavare dentro di te, niente di più, il resto devi farlo tu da solo, è ovvio che non abbia alcuna bacchetta magica. A me non è che freghi un granché della definizione delle cose, ma bensì della sostanza. Non mi sento un ''malato'' dal punto di vista psicologico, ma anche se un medico (o chi per lui) mi definisse come tale.....che me ne dovrebbe fregare? Io sono andato in terapia per migliorare la mia situazione e basta, niente di più. Io non ho detto che l' analisi sia neutra nel senso più ''puro'' del termine, cosa che ovviamente non può essere in quanto io non sono una macchina e non lo è nemmeno il terapeuta, però può farmi vedere tutto in una maniera diversa alla quale io non avevo pensato. Potrebbe farlo anche un giornalista in un articolo? Certo. Ma il punto non è quello, in quanto nessun articolo sarà mai ''cucito'' su misura per me come la mia stessa storia. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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comunque, se proprio interessa capire il senso delle parole, bisogna ricordare che la parola patologia, come tante altre parole del lessico della psicologia clinica, sono state ereditate dalla tradizione medica in quanto la disciplina della psichiatria nasce e si sviluppa a partire dalla medicina (Freud studiò come neurologo per intenderci). In sintesi quello che va afferrato è che si tratta di analogie, non di diretti rapporti di identità. Basti pensare a due punti di contatto (ce ne sono anche altri, e a rigore non sono esclusivi) che formano l’analogia fra patologia organica e patologia psichica: la sofferenza e la compromissione. Un disturbo per essere diagnosticato esige la soddisfazione di gruppo di criteri. La soddisfazione dei criteri indica che c’è patologia. Ciò vuol dire che a seconda del tipo di diagnosi (fobie specifiche, fs, doc, depressione etc. etc.) la persona soffre di questa condizione ed è compromesso in alcune aree della vita (es lavoro, vita privata etc.). Così come (rapporto analogico) una persona che ha una patologia infiammatoria di un organo, soffrirà degli effetti corporei e avrà una certa compromissione in base al tipo di malattia (ad esempio se l’organo è lo stomaco potrebbe non essere in grado di digerire determinati alimenti etc.). La terapia (la “cura”) si pone come obiettivo di risolvere o riportare a livelli accettabili la sofferenza e la compromissione causati dal disturbo, nei limiti delle possibilità e delle risorse del paziente nonché del terapeuta. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Se uno schiavo non si ribella non finisce in croce, quindi sparisce il sintomo, ma questo basta a definire lo stato di salute? Per me è proprio scorretto poi appiccicare al disagio uno stato di salute costituto dal retto comportamento. C'è un disagio, lo riconosco, ma non è ben definito lo stato di salute quale sia e quindi è poco chiaro da quale patologia dover fare guarire quella persona specifica. Io dico, anche se si disponesse di una cura perfetta, delle persone potrebbero non riconoscerla come tale perché non desiderano vivere in certi sensi come prescrive lo stato di salute che definisce la cura. Uno schiavo che volesse vivere libero si dovrà pensare che è matto e non vuol star bene rispetto allo schiavo che sta tranquillo e vive la sua esistenza senza andare incontro a reazioni sociali di vario tipo? È chiaro che quello che si ribella non sta bene, ma non è detto che il suo stato di benessere corrisponda a quello dell'altro, potrebbe anche non essere costruibile questo stato di benessere anche se statisticamente la maggioranza degli schiavi che non si ribellano non sviluppano sintomi simili di ribellione. Guarda come definiscono la cura della depressione, bisogna portare o riportare il soggetto ad esser capace di lavorare. L'ho letta mille volte questa cosa, come se non lavorare fosse un sintomo, ma chi lìha detto? Magari uno è depresso proprio perché deve lavorare, insomma non potrebbe essere il lavoro stesso in sé per com'è fatto una fonte di disagio per quella persona? :nonso: Per me non è affatto scontato che uno stile di vita diffuso fornisca un modello di cura perché la maggioranza delle persone stanno bene cosí, potrebbe addirittura mancare il modello di benessere per certe persone in relazione a tutto l'assetto sociale, e quindi la malattia poi dov'è? Per lo schiavo ribelle la cura corrisponderebbe magari in questo: poter vivere non da schiavo in un certo ambiente, invece che si fa gli si propone di vivere tranquillo da schiavo, ma perché dovrebbe accettare questa definizione di benessere se non la riconosce come tale? Si potrebbe sostenere che uno schiavo che rompe le balle entra in un ciclo interpersonale negativo in maniera analoga a come ci potrebbe entrare un altro tipo di persona catalogata con certe etichette psichiatriche. Agli aiuti mirati ci credo, meno mi fido di questi protocolli che tendono a cristallizzare lo stato di benessere in certe formule osservando che questa cosa ha funzionato bene in ambito medico. Dubito si possa davvero esportare questo modello in ambito psicologico-sociale per definire il benessere di questo o quell'individuo. Spesso se uno sta solo e vive male la cosa gli si dice a questo "vedi quell'altro, sta solo e sta bene, il tuo problema non è questo, è la tua mente che funziona male e va normalizzata". Ma varrebbe lo stesso discorso anche con uno schiavo ribelle, gli si potrebbe dire "vedi quell'altro schiavo? Vive nella condizione di schiavitù e non sta malaccio, il tuo vero problema non è questo, la tua mente va normalizzata nell'accettare le cose come quella di questi altri visto che la statistica parla chiaro, stanno bene loro, frustate non ne ricevono e stanno tranquilli, non si arrabbiano come te". Per me discorsi del genere si possono buttare nella spazzatura. Ma vale in generale questo mio discorso, si può dire a un tizio "vedi quell'altro che lavora otto ore al giorno? Non si lamenta e sta bene così, la tua mente va normalizzata nell'accettare questa condizione visto che sei un poveraccio e qualcosa devi farla per sopravvivere, l'altro non si lamenta, quindi il tuo stato di benessere non dipende da questo, è la tua mente che è malata e va curata e messa nelle condizioni di vivere come quell'altro tizio". Sí va bene, riconosco che l'altro stia bene, ma non riconosco affatto l'idea che il benessere di tutti debba corrispondere poi a questo modello perché socialmente magari non esistono risorse per sostenere modelli alternativi che intercettino anche queste persone-eccezioni difficili che rompono le balle. In passato molti di noi sarebbero stati rinchiusi da qualche parte, oggi i metodi più duri in parte sono spariti, ma resta in piedi comunque la stessa ed identica ideologia, che io non condivido per nulla. Ad esempio esistono parallelamente molti stati diversi di benessere per ogni singolo depresso, quindi non è che la depressione è una malattia. A uno magari servono soldi, a un altro di andare su una montagna, a un altro servirebbe poter non fare un cazzo dalla mattina alla sera, a un altro ancora scopare di più, qualcun altro invece dovrebbe poter mandare al diavolo la propria famiglia che risucchia troppe risorse, e così via... |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Il più breve è la terapia breve strategica, il più lungo è la psicanalisi. Nel mezzo ce ne sono tanti, tra i quali il più diffuso almeno qua in Italia credo sia la cognitivo comportamentale. La strategia del discorso già pronto l'ho usata più volte, si risparmia qualche minuto, alla fine cambia poco o nulla. Può essere utile essere precisi nelle richieste e dare dei feedback chiari al terapeuta in merito all'andamento della terapia. Inoltre un ottimo modo per velocizzarla è darsi da fare nella vita reale; oppure avere eventi fortunati nella vita reale che ci migliorino le condizioni di vita :mrgreen: |
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