![]() |
Depressione in chiave evoluzionista
Credo che la depressione abbia un senso, cioè è una malattia ma secondo me è come l'ansia nel senso che deriva da un qualcosa che un tempo era utile, ad esempio avevo letto che l'umore depresso serve per mettere un animale nello stato di prendere decisioni pericolose che normalmente non avrebbe mai preso per la troppa paura o perché lo valutava come un rischio troppo grande, ansia e depressione secondo me sono così diffuse proprio perché partono da principi che l'evoluzione ha premiato, non mi sento di dire la stessa cosa per le malattie mentali più gravi ovviamente che però sono meno diffuse dei disturbi d'ansia e della depressione.
Perfino il suicidio a volte penso possa avere un'utilità dal punto di vista di sopravvivenza della specie anche se ciò può sembrare assurdo, ovviamente difficile pensare la stessa cosa della gente che uccide altre persone prima di suicidarsi, quegli individui sono più da considerare come individui usciti dal meccanismo sano dell'evoluzione per diventare delle mine vaganti che riconoscono il nemico nella propria specie o comunque in parte di esso mentre invece il semplice suicidio è sospetto, il fatto di sentirsi un fallito e uccidersi lasciando così più risorse ad altre persone considerate più valide potrebbe essere un meccanismo per aumentare le probabilità di sopravvivenza della specie nel suo complesso. Con questo non voglio invitare chi si sente un fallito a suicidarsi anche perché non è detto faccia un favore alla specie anche se ad esempio il suicidio di un criminale sarebbe un bene per la società, come al solito applicare il darwinismo all'umanità porta a teorie similnaziste. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Vedo la depressione e l' ansia nei limiti ovviamente del non patologico, come comportamento intrinseco che casualmente è utile ed era utile per la difesa contro un pericolo.
La schizofrenia così come la depressione e l'ansia può essere vista una evoluzione di un comportamento che prima era "normale" . In fondo la schizofrenia è l'insieme di sentimenti e comportamenti che diventano esageratamente intensi. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Potrebbe essere un interessante punto di partenza dal quale indagare certi comportamenti. Solitamente dicono che il mio tono è sarcastico, ma sono serio.
Tuttavia suppongo che la parte evolutiva come specie dovrebbe essere considerata nella totalità della sua espressione. Un animale, in genere, non vive per portare avanti la specie, ma i propri geni (secondo me). Considerando la depressione ed il suicidio come un mezzo per lasciare ad altri più risorse mi fa venire i nmente le formiche che nutrono le larve in maniera differenziata a seconda dello scopo. Da qui secondo me una scissione tra l'evoluzione naturale (a carattere universalmente valido) e l'evoluzione più improntata al sociale, che si differenzia per argomentazioni anche contrastanti con il principio di prima. Cerco di dire: ormai il nostro sacco dei geni si mischia in maniera più o meno globale, standardizzando le difese immunitarie. Una sorta di rimescolanza che porta batteri e virus ad essere i nostri predatori naturali. Questo impedisce una evoluzione prettamente fisica (premesso che ogni individuo è uguale al precedente e al successivo). Da qui si potrebbe sviluppare un evoluzione improntata al sociale e quindi far divenire il suicidio e la depressione come sistema di difesa o progressione. Mi pare che possa esserci differenza tra due stati depressivi di animali differenti, come nell'uomo lo sono se indotti da fonti diverse. [Sì, un parere inutile e non richiesto. Giusto per occupare spazio] |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
In questo paragone potrei supporre che un suicida, per lasciare beni agli altri, supponga di essere socialmente "sterile". Però potrebbe essere la sua paura, una sorta di visione sociale nella quale appunto ritiene di essere "socialmente sterile". Non sono certo di essermi spiegata... Sentirsi parte è un bisogno legittimo. Questo "adattamento"[tante virgolette perchè non vorrei rendere un idea sbagliata] è una risposta naturale o è, in una misura pesante, sviluppata dal contesto umano? Ho un pochino paura che legittimare questo discorso [non che tu lo stia approvando, e ammesso che non abbia frainteso]. Potrebbe poi estendersi in direzioni più selettive riguardo la specie. Non solo come membro produttivo, ma come espressione dell'ottimo che un individuo dovrebbe essere, altrimenti morire con dignità. [Comunque è una visione che molti potrebbero sentire e che effettivamente ha molto diritto, secondo me, di essere posta] |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
gli animali che tendono a stare in gruppi tendono a soffrire di depressione se stanno isolati e specialmente se non hanno da fare
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Vedo la depressione più che altro come uno sprone biologico a rientrare nel seminato. In quest'ottica la sua funzione sarebbe quella di spingere gli individui soli ed isolati a tornare nel branco. Non ci sono dubbi sul fatto che l'essere umano sia un essere sociale che deve la propria sopravvivenza ed il proprio "successo" alla sua capacità di fare gruppo. È solamente grazie alla sua notevole capacità sociale (e all'intelligenza) che l'uomo è riuscito ad averla vinta su tutti i predatori che abitano la terra. L'individuo isolato invece ha sempre fatto la fine del topo. La depressione quindi, tramite una sensazione di malessere generalizzato, spingerebbe l'individuo isolato, troppo vulnerabile, ad unirsi al branco, salvandogli così la vita e permettendogli di riprodursi in relativa sicurezza. Questa teoria non spiega però il perché il depresso tenda all'isolamento e preferisca la solitudine piuttosto che lo stare in gruppo. Un'altra ipotesi potrebbe essere quella del sacrificio di coloro che non sono utili al branco. In questo caso l'elemento inutile e malato si allontanerebbe dal gruppo per morire in solitudine allo scopo di favorire lo sviluppo dei suoi simili sani, forti e robusti. Se non ricordo male i lupi mettono in pratica un meccanismo del genere.
Per quanto riguarda l'ansia penso sia noto che, a livelli non patologici, rappresenti una fonte di prudenza, la quale a sua volta contribuisce ovviamente alla preservazione dell'esistenza. Invece per le malattie più gravi, come le psicosi, penso che la loro utilità biologica sia quella di nascondere agli occhi del malato una realtà altrimenti insopportabile. Secondo me la psicosi, per quanto poco auspicabile sia, salva alcuni individui dal suicidio facendo esistere per loro cose che non sono reali ma che garantiscono sollievo e tranquillità. L'alto tasso di suicidi fra gli psicotici potrebbe esser spiegato dal fatto che ad una certa essi si accorgono del castello di carte sul quale hanno basato le proprie esistenze e non reggono all'impatto con la realtà; c'è da dire però che, senza la psicosi, essi si sarebbero forse suicidati prima. |
A livello cellulare esiste l'apoptosi, ovvero la "morte cellulare programmata"', come fenomeno ed esso è fondamentale per lo sviluppo dei tessuti e per prevenire che una cellula danneggiata (per vari motivi) possa espandere tale danno ad altre.
In un certo senso la logica è proprio quella del sacrificio dell'individuo per il mantenimento efficiente e funzionale di un sistema complesso. Ed è roba che avviene costantemente dentro ogni essere vivente, credo. Ad un livello più macroscopico, puoi leggerti l'esperimento della "fogna del comportamento" (behavioral sink) fatto con dei topi, dove si illustrano gli effetti della crescita demografica e come la sovrappopolazione causi danni psicologici devastanti perfino a dei sorci che hanno risorse infinite a disposizione. In ogni caso pare che dove c'è un sistema complesso di relazioni tra individui, con ruoli, gerarchie & Co., allora per il mantenimento dello stesso è quasi fisiologico si sviluppino forme di (auto)eliminazione degli individui meno funzionali o "danneggiati". |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Non sono d' accordo, secondo me non si tratta affatto di meccanismi che "l' evoluzione ha premiato", non sono dinamiche adattative, al contrario parliamo di dinamiche disadattative ( costanti e riconoscibili senz' altro ) .
Pensa ad un animale in libertà, è pressoché impossibile immaginarlo in condizioni comparabili a quello che in un umano definiremmo una condizione depressiva di qualche sorta; immaginatelo in gabbia, ed allora il discorso cambia. La depressione è un disadattamento "da gabbia", un processo che si innesca quando i tentativi dell' individuo di vivere in una maniera appagante vengono costantemente frustrati, come un animale in cui l' energia viene spenta da una prigionia senza stimoli, in cui l' unico adattamento possibile è una rassegnazione che pieghi una forza vitale resa inutile dalle circostanze. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Credo sia più una sorta di "riposo" di emergenza (quando ci sono emozioni di paura e rabbia troppo intense e ingestibili) che però può andare bene per breve tempo.
Come il pianto, potrebbe suscitare una risposta di sostegno attorno, ma alla lunga è deleterio e inefficace. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Penso che partendo da un funzionamento adattivo si sfoci nel disadattivo e disfunzionale.
L'ansia porta ad aumento di battito cardiaco, frequenza respiratoria e flusso sanguigno per condurre più ossigeno ai muscoli in vista di reazione d'attacco o fuga, miglioramento della vigilanza, attenzione e concentrazione. La tristezza segnala disagio, comunica sofferenza, richiesta d'aiuto, consolazione e accudimento; stimola empatia , compassione e comprensione nell'altro; è anche un modo per operare un cambiamento attivandosi nel trovare una soluzione alla perdita. Rispettivamente ansia sociale, l'ansia generalizzata e poi la depressione mi paiono versioni "impazzite", amplificate e fuori controllo, sconvolte e dannose. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Comunque non s'è mai capito bene il contenuto informativo della teoria di Darwin quale sarebbe.
Si afferma inizialmente che si riproduce molto il più adatto, poi visto che non si capisce questo "più adatto" che significa di preciso, si chiede al teorico "ma 'più adatto' che significa in sostanza?" ed a questa domanda in genere il teorico risponde così "'più adatto' significa che un certo individuo si riproduce molto". In pratica s'è affermato che si riproduce molto chi si riproduce molto. Il contenuto informativo della teoria quale sarebbe? :nonso: L'unica cosa interessante e la novità introdotta è forse quella relativa al fatto che specie diverse possono avere progenitori in comune e non esistevano tutte insieme fin dall'inizio (come si credeva prima). |
Quote:
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Per me la depressione non ti rende più forte ma ti butta giù.. è un po' come quando vai ko per aver preso un pugno il tuo organismo ti dice fermo li che hai fatto abbastanza danni.. semmai è guarire dalla depressione che ti rende forte.. che torni normale ma hai l'esperienza alle spalle.
Non credo sia evolutivo, altrimenti la depressione sarebbe innata e la plasticità del cervello già modellata senza dover trasformarsi. Invece è una risposta a determinati stimoli genetici e ambientali. Significa che per la vita non dovrebbe essere così ma l'organismo ne ha comunque le contromisure in caso. Quindi è una malattia, è la manifestazione di un fenomeno in risposta a qualcosa di anomalo che non dovrebbe esserci. Ai fini evoluzionistici è meglio, più funzionale non essere depressi. Cioè l'evoluzione deve darmi vantaggi nell'esistere, la depressione non da nessun vantaggio. Ma mettiamo che la depressione mi rendesse più forte contro gli aspetti negativi della vita, sarebbe un vantaggio se la vita fosse fatta solo di aspetti negativi invece non è così.. se nascessimo tutti depressi saremmo fortemente svantaggiati in termini evoluzionistici. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
L'allenatore schiera un giocatore e a posteriori se segna si sa spiegare benissimo perché ha segnato, se non segna si sa spiegare benissimo perché non ha segnato. Se oggi fossimo stati fatti in modo completamente diverso lo stesso uno scienziato evolutivo sarebbe stato capace di spiegare perché dovevamo esser fatti così e non diversamente in base all'evoluzione. Se avessero qualche contenuto informativo queste cose dovrebbero dirci cosa escludono, ma a me sembra non escludano nulla in termini generali, escludono solo quel che non è avvenuto, ma questa è storia, è archeologia. Si sa quel che è avvenuto (e talvolta si cerca di capirlo come storici ed archeologi), ma il perché sia avvenuto sfugge. Anche se poi le spiegazioni storiche sembrano capaci di poter prevedere qualcosa, a me sembra che riescano a prevedere ben poco. Altra cosa poi son gli studi di genetica e biologia dove si cerca di afferrare davvero i meccanismi causali, ma non li associerei al darwinismo. Il darwinismo perciò secondo me è un'archeologia delle specie, ma non contiene nessuna informazione predittiva e non esclude praticamente nulla come l'archeologia. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
Descrive un meccanismo "a mano invisibile", non governato da agenti intenzionali (e anzi, toglie all'intenzione, al desiderio, qualsiasi giustificazione esterna). Non ti sembra un contenuto informativo? |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Comunque credo che la teoria più corretta sia quella appunto di comportamenti primordiali che avevano un certo successo ma che sono andati fuori controllo in determinate persone, un po come il tumore, la replicazione delle cellule è essenziale alla sopravvivenza però quando va fuori controllo diventa un problema serio.
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
Comunque la cosa interessante è il tentativo di ricostruire storicamente da dove siamo venuti fuori noi esseri umani ed altre specie, per me rappresenta una ricostruzione storica convincente in funzione delle tracce che si son riuscite a rinvenire (per questo l'associo più a una buona indagine archeologica che ad una teoria fisica). Però a livello di teoria secondo me non è stata affatto pensata bene, quando si cerca di formulare più chiaramente certi principi proposti mi sembra che si cada in circoli viziosi oppure in un indefinito non ben circoscritto in cui può capitare di tutto. Quando si parla di mutazioni casuali, ad esempio, non è ben definito cosa potrebbe mutare, in linea di principio non è escluso che potrebbe venir fuori anche un coccodrillo da un essere umano visto che la mutazione non solo è casuale (quindi imprevedibile nell'esito) ma è vero anche che nessuno ha mai stabilito (in queste formulazioni naive) cosa può mutare e cosa no. Per formulare principi accettabili, bisognerà capire i meccanismi biologici sottostanti, come sono fatti i geni, come possono mutare, ed in che modo "costruiscono" l'individuo, ma è un lavoro che è tutto da fare, l'evoluzionismo è un racconto storico (che in quanto tale contiene informazioni) ma non spiega veramente quasi nulla oltre a questo come fanno le vere teorie. Gli evoluzionisti con queste teorie qua risultano totalmente incapaci di prevedere (anche a livello probabilistico) come potrebbero diventare certe specie, che specie potrebbero venir fuori e così via, anche dopo anni e anni e anche conoscendo l'ambiente che abitano queste specie in tutti i suoi particolari. Il racconto delle variazioni di generazione in generazione, ad un'analisi più stringente, non è capace di spiegare granché, del perché siamo fatti in un modo piuttosto che in un altro, anche se è una cosa vera. Se si vive sugli alberi, si potrebbe sopravvivere meglio in miriadi di modi diversi, potrebbero venir fuori altri arti per reggersi più facilmente, sviluppare prese ad artiglio (tipo gli insetti) e così via. Perché noi non abbiamo sei zampe come gli insetti che vivono insieme a noi nel nostro ambiente, queste teorie evolutive non lo spiegano affatto secondo me, se avevamo sei zampe lo stesso poi magari si sarebbe trovato il motivo ambientale per cui eravamo fatti così, per questo mi convincono poco queste spiegazioni. A me sembra che certi ambienti son simili, molto simili, eppure poi vengono fuori specie diverse, la diversità perciò poi dipende più dalle mutazioni che dalla selezione e l'ambiente, ma le mutazioni non son state determinate in nessun modo da queste teorie qua, le si è lasciate nel totalmente vago in maniera tale da poter spiegare praticamente tutto quel che potrebbe avvenire in futuro. Se viene fuori il marsupiale si trova la spiegazione adattiva per cui è venuto fuori, se viene fuori il coccodrillo si trova la spiegazione adattiva per cui è venuto fuori e così via, ma sarebbero potute venir fuori anche altre cose e non si sa cosa di sicuro non sarebbe potuto venir fuori. In fin dei conti evolutivamente parlando noi esseri umani avremmo potuto anche non esistere proprio se non ci fossero state certe mutazioni che in base a queste formulazioni non dipendono da nulla (o non si sa da cosa dipendono) e non si sa nemmeno come possono esser fatte. Tutte queste falle non le vedono? :nonso: Tutte queste spiegazioni sono sempre spiegazioni a posteriori simili a quelle del dopo partita. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Che poi più che sopravvivenza del più adatto pare la sopravvivenza del più fortunato, troppe cose incontrollabili in ballo.
|
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Mi era sovvenuto un dubbio a proposito di questo topic. Accetto come assioma il collegamento tra le specie e gli individui, ma non c'è una dimostrazione pratica sulla direzione del mutamento? Consideriamo quasi sempre una progressione positiva, una evoluzione, ma portebbe anche trattarsi di una progressione negativa, una involuzione.
L'adattamento che abbiamo ipotizzato lo abbiamo considerato di un evoluzione, ma non abbiamo la determinazione completa del problema (proprio perchè facciamo parte di questo mutamento). |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Quote:
Comunque le parole progresso e regresso hanno senso solamente se relazionate ad un fine. Il progresso è un parziale avvicinamento al fine preposto. Un regresso è invece l'esatto opposto. Non ha senso parlare di progresso o di regresso in termini assoluti. Cioè, se il fine che l'umanità si pone è l'incivilimento, la diffusione di modi di fare rozzi è evidentemente un regresso. Se invece il fine fosse un altro lo stesso fenomeno (ossia la diffusione di modi di fare rozzi) potrebbe anche esser considerato in modo totalmente differente. Progresso e regresso sono sempre concetti relativi al fine ultimo, altrimenti perdono di significato. |
Re: Depressione in chiave evoluzionista
Credo di comprendere il punto di vista che mi stai suggerendo, tuttavia per me la socialità è una particolare.
Mi hai fatto venire a mente una cosa che scrisse Svevo [La coscienza di Zeno]. In pratica Zeno Cosini accerchaito da familiari vincenti pare un perdente. Ma avendo "problemi" è quello che più di tutti è un vincente poichè gli altri, in cambio di situazioni, non sanno cosa fare. Zeno invece è "abituato" a trovare modi per restare a galla, per cui in tutte le vicissitudini riesce a cavarsela. |
Tutti gli orari sono GMT +2. Attualmente sono le 22:14. |
Powered by vBulletin versione 3.8.8
Copyright ©: 2000 - 2025, Jelsoft Enterprises Ltd.