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Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Vai lì e parli di tutto, della tua storia a partire dall' asilo e di tutto ciò che ti crea problemi, senza discorsi preparati da casa o altro, secondo me approciarsi in maniera meccanica all' analisi è decisamente sbagliato. Poi è lunga, decisamente lunga, un modo di velocizzarla più di tanto secondo me non c'è. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Un medico un minimo dovrà applicare l' idea di far perseguire uno stato di salute ''normale'' alle persone, altrimenti potrebbe anche essere giusto tirarsi coltellate alla pancia se ciò andasse bene a colui che lo faccia. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
Ho scoperto che anche mio fratello è andato qualche volta dallo psicologo, per magagne sue personali, abbastanza gravi. Non capisco a cosa serva lo psicologo quando sei oggettivamente in una situazione orribile, e non c'è una soluzione pratica. Come se uno che viene arrestato andasse dallo psicologo, che vuoi raccontare? E' tardi...il danno è già fatto, non c'è molto da discutere, non è una tua fobia o la tua immaginazione...sei fottuto, sei fottuto per davvero.
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Se Tizio non lavora ed è al contempo convinto che la sua vita è incompatibile col il lavoro, e che perciò non lavorerà mai, allora una persona così non andrà mai in terapia. Non c’è il senso, perché non ha lo scopo di farlo. Sono condizioni diverse quelle di persone per le quali fra i temi toccati in terapia vi è lo stress per il lavoro, o dei blocchi mentali per cercare lavoro etc., in questi casi c’è uno scopo (alleviare lo stress, sbloccare la mente per affrontare la ricerca di lavoro) ma ci sono delle sofferenze e delle compromissioni nella capacità individuale di raggiungerlo; qui il terapeuta potrà intervenire per aiutare il paziente a realizzare il suo scopo. Il processo terapeutico non impone nessun presunto “retto modello di comportamento” se uno ha già ferme e coscienti convinzioni di cosa vuole dalla vita, né si “normalizza” nessuno che non desideri cambiare comportamento (a meno che non sia pericoloso o nocivo per il prossimo). La terapia risponde a chi fa domande non ha chi ha già le risposte. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Alla fine non si è veramente liberi, bisogna adattarci, scendere a compromessi. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Re: La "lentezza" della psicoterapia
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edit: non so se ho interpretato "male": io ho inteso che la persona non vuole lavorare, ma essendo in ristrettezze economiche deve comunque farlo (di conseguenza ho risposto che si ripropone l'esistenza di uno scopo e di eventuali disagi psicologici nel realizzarlo). |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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http://www.oltrelabirinto.it/news.aspx?idC=280 Questa roba non è affatto neutra come si crede in genere ingenuamente, un protocollo specifico di cura per un disturbo implica poi che chi non si vuol far curare così non vuol guarire e non vuol star bene, ma magari il suo disagio non viene intercettato proprio dal protocollo. Posso accettare che siano malattie il Parkinson e disturbi simili, ma qua secondo me si è esagerato, si ha a che fare con personalità, desideri e stili di comportamento (che possono entrare in conflitto con altro), non con malattie vere e proprie. Io non sostengo che non bisogna intervenire in alcun modo là dove ci sono disagi (individuando la richiesta di aiuto della persona e non inventandosene una che sta bene alla società circostante), ma che il paradigma medico applicato a questi disagi secondo cui la mente di queste persone s'è guastata in certi modi specifici, rappresenti qualcosa di errato. A me può tranquillamente stare sulle palle un tizio perché il suo comportamento e i suoi modi mi disturbano, ma questo cosa c'entra con la sua sanità mentale? Sono a favore dell'idea che bisogna favorire il benessere di tutti se possibile (se non è possibile preferirei si favorisca il mio :mrgreen:), ma non sono convinto che questo paradigma sia quello giusto per favorirlo. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Si presenterebbe un bel problema, in quanto la soluzione che lo psico proporrebbe andrebbe in contrasto col desiderio del paziente. Si tratterebbe allora di modificare il desiderio e la richiesta del paziente verso qualcosa di più realistico. Ma questo può essere doloroso e il paziente può restare comunque frustrato e insoddisfatto... |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Il mio consiglio (non è una critica o altro) è di riflettere un po' sulle cose che abbiamo scritto io, Angus, Franz90, per comprendere meglio il senso della richiesta di una persona di voler andare in terapia. Il disturbo da opposizione politica mi pare esistesse, ma è stato ampiamente criticato ed eliminato prontamente con l'evolversi del tempo (come accade per tutti i progressi). Per il resto l'articolo è roba per accademici, sono argomenti che si affrontano a livello specialistico. Ammetto che quando ho letto Salvini ho pensato che fosse un'uscita dell'omonimo Matteo :D |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Supponiamo che io sia triste e depresso, e sia cronica questa cosa. Ora se vado dallo psicoterapeuta è per curare qualcosa di specifico? Si sa a priori in che modo potrei o dovrei vivere, quali comportamenti cambiare e così via? Ed è sicuro che c'è un qualche sistema di vita al quale posso accedere indipendentemente da tutto il resto che faccia al caso mio? E' una cosa aperta questa, come si fa a patologizzare precisamente la mia depressione e parlare di una cura? Se manco mi conosce lo psicoterapeuta cosa dovrebbe curare di preciso? Ma anche se avessi un disturbo di personalità (classificato in base alla categorizzazione corrente) e fossi evitante perché mi infastidiscono le critiche e vorrei vivere in ambienti meno competitivi e più accettanti, non è mica detto che poi percepisca la mia sensibilità alle critiche come un problema, ma poi magari vivo comunque a disagio perché poi certe cose non riesco ad ottenerle dato che altri ambienti che funzionino diversamente non li conosco. Se tutte le psicoterapie sono costruite sul modello "dobbiamo togliere la sensibilità alle critiche, l'unico vero problema è questo", non si fa un buon lavoro pluralistico. A me pare che in generale questi disagi ci sono, le persone si vede poi che vivono male, ma non è ben chiaro né ben definito cosa cambiare di preciso e se quel che vorrebbe cambiare il cosiddetto curante sia davvero condiviso con chi viene curato (generalmente in ambito medico c'è questa cosa, ma in questi ambiti qua davvero credo sia difficile che ci sia sempre). Per me sarebbe meglio identificare i disturbi non come disturbi di adattamento ma da conflitto, se c'è un conflitto tra due dispositivi, non è che è guasto uno dei due, ma comunque sarebbe meglio lasciare che le relazioni di cura in questi ambiti risultino elastiche fino ad abbracciare anche interventi di altro tipo che possono diventare materiali e sociali. Si può cercare una soluzione, ma l'idea che ci sia già a monte nel portare o riportare la mente del disturbato in certi stati ben definiti (in termini psico comportamentali) non mi convince per niente. Uno è depresso e pensa "non voglio essere più triste", ma associata alla tristezza cronica di preciso quale malattia ci sarebbe appiccicata? In quali modi si intende far sparire questa tristezza poi nei singoli casi? Uno può essere cronicamente triste perché fa un lavoro che non gli piace e non sa trovarne un altro e non può mettersi perennemente in malattia, un altro può essere triste perché ha una condizione familiare di merda, un parente disabile da curare che gli ha reso l'esistenza un inferno, un altro perché è solo e vorrebbe compagnia. Per ora che si tratta solo di squilibri chimici nessuno lo ha mai dimostrato effettivamente visto che molte persone assumono un mucchio di medicinali e sempre una mezza schifezza stanno. Se il miglioramento è modesto magari l'effetto non è dissimile dall'euforia indotta da una canna o roba simile, che poi è legittimo anche curarla così se si trae giovamento, per me va bene tutto, basta che non si arrivi a sostenere che la cura è questa e basta, a 'sta cosa non ci credo. Non è proprio chiaro in che direzione spostare la barca e se esiste una qualche direzione dove portarla in ogni caso, non è detto che poi delle direzioni vadano bene per tutti ed esistono direzioni assolutamente preferibili in termini mentali capaci di definire questo stato di salute rispetto al sintomo della tristezza cronica, pensieri di suicidio e compagnia bella. Faccio un esempio tratto dalle condizioni di uno stato, se c'è un deficit pubblico enorme, c'è di sicuro un problema, ma come risolverlo o contenere questo deficit non è affatto definito dal deficit stesso. Bisogna aumentare le tasse delle persone che hanno di più? Favorire lo sviluppo? Togliere o ridurre le pensioni? Licenziare personale, eliminare servizi? La soluzione poi quale sarebbe? Lo stato di salute verso cui tendere o far tendere lo stato per toglierlo questo deficit quale sarebbe? Ed esiste ed è condiviso da tutte le parti sociali? :interrogativo: Qua si può dire metaforicamente che lo stato è malato, ma alla lettera non è ben identificabile una malattia, c'è un sintomo che si vorrebbe far sparire, ma onestamente non è chiaro quale debba essere lo stato di salute verso cui farlo tendere, per questo ci sono queste lungaggini democratiche e probabilmente non si arriverà mai ad un accordo che permetterà di ridurlo o idealmente farlo quasi sparire questo deficit. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Comunque mi sembra che metti insieme sensazioni e malumori personali e discorsi oggettivi; le mie posizioni sul senso della psicoterapia le ho già espresse, è evidente che hai le tue opinioni sull'argomento. |
Re: La "lentezza" della psicoterapia
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Io ho fatto sedute di psicoterapia cognitivo comportamentale, che immaginavo fosse breve e invece ci ho messo 3 anni, con una seduta a settimana. Però ha funzionato perchè gli attacchi di panico mi erano passati. Adesso però dovrei trovare un nuovo dottore perchè sto male e ho bisogno di aiuto. Prima o poi dovrò sceglierne uno. Quinditi dico, se non sei soddisfatto e non vedi cambiamenti ok, prova a cambiare, vai da un altro dottore o dottoressa. Prova. Io ho cambiato 3 psicologi.
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