Ciao a tutti,
sono una ragazza di quasi 25 anni, sono del nord Italia ma mi sono trasferita a Roma da meno di un anno.
Mi hanno sempre detto che fin da piccola, nonostante di base fossi allegra e iperattiva, dimostrassi sempre una certa diffidenza verso tutto ciò che era nuovo o sconosciuto, sia persone che situazioni. Fino a una certa età però ero abbastanza decisa e spavalda nel fronteggiare ogni cosa. E' stato intorno ai 14 anni, confrontandomi coi coetanei così diversi da me, sentendomi sempre più inadeguata, giudicata e sempre più tagliata fuori da tutto ciò che per gli altri era "normale per quell'età", che mi sono chiusa in me stessa e ho cominciato a sviluppare una vera e propria fobia sociale.
Piangevo sempre, se non ero a scuola restavo chiusa in camera e se le mie amiche mi trascinavano fuori la sera mi sentivo un animale notturno abbagliato dai fari. Non volevo ammettere con nessuno le mie debolezze, né con la mia famiglia, né tanto meno con persone della mia età alla quale mi sentivo in qualche modo inferiore.
Dopo il diploma non potevo più starmene isolata 24 ore al giorno, così sono andata all'università, mi sono sforzata di fare conoscenze, ho avuto le prime esperienze lavorative, ho cercato di sbloccarmi con il teatro e la recitazione... queste esperienze invece di rendermi più disinvolta verso l'esterno hanno comportato uno stress psicologico insostenibile, finché non ho finito col rivolgermi a 3 psicologi diversi. Non solo è stata una perdita di tempo e di soldi, ma mi sono anche sentita dire che "in realtà sono perfettamente in grado di psicanalizzarmi da sola, ho tutti gli strumenti necessari per risolvere i miei problemi"
In effetti il soffrire di "mal di vivere" mi ha portato a ragionare molto sulle cose, ad analizzare le persone, i loro comportamenti, la loro psiche. Una psicologa mancata, insomma.
Eppure dopo quasi 11 anni sono ancora allo stesso punto: a periodi alternati soffro di attacchi d'ansia, crisi di pianto, sbalzi d'umore, e poi momenti di apatia, di disinteresse totale verso tutto.
Ora sto cercando di intraprendere un percorso lavorativo di tipo artistico, un lavoro che richiede molto tempo e molto lavoro di "public relations". Sono costretta a parlare, far vedere la mia faccia, farmi conoscere, stringere più contatti possibile, insomma il tipo di lavoro dove sì, se sei bravo fai strada, però non puoi permetterti di essere introverso o di stare silenziosamente in disparte.
Prima di trasferirmi a Roma avevo consultato uno psichiatra, col quale avevo discusso di una possibile terapia, anche farmacologica. Ma poi sono partita, lasciandomi tutto alle spalle, convinta chissà come che una nuova vita in un'altra città e da persona autonoma mi avrebbe giovato. Non sembra così.
Da quando vivo qui mi sento costantemente giudicata: perché non esco la sera, perché cerco di lavorare in un ambito che non dà sicurezze, perché ho finito col coltivare un carattere schivo e riservato che mal si sposa col clima estroverso e diretto della capitale.
Mi sento come se dovessi giustificarmi sempre, giustificare come sono fatta, i miei interessi, le mie scelte di vita, tutto. Mi sento circondata da estranei, peggio ancora, da nemici.
Dopo le ultime tre settimane trascorse in totale apatia e solitudine, ho pensato di iscrivermi a questo forum presa da quel senso di disperazione che ogni tanto ti coglie quando pensi "sono l'unica persona al mondo a sentirsi così?"
Chiedo scusa per la presentazione chilometrica, ma non sono mai stata brava a sintetizzare i concetti.