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Discussione: Tre inglesi e un poema comico. Rispondi alla discussione
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19-12-2010 14:51
Patrick Jane
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da Miky Visualizza il messaggio
ah bhe dal titolo delal discussione pensavo fosse una barzelletta
quotissimo
19-12-2010 13:19
Dasil
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
Già, un altro modo per dar voce alla filosofia del basta che respiri...
Ma...
Nn è che sia proprio cosi'........o forse si
15-12-2010 16:05
MoonwatcherII
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Il più bello sinora per me è "Decadent, Just e il quadro".
15-12-2010 15:54
Labocania
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
Su queste citazioni credevo di avere il copyright
Voglio vedere il documento autografo del sommo che ti designa come unico erede delle sue opere... .

Nel frattempo porrò rimedio aggiungendo una nota...
15-12-2010 15:41
Winston_Smith
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
Lo sbalordito Dasil scolorocci in viso
Su queste citazioni credevo di avere il copyright
15-12-2010 15:01
TerzaCagna
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Eheheh l'incantesimo che vorrebbe Alla nostra Just quando soffre di insonnia ovviamente un sonno reversibilissimo ma il principe azzurro che la sveglia deve rimanere tale e quale però
15-12-2010 14:34
Labocania
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da TerzaCagna Visualizza il messaggio
Dasil ardente e sensibile al respiro femminile è perfetto
Justina con l'invicibil sonno Quella mi sa che non rispecchia la realtà...
Già, un altro modo per dar voce alla filosofia del basta che respiri...

Si trattava di un incantesimo.
15-12-2010 14:24
TerzaCagna
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Dasil ardente e sensibile al respiro femminile è perfetto
Justina con l'invicibil sonno Quella mi sa che non rispecchia la realtà...
15-12-2010 12:00
Labocania
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Dasil cavaliere e Just addormentata.

V’era un franco giovine che Dasil si nomava; conduceva lungo vie perigliose il suo ferrigno e rombante destriero, mosso dal desir supremo del Santo Graal. Lo cercava in ogni loco, con celestiale impazienza e ferma volontà, ma fino a quel momento del premio supremo non aveva potuto gedere.

Giunse in una valletta amena. Il suo sesto senso fino lo guidò attraverso l’intrico di rami e cespugli. Estremamente sensibile era, quell’omo ardito, al respiro femminil, ché colmo di caldi sensi era il suo cor…
Il lieve e lieto suono lo condusse in un boschetto adorno, ove l’ardimentoso cor immantinente iniziò a batter tumultuoso; mirabile visione dinanzi ai suoi occhi accesi: una leggiadra fanciulla dormiente. Justina era quella gran beltade, presa da invincibil sonno.

Gli amorosi lacci presto avvinsero l’ardimentoso, il suo sembiante si fe’ giocondo, tolto il cimiero, sul volto di giglio si chinò e con le labbra trasmise amorose virtudi.
Tosto la bella si riscosse dall’oblio che l’avvolgeva. I suoi occhi fieri fissarono il franco baron che l’avea or ora destata.
Lo sguardo suo orribile divenne! Pareva una drago che faville emana. Così con voce tonante favellò:

“Tu vil giottone il lungo sonno tanto agognato hai ruinato col tuo villano gesto!!! L’incantamento che la preziosa valeriana mi donò or per lungo tempo è rotto!!! Tristo destino t’attende can fellone! ché mai avrò requie finché il tuo respiro non sarà eternamente mozzo!!!!”

Lo sbalordito Dasil (scolorocci in viso)* ché la fiera donzella un immenso troncone brandiva ed intendeva menar rovina!
Gran corridor il calabro divenne, fuggeva il misero, e la donzella acerba dietro che di far scempio di quel corpo intendea.


*Espressione che sottoposta a giudizio.
14-12-2010 22:18
Miky
Re: Tre inglesi e un poema comico.

ah bhe dal titolo delal discussione pensavo fosse una barzelletta
14-12-2010 22:08
Labocania
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da just92 Visualizza il messaggio
ehm...solo io ci vedo un non so che di molto ambiguo?
(dovrebbe esserci stata time al posto di histo, allora si che la cosa avrebbe avuto veramente senso diventando un racconto a luci rosse LOL)
Possibile, ma è Histo la professionista della cure mediche... .
14-12-2010 22:02
bunker
Re: Tre inglesi e un poema comico.

grande labo
14-12-2010 21:50
just92
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
[B]Clang
E le raccontai come ero approdato a quella verità.

Histo mi sbottonò e si mise ad osservarmi, mi afferrò il polso e mi colpì il petto quando me lo aspettavo – un’autentica vigliaccata, dico io - e subito dopo cominciò a darmi testate col viso per appoggiare l'orecchio al mio petto.
ehm...solo io ci vedo un non so che di molto ambiguo?
(dovrebbe esserci stata time al posto di histo, allora si che la cosa avrebbe avuto veramente senso diventando un racconto a luci rosse LOL)
14-12-2010 21:48
TerzaCagna
Re: Tre inglesi e un poema comico.

...un clang ipocondriaco
Davvero complimenti Labo
14-12-2010 21:40
Labocania
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Clang consulta l’enciclopedia medica; ovvero pagine sottratte da un senza il consenso dell’autore.


Ricordo che una sera, ero particolarmente affaticato dagli aridi capitoli della mia scienza. Così, per diporto, presi l’enciclopedia medica e distrattamente iniziai a voltare le pagine e scorrere la descrizione delle varie malattie; e prima ancora che avessi dato un'occhiata alla metà dell'elenco dei "sintomi premonitori" c'era in me la certezza assoluta che, ovviamente, avessi tutte quelle malattie. Rimasi per un momento agghiacciato dall'orrore, poi con l'indifferenza della disperazione, continuai a sfogliare le pagine. Arrivai alla febbre tifoidea - ne lessi i sintomi scoprii che avevo la febbre tifoidea, che dovevo portarmela addosso da mesi senza accorgermene - mi chiesi che altro ancora avessi; mi capitò sott'occhio il Ballo di San Vito - scoprii, come previsto, d'avere anche quello - e cominciando a interessarmi al mio caso decisi di scrutarmi fino in fondo e quindi ripresi la lettura in ordine alfabetico. Lessi: brividi di febbre intermittente, e seppi che ne soffrivo e che la crisi acuta sarebbe cominciata tra una quindicina di giorni. In quanto a Bright e alla sua malattia del rene, rimasi consolato scoprendo che l'avevo solo in una forma di sottospecie e che, quanto a lei, mi avrebbe fatto vivere per anni.
Il colera ce lo avevo e con gravi complicazioni; con la difterite sembrava che ci fossi nato. Mi sprofondai coscienziosamente in tutte e ventisei le lettere e arrivai alla conclusione che l'unica malattia da cui ero esente era il ginocchio della lavandaia.
Questa scoperta al primo momento mi lasciò piuttosto deluso, mi parve quasi un affronto. Perché mai non avevo il ginocchio della lavandaia? Perché questa invidiosa eccezione? Ma dopo un po', grazie a Dio, prevalsero sentimenti meno avidi. Riflettei che avevo tutte le altre malattie conosciute dalla farmacologia e così mi sentii meno egoista e decisi di fare a meno del ginocchio della lavandaia. La gotta, sembrava che mi avesse ghermito nella forma più maligna senza che ne avessi coscienza; in quanto alle fermentazioni per zimosi evidentemente ne soffrivo dalla fanciullezza. Dopo la zimosi non c'erano altre malattie e così conclusi che non avevo altro.

Rimasi lì seduto a meditare. Pensai... che caso interessante devo essere io dal punto di vista clinico; che pacchia per una scuola!
Gli studenti, avendo me, non avevano più bisogno di fare pratica ospedaliera. L'ospedale ero io; sarebbe bastato fare un giro intorno a me e poi potevano prendersi la laurea.
Pensai a quanto tempo ancora mi rimanesse da vivere. Tentai di esaminarmi. Mi tastai il polso. In principio non lo trovai, ma poi sembrò che cominciasse a battere tutto di un colpo. Tirai fuori l'orologio e contai. Andava a cento e quarantacinque pulsazioni al minuto. Cercai di sentirmi il cuore. Ma il mio cuore non lo trovai. Non batteva più. Ero sempre stato d'opinione che doveva esserci, e aver pulsato; quindi non mi potevo render conto di che cosa era accaduto. Mi palpai dappertutto sul davanti, da quella che io chiamo la mia vita fino alla testa, e un po' attorno da ciascun lato e un po' sulle spalle. Ma non riuscivo a sentire né udire nulla. Cercai di guardarmi la lingua. La cacciai fuori per quanto fu possibile, chiusi un occhio e cercai di esaminarla con l'altro. Non riuscivo a vedere che la punta e l'unica cosa che ci guadagnai fu di esser certo più di prima che avevo la scarlattina.

Avevo aperto quel libro felice e pieno di salute. Quando lo chiusi, ero un decrepito relitto .
E mi recai dal mio medico Histo. E' una vecchia amica e tutte le volte che che mi metto in testa di di essere ammalato, lei mi tasta il polso, mi guarda la lingua, parla del tempo che fa, tutto ciò gratis; e pensai che, andandoci ora, gli avrei reso un bel servizio. Mi dicevo: "I medici hanno bisogno di pratica. Histo avrà me. Farà più pratica con il mio corpo che con quelli di mille e settecento di quegli ammalati comuni, trascurabili, che non hanno che una o due malattie ciascuno".
Andai dritto dritto da lei, la trovai in casa e lei disse:

- Claaaaaaaaaaaaaaanggggg!!!!!!!! Ciao!!!! Dunque! Che cos'hai?

Io dissi:

- Cara Histo, non ti farò perdere tempo elencandoti i malanni che ho. La vita è breve e tu potresti andare all’altro mondo prima che io finisca. Ti dirò quello che non ho. Non ho il ginocchio della lavandaia. Perché proprio non abbia anche il ginocchio della lavandaia non lo capisco, ma il fatto è che non ce l'ho. Però, gli altri malanni ce li ho tutti!

E le raccontai come ero approdato a quella verità.

Histo mi sbottonò e si mise ad osservarmi, mi afferrò il polso e mi colpì il petto quando me lo aspettavo – un’autentica vigliaccata, dico io - e subito dopo cominciò a darmi testate col viso per appoggiare l'orecchio al mio petto. Dopo di che si accomodò e scrisse una ricetta, la piegò e me la porse. Io me la misi in tasca e uscii.
Non la lessi. Andai dal primo farmacista e gliela diedi. Il buon uomo la lesse e me la porse indietro.
Disse che non poteva servirmi.

Io dissi:
- Ma non è un farmacista, lei?

Lui disse:
- Sono un farmacista. Se avessi un negozio di generi alimentari potrei servirla. Ma il fatto di essere soltanto un farmacista mi limita fortemente.

Lessi la ricetta: Diceva:

1 libbra di bistecca, con 1 bottiglia di birra, ogni 6 ore.

1 passeggiata di dieci miglia ogni mattina.

Andare a letto alle 11 in punto tutte le sere.

E non t’infarcire la testa di cose che non puoi capire.

Seguii la prescrizione col risultato (felice risultato, per quanto mi riguarda) di aver salva la vita, che ancora continua.
14-12-2010 20:23
TerzaCagna
Re: Tre inglesi e un poema comico.

ahahahahahahahahahahahahahahhhahaha
14-12-2010 18:48
bunker
Re: Tre inglesi e un poema comico.

bello labooooooooooooooo
14-12-2010 18:47
MoonwatcherII
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Ehi, disgraziato a chi!?
14-12-2010 18:46
bunker
Re: Tre inglesi e un poema comico.



la risata contagiosa di terza
14-12-2010 18:40
Labocania
Re: Tre inglesi e un poema comico.

Decadent, Just e il quadro.

- Dec ci sarebbe un quadro da appendere nella mia cameretta! – Esclama Ju allegra.

- Non ti preoccupare figliola, faccio tutto da me.

Si toglie la giacca e comincia col mandare Time a comprare sei euro di chiodi e quando quella era già uscita la faceva rincorrere da Night per dirle di che lunghezza dovevano essere; e così, a poco a poco, metteva in moto tutta la famiglia.

- Tu, Dasil, vai a prendermi il martello, - gridava, - e tu, James, portami la riga; mi occorrerà la scala a pioli e sarà meglio che mi portiate anche una seggiola di cucina. Tu, Myway, fai un salto dal signor Redman e digli: "Papà le manda i suoi saluti e spera che la sua gamba vada meglio e la prega di imprestargli la livella". E tu, Rorò, non te ne andare, mi occorrerà qualcuno che mi tenga il lume; e appena la ragazza torna dovrà uscire di nuovo per un po' di cordone da tappezziere; e... Bunk! dove si è cacciato Bunk? Vieni qui; avrò bisogno di te per farmi porgere il quadro.
Poi nell'alzare il quadro se lo lasciava scappare di mano; il quadro usciva dalla cornice e lui, nel tentativo di non far rompere il vetro, si tagliava e si metteva a correre per la stanza in cerca del fazzoletto.
Il fazzoletto non riusciva a trovarlo perché stava nella tasca della giacca e tutti quanti dovevamo smettere di cercare gli arnesi per correre alla scoperta della giacca mentre lui ci saltabeccava dietro.

- Ma è mai possibile che in tutta la casa non ci sia uno che sappia dove è la mia giacca? Mai visto in vita mia un'accozzaglia di scemi come voi, parola d'onore mai vista in vita mia. Siete in sei! e in sei non siete capaci di trovare una giacca che mi sono tolto non più tardi di cinque minuti fa! Bene... per tutti...

Poi si alzava e scopriva che stava seduto sulla giacca. E allora gridava:
- Potete smettere di cercare; me la sono trovata da me. Tanto valeva rivolgersi al gatto.
Poi, dopo avere impiegato mezz'ora a fasciarsi il dito, e avere comperato un altro vetro, e avere portato gli utensili, la scala, la sedia e la candela, ricominciava il lavoro, con tutta la famiglia, incluse la giovane domestica e la donna a ore, in semicerchio intorno a lui, pronta ai suoi ordini. Due dovevano reggere la scala, un terzo doveva aiutarlo a salire e sostenerlo lassù, un quarto gli doveva porgere il chiodo, un quinto il martello; lui tentava di puntare il chiodo alla parete e lo lasciava cadere.
- Corpo... - diceva allora, come offeso, - il chiodo è scappato!
E tutti noi dovevamo metterci in ginocchio alla pesca del chiodo mentre lui restava in piedi sulla sedia brontolando e chiedendo se per caso non avessimo l'intenzione di farlo rimanere là per tutta la serata.
Finalmente qualcuno trovava il chiodo, ma nel frattempo lui non sapeva più dov'era il martello.

- Dov'è il martello? Ma che ne ho fatto di questo benedetto martello? Santo Cielo! Possibile che tutti e sette ve ne stiate lì come allocchi e non sappiate che ne ho fatto del martello?

Gli trovavamo il martello, ma lui non trovava più il segno che aveva fatto sulla parete dove avrebbe dovuto piantare il chiodo e ciascuno di noi saliva a turno sulla sedia dietro di lui per cercare di scoprirlo. Succedeva che ognuno di noi vedesse il segno in un punto diverso e lui ci dava del cretino, a tutti, uno dopo l'altro, e ci faceva scendere. Allora prendeva la riga e ricominciava concludendo che il buco doveva esser fatto alla metà di trentun pollici e tre ottavi dall'angolo e perdeva la testa a fare il calcolo a mente.
Tutti ora ci sforzavamo a fare quel calcolo a memoria e arrivavamo a risultati diversi canzonandoci a vicenda. Succedeva che in tanto calcolare dimenticavamo il dato originale e Dec doveva riprendere le misure.

Questa volta però si serviva di uno spago e al momento critico, quando quel buon vecchio matto pendeva dalla sedia e tentava di arrivare a un punto che stava tre pollici più in alto di quanto egli potesse giungere, lo spago gli scivolava dalle dita e lui cadeva sul pianoforte battendo col capo e col corpo su tutti i tasti allo stesso tempo e producendo un effetto musicale veramente notevole.

E la zia Terza diceva che non avrebbe permesso che i bambini rimanessero lì a sentire un linguaggio simile. Finalmente Dec trovava il posto e vi appoggiava la punta del chiodo reggendolo con la mano sinistra mentre con la destra prendeva il martello. Alla prima martellata si schiacciava un dito ed emettendo un urlo lasciava cadere il martello sul piede di qualcuno di noi zia Terza, tutta tenerezza, diceva che la prossima volta che Dec avrebbe dovuto conficcare un chiodo nella parete, sperava che glielo avesse fatto sapere in tempo affinché, mentre egli faceva quello, lei potesse combinare un viaggio di una settimana da sua madre.

- Oh! Voi donne fate un can-can per qualsiasi piccolezza!
rispondeva Dec riprendendo il controllo di se stesso. In fondo con questi lavoretti mi ci diverto.

Ed eccolo a fare un altro tentativo. Al secondo colpo il chiodo sprofondava nell'intonaco e mezzo martello spariva dietro di lui:
Dec per forza di inerzia sbatteva contro la parete acciaccandosi il naso.

E ricominciava la ricerca dello spago e della riga e si faceva un altro buco. Verso mezzanotte il quadro era appeso... di traverso e pericolante; alcuni metri della parete sembravano raschiati con un rastrello e tutti noi, ad eccezione di Dec r, eravamo stanchi morti, in uno stato miserevole.

- Ecco fatto, - diceva lui scendendo pesantemente dalla sedia sui piedi di Solitudine e guardando con evidente orgoglio la strage compiuta. - C'è della gente che per una sciocchezza simile sarebbe stata capace di chiamare un operaio. Contenta Ju?
Just, troppo stanca per opporre un qualunque appunto, annuisce sconsolata.
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