le reti sociali non rientrano nell'ambito di alcuna questione genetica.
Semmai è proprio l’esigenza di rapportarsi col prossimo, ovvero il richiamo delle reti sociali, ad essere qualcosa di genetico, di naturale per l’uomo
Il limite è contraddistinto dalle modalità di interazione, ma quelle, no, non sono genetiche. Ed è su quelle che bisogna lavorare.
Ma per "lavorare" non intendo fare i calcoli su come approcciare, su quanti secondi parlare, su quanti secondi non parlare e così via.
Intendo avere coscienza reale di come funzionano le interazioni, ovvero come un processo rituale.
Come ogni rituale ci sono delle regole (non scritte). Infrangere la regola di un’interazione è frequentissimo e l’interlocutore se ne accorge. Ma – ed è questo il fatto – l’interlocutore si rende conto che è solo un caso, che è solo un’accidentale rottura della regola (supponiamo, ad esempio, di non aver rispettato bene il turno di parola o di non essere stati generalmente cooperativi durante lo scambio comunicativo), e così via. Se ne rende conto perché ha la acquisito completamente l’idea che si sta parlando di un procedimento che va a tentativi e a regole non scritte. Insomma, ha ben chiaro in testa che si tratta definitivamente di qualcosa di normale.
Così normale, che magari non ci pensa. Magari storce il naso e critica (venendo meno però, a sua volta, ad un'altra norma comunicativa...tò guarda!
), facendoci sentire ancora peggio. Ma per il nostro interlocutore, critica o non critica, è incredibilmente normale e se commette lo stesso scivolone, ci pensa un pò, medita sulle forme usate (e non sul meccanismo di fondo, perchè appunto è dato per scontato) ma non diventa un dramma. E’ un automatismo.
Il primo passo è avere allo stesso modo la stessa consapevolezza sulla natura delle interazioni. Una volta assunto veramente questo concetto, si potrà passare al resto.
O almeno questa è la mia interpretazione.