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Discussione: La "lentezza" della psicoterapia Rispondi alla discussione
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31-10-2021 22:54
Bamboladipezzi Io ho fatto sedute di psicoterapia cognitivo comportamentale, che immaginavo fosse breve e invece ci ho messo 3 anni, con una seduta a settimana. Però ha funzionato perchè gli attacchi di panico mi erano passati. Adesso però dovrei trovare un nuovo dottore perchè sto male e ho bisogno di aiuto. Prima o poi dovrò sceglierne uno. Quinditi dico, se non sei soddisfatto e non vedi cambiamenti ok, prova a cambiare, vai da un altro dottore o dottoressa. Prova. Io ho cambiato 3 psicologi.
31-10-2021 14:34
sconfitto
Re: La "lentezza" della psicoterapia

.
31-10-2021 14:21
House
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Non far finta di non capire.
Supponiamo che io sia triste e depresso, e sia cronica questa cosa.
Ora se vado dallo psicoterapeuta è per curare qualcosa di specifico? Si sa a priori in che modo potrei o dovrei vivere, quali comportamenti cambiare e così via?
Ed è sicuro che c'è un qualche sistema di vita al quale posso accedere indipendentemente da tutto il resto che faccia al caso mio?

E' una cosa aperta questa, come si fa a patologizzare precisamente la mia depressione e parlare di una cura?

Se manco mi conosce lo psicoterapeuta cosa dovrebbe curare di preciso?
Infatti non ci sono (e nessuno sostiene che ci siano) sicurezze e principi assoluti, come è stato già detto. Se supponiamo che tu sia triste e depresso, o evitante, le cause vanno rintracciate nel tuo caso specifico attraverso il dialogo col terapeuta (che ti conosce mediante le sedute), e di conseguenza il trattamento sarà specifico.
Comunque mi sembra che metti insieme sensazioni e malumori personali e discorsi oggettivi; le mie posizioni sul senso della psicoterapia le ho già espresse, è evidente che hai le tue opinioni sull'argomento.
31-10-2021 13:37
XL
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Dr. House Visualizza il messaggio
Non so cosa centri, cambiamo ancora argomento
Il mio consiglio (non è una critica o altro) è di riflettere un po' sulle cose che abbiamo scritto io, Angus, Franz90, per comprendere meglio il senso della richiesta di una persona di voler andare in terapia.

Il disturbo da opposizione politica mi pare esistesse, ma è stato ampiamente criticato ed eliminato prontamente con l'evolversi del tempo (come accade per tutti i progressi). Per il resto l'articolo è roba per accademici, sono argomenti che si affrontano a livello specialistico. Ammetto che quando ho letto Salvini ho pensato che fosse un'uscita dell'omonimo Matteo
Non far finta di non capire.
Supponiamo che io sia triste e depresso, e sia cronica questa cosa.
Ora se vado dallo psicoterapeuta è per curare qualcosa di specifico? Si sa a priori in che modo potrei o dovrei vivere, quali comportamenti cambiare e così via?
Ed è sicuro che c'è un qualche sistema di vita al quale posso accedere indipendentemente da tutto il resto che faccia al caso mio?

E' una cosa aperta questa, come si fa a patologizzare precisamente la mia depressione e parlare di una cura?

Se manco mi conosce lo psicoterapeuta cosa dovrebbe curare di preciso?

Ma anche se avessi un disturbo di personalità (classificato in base alla categorizzazione corrente) e fossi evitante perché mi infastidiscono le critiche e vorrei vivere in ambienti meno competitivi e più accettanti, non è mica detto che poi percepisca la mia sensibilità alle critiche come un problema, ma poi magari vivo comunque a disagio perché poi certe cose non riesco ad ottenerle dato che altri ambienti che funzionino diversamente non li conosco.

Se tutte le psicoterapie sono costruite sul modello "dobbiamo togliere la sensibilità alle critiche, l'unico vero problema è questo", non si fa un buon lavoro pluralistico.

A me pare che in generale questi disagi ci sono, le persone si vede poi che vivono male, ma non è ben chiaro né ben definito cosa cambiare di preciso e se quel che vorrebbe cambiare il cosiddetto curante sia davvero condiviso con chi viene curato (generalmente in ambito medico c'è questa cosa, ma in questi ambiti qua davvero credo sia difficile che ci sia sempre).

Per me sarebbe meglio identificare i disturbi non come disturbi di adattamento ma da conflitto, se c'è un conflitto tra due dispositivi, non è che è guasto uno dei due, ma comunque sarebbe meglio lasciare che le relazioni di cura in questi ambiti risultino elastiche fino ad abbracciare anche interventi di altro tipo che possono diventare materiali e sociali.

Si può cercare una soluzione, ma l'idea che ci sia già a monte nel portare o riportare la mente del disturbato in certi stati ben definiti (in termini psico comportamentali) non mi convince per niente.

Uno è depresso e pensa "non voglio essere più triste", ma associata alla tristezza cronica di preciso quale malattia ci sarebbe appiccicata? In quali modi si intende far sparire questa tristezza poi nei singoli casi?
Uno può essere cronicamente triste perché fa un lavoro che non gli piace e non sa trovarne un altro e non può mettersi perennemente in malattia, un altro può essere triste perché ha una condizione familiare di merda, un parente disabile da curare che gli ha reso l'esistenza un inferno, un altro perché è solo e vorrebbe compagnia.
Per ora che si tratta solo di squilibri chimici nessuno lo ha mai dimostrato effettivamente visto che molte persone assumono un mucchio di medicinali e sempre una mezza schifezza stanno. Se il miglioramento è modesto magari l'effetto non è dissimile dall'euforia indotta da una canna o roba simile, che poi è legittimo anche curarla così se si trae giovamento, per me va bene tutto, basta che non si arrivi a sostenere che la cura è questa e basta, a 'sta cosa non ci credo.

Non è proprio chiaro in che direzione spostare la barca e se esiste una qualche direzione dove portarla in ogni caso, non è detto che poi delle direzioni vadano bene per tutti ed esistono direzioni assolutamente preferibili in termini mentali capaci di definire questo stato di salute rispetto al sintomo della tristezza cronica, pensieri di suicidio e compagnia bella.

Faccio un esempio tratto dalle condizioni di uno stato, se c'è un deficit pubblico enorme, c'è di sicuro un problema, ma come risolverlo o contenere questo deficit non è affatto definito dal deficit stesso.
Bisogna aumentare le tasse delle persone che hanno di più? Favorire lo sviluppo? Togliere o ridurre le pensioni? Licenziare personale, eliminare servizi?
La soluzione poi quale sarebbe? Lo stato di salute verso cui tendere o far tendere lo stato per toglierlo questo deficit quale sarebbe? Ed esiste ed è condiviso da tutte le parti sociali?

Qua si può dire metaforicamente che lo stato è malato, ma alla lettera non è ben identificabile una malattia, c'è un sintomo che si vorrebbe far sparire, ma onestamente non è chiaro quale debba essere lo stato di salute verso cui farlo tendere, per questo ci sono queste lungaggini democratiche e probabilmente non si arriverà mai ad un accordo che permetterà di ridurlo o idealmente farlo quasi sparire questo deficit.
31-10-2021 13:28
House
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Non so se sia vero ma nel DSM del '73 ho letto in rete che era stato inserito anche il disturbo da opposizione politica, non ho trovato molte informazioni in italiano perciò non so se la notizia sia vera...


http://www.oltrelabirinto.it/news.aspx?idC=280

Questa roba non è affatto neutra come si crede in genere ingenuamente, un protocollo specifico di cura per un disturbo implica poi che chi non si vuol far curare così non vuol guarire e non vuol star bene, ma magari il suo disagio non viene intercettato proprio dal protocollo.
Non so cosa centri, cambiamo ancora argomento
Il mio consiglio (non è una critica o altro) è di riflettere un po' sulle cose che abbiamo scritto io, Angus, Franz90, per comprendere meglio il senso della richiesta di una persona di voler andare in terapia.

Il disturbo da opposizione politica mi pare esistesse, ma è stato ampiamente criticato ed eliminato prontamente con l'evolversi del tempo (come accade per tutti i progressi). Per il resto l'articolo è roba per accademici, sono argomenti che si affrontano a livello specialistico. Ammetto che quando ho letto Salvini ho pensato che fosse un'uscita dell'omonimo Matteo
31-10-2021 13:15
Darby Crash
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Dr. House Visualizza il messaggio
Lo so bene, non ho volutamente aperto anche questo tema nella mia risposta perché, attenzione, questo aspetto del ragionamento è un altro paio di maniche, cioè si ritorna all'idea che c'è comunque uno scopo, e degli ostacoli mentali nel raggiungerlo (es. scarse abilità sociali, disturbi d'ansia/dell'umore, disturbi di personalità etc. etc.), allora il paziente fa intenzionalmente richiesta perché ha un problema, lo sa, ne soffre e ne è compromesso; la terapia può aiutare a elaborare e intervenire su questa situazione.

edit: non so se ho interpretato "male": io ho inteso che la persona non vuole lavorare, ma essendo in ristrettezze economiche deve comunque farlo (di conseguenza ho risposto che si ripropone l'esistenza di uno scopo e di eventuali disagi psicologici nel realizzarlo).
Sì, deve farlo ma al tempo stesso rifiuta questa soluzione. Lo scopo della persona è avere una vita nella media con una casetta, cibo, qualche viaggio etc, ma tutto ciò senza lavorare. Metti che questa persona dica al terapeuta "l'uomo non è nato per lavorare, io mi rifiuto di scendere a questo compromesso, ma al tempo stesso ho quasi finito i miei risparmi e non so più che fare, il futuro mi spaventa".
Si presenterebbe un bel problema, in quanto la soluzione che lo psico proporrebbe andrebbe in contrasto col desiderio del paziente.

Si tratterebbe allora di modificare il desiderio e la richiesta del paziente verso qualcosa di più realistico. Ma questo può essere doloroso e il paziente può restare comunque frustrato e insoddisfatto...
31-10-2021 13:08
XL
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Dr. House Visualizza il messaggio
Lo so bene, non ho volutamente aperto anche questo tema nella mia risposta perché, attenzione, questo aspetto del ragionamento è un altro paio di maniche, cioè si ritorna all'idea che c'è comunque uno scopo, e degli ostacoli mentali nel raggiungerlo (es. scarse abilità sociali, disturbi d'ansia/dell'umore, disturbi di personalità etc. etc.), allora il paziente fa intenzionalmente richiesta perché ha un problema, lo sa, ne soffre e ne è compromesso; la terapia può aiutare a elaborare e intervenire su questa situazione.

edit: non so se ho interpretato "male": io ho inteso che la persona non vuole lavorare, ma essendo in ristrettezze economiche deve comunque farlo (di conseguenza ho risposto che si ripropone l'esistenza di uno scopo e di eventuali disagi psicologici nel realizzarlo).
Non so se sia vero ma nel DSM del '73 ho letto in rete che era stato inserito anche il disturbo da opposizione politica, non ho trovato molte informazioni in italiano perciò non so se la notizia sia vera...

http://www.oltrelabirinto.it/news.aspx?idC=280

Questa roba non è affatto neutra come si crede in genere ingenuamente, un protocollo specifico di cura per un disturbo implica poi che chi non si vuol far curare così non vuol guarire e non vuol star bene, ma magari il suo disagio non viene intercettato proprio dal protocollo.

Posso accettare che siano malattie il Parkinson e disturbi simili, ma qua secondo me si è esagerato, si ha a che fare con personalità, desideri e stili di comportamento (che possono entrare in conflitto con altro), non con malattie vere e proprie.

Io non sostengo che non bisogna intervenire in alcun modo là dove ci sono disagi (individuando la richiesta di aiuto della persona e non inventandosene una che sta bene alla società circostante), ma che il paradigma medico applicato a questi disagi secondo cui la mente di queste persone s'è guastata in certi modi specifici, rappresenti qualcosa di errato.

A me può tranquillamente stare sulle palle un tizio perché il suo comportamento e i suoi modi mi disturbano, ma questo cosa c'entra con la sua sanità mentale?

Sono a favore dell'idea che bisogna favorire il benessere di tutti se possibile (se non è possibile preferirei si favorisca il mio ), ma non sono convinto che questo paradigma sia quello giusto per favorirlo.
31-10-2021 12:45
House
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Darby Crash Visualizza il messaggio
Se una persona non vuole lavorare ma al tempo stesso si trova a disagio essendo in ristrettezze economiche sono problemi...
Lo so bene, non ho volutamente aperto anche questo tema nella mia risposta perché, attenzione, questo aspetto del ragionamento è un altro paio di maniche, cioè si ritorna all'idea che c'è comunque uno scopo, e degli ostacoli mentali nel raggiungerlo (es. scarse abilità sociali, disturbi d'ansia/dell'umore, disturbi di personalità etc. etc.), allora il paziente fa intenzionalmente richiesta perché ha un problema, lo sa, ne soffre e ne è compromesso; la terapia può aiutare a elaborare e intervenire su questa situazione.

edit: non so se ho interpretato "male": io ho inteso che la persona non vuole lavorare, ma essendo in ristrettezze economiche deve comunque farlo (di conseguenza ho risposto che si ripropone l'esistenza di uno scopo e di eventuali disagi psicologici nel realizzarlo).
31-10-2021 12:32
pokorny
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Varano Visualizza il messaggio
Ho scoperto che anche mio fratello è andato qualche volta dallo psicologo, per magagne sue personali, abbastanza gravi. Non capisco a cosa serva lo psicologo quando sei oggettivamente in una situazione orribile, e non c'è una soluzione pratica. Come se uno che viene arrestato andasse dallo psicologo, che vuoi raccontare? E' tardi...il danno è già fatto, non c'è molto da discutere, non è una tua fobia o la tua immaginazione...sei fottuto, sei fottuto per davvero.
E' esattamente il discorso che sempre mi sta a cuore delle condizioni esterne, dalle quali in varia misura ciascuno dipende. Credo che con un lavoro soddisfacente, una casa propria nel posto che si è scelto e voluto con vicini che non fanno storie, con genitori (amorevolmente) fuori dai piedi e non troppo vicini da ri-creare rapporti di mutua dipendenza, in una città dove i servizi funzionano e soprattutto è possibile fare sport, credo che 2/3 di tutti gli utenti del forum passerebbero da insoddisfazione esistenziale a una vita accettabile. Certamente molti problemi resterebbero ma la maggior parte sopita e in un certo senso anestetizzata dall'assenza di fattori scatenanti. Il che in fondo è forse il motivo principale delle recidive a fine trattamento da specialista.
31-10-2021 12:23
Darby Crash
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Dr. House Visualizza il messaggio
Se Tizio non lavora ed è al contempo convinto che la sua vita è incompatibile col il lavoro, e che perciò non lavorerà mai, allora una persona così non andrà mai in terapia. Non c’è il senso, perché non ha lo scopo di farlo.
In realtà può voler andare in terapia a causa della sofferenza dovuta al contrasto tra la vita a cui aspira a quella a cui la società lo costringe. Se una persona non vuole lavorare ma al tempo stesso si trova a disagio essendo in ristrettezze economiche sono problemi...

Alla fine non si è veramente liberi, bisogna adattarci, scendere a compromessi.
31-10-2021 12:13
House
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Ma vale in generale questo mio discorso, si può dire a un tizio "vedi quell'altro che lavora otto ore al giorno? Non si lamenta e sta bene così, la tua mente va normalizzata nell'accettare questa condizione visto che sei un poveraccio e qualcosa devi farla per sopravvivere, l'altro non si lamenta quindi il tuo stato di benessere non dipende da questo, è la tua mente che è malata e va curata e messa nelle condizioni di vivere come quest'altro tizio".

Sí va bene riconosco che l'altro stia bene, ma non riconosco affatto l'idea che il benessere di tutti debba corrispondere poi a questo modello perché socialmente magari non esistono risorse per sostenerne di alternativi che intercettino anche queste persone-eccezioni e la maggior parte delle persone sta bene così.

Prima è probabile che molti di noi sarebbero stati rinchiusi, oggi i metodi più duri in parte sono spariti ma resta in piedi comunque la stessa ideologia, che io non condivido per nulla.

Esistono parallelamente molti stati diversi di benessere, a uno magari servono soldi, a un altro di andare su una montagna, a un altro servirebbe poter non fare un cazzo dalla mattina alla sera.
Rispetto al mio discorso, qui ti stai focalizzato su un aspetto specifico del rapporto fra lavoro e benessere, che evidentemente è un tema che ti tocca sul personale. Il ragionamento dal punto di vista della psichiatria/psicologia è diverso da come lo interpreti.
Se Tizio non lavora ed è al contempo convinto che la sua vita è incompatibile col il lavoro, e che perciò non lavorerà mai, allora una persona così non andrà mai in terapia. Non c’è il senso, perché non ha lo scopo di farlo. Sono condizioni diverse quelle di persone per le quali fra i temi toccati in terapia vi è lo stress per il lavoro, o dei blocchi mentali per cercare lavoro etc., in questi casi c’è uno scopo (alleviare lo stress, sbloccare la mente per affrontare la ricerca di lavoro) ma ci sono delle sofferenze e delle compromissioni nella capacità individuale di raggiungerlo; qui il terapeuta potrà intervenire per aiutare il paziente a realizzare il suo scopo.
Il processo terapeutico non impone nessun presunto “retto modello di comportamento” se uno ha già ferme e coscienti convinzioni di cosa vuole dalla vita, né si “normalizza” nessuno che non desideri cambiare comportamento (a meno che non sia pericoloso o nocivo per il prossimo). La terapia risponde a chi fa domande non ha chi ha già le risposte.
31-10-2021 11:41
Varano
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Ho scoperto che anche mio fratello è andato qualche volta dallo psicologo, per magagne sue personali, abbastanza gravi. Non capisco a cosa serva lo psicologo quando sei oggettivamente in una situazione orribile, e non c'è una soluzione pratica. Come se uno che viene arrestato andasse dallo psicologo, che vuoi raccontare? E' tardi...il danno è già fatto, non c'è molto da discutere, non è una tua fobia o la tua immaginazione...sei fottuto, sei fottuto per davvero.
31-10-2021 11:05
franz90
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Ma lo stesso è poco chiaro, un sintomo è una cosa percettiva soltanto o corrisponde anche a un tipo di comportamento?
Se uno schiavo non si ribella non finisce in croce, quindi sparisce il sintomo, ma questo basta a definire lo stato di salute?
Per me è proprio scorretto poi appiccicare al disagio uno stato di salute costituto dal retto comportamento.
C'è un disagio, lo riconosco, ma non è ben definito lo stato di salute quale sia e quindi è poco chiaro da quale patologia dover fare guarire quella persona specifica.
Io dico, anche se si disponesse di una cura perfetta, delle persone potrebbero non riconoscerla come tale perché non desiderano vivere in certi sensi come prescrive lo stato di salute che definisce la cura.

.
Può essere una cosa percettiva (non sto bene con me stesso) o un tipo di comportamento (ansia che mi impedisce di lavorare o di guidare ad esempio) oppure entrambe le cose.

Un medico un minimo dovrà applicare l' idea di far perseguire uno stato di salute ''normale'' alle persone, altrimenti potrebbe anche essere giusto tirarsi coltellate alla pancia se ciò andasse bene a colui che lo faccia.
31-10-2021 10:56
franz90
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da sconfitto Visualizza il messaggio
ma quindi, al netto di queste consiferazioni, secondo voi c'è un qualche modo o un qualche approccio mentale per riuscire a velocizzare l'analisi? bisogna andare lì con il discorso già pronto? bisogna dire al terapeuta di non divagare o vicevarsa di aiutarci a non divagare? se avete un'opinione al riguardo
Mio parere personale, quindi prendilo con le pinze:

Vai lì e parli di tutto, della tua storia a partire dall' asilo e di tutto ciò che ti crea problemi, senza discorsi preparati da casa o altro, secondo me approciarsi in maniera meccanica all' analisi è decisamente sbagliato.

Poi è lunga, decisamente lunga, un modo di velocizzarla più di tanto secondo me non c'è.
31-10-2021 10:49
Darby Crash
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da sconfitto Visualizza il messaggio
ma quindi, al netto di queste consiferazioni, secondo voi c'è un qualche modo o un qualche approccio mentale per riuscire a velocizzare l'analisi? bisogna andare lì con il discorso già pronto? bisogna dire al terapeuta di non divagare o viceversa di aiutarci a non divagare? se avete un'opinione al riguardo
Ci sono indirizzi più brevi e altri più lunghi.
Il più breve è la terapia breve strategica, il più lungo è la psicanalisi. Nel mezzo ce ne sono tanti, tra i quali il più diffuso almeno qua in Italia credo sia la cognitivo comportamentale.

La strategia del discorso già pronto l'ho usata più volte, si risparmia qualche minuto, alla fine cambia poco o nulla. Può essere utile essere precisi nelle richieste e dare dei feedback chiari al terapeuta in merito all'andamento della terapia.

Inoltre un ottimo modo per velocizzarla è darsi da fare nella vita reale; oppure avere eventi fortunati nella vita reale che ci migliorino le condizioni di vita
31-10-2021 07:03
XL
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da Dr. House Visualizza il messaggio
E hai ragione a riflettere sulla sostanza;
comunque, se proprio interessa capire il senso delle parole, bisogna ricordare che la parola patologia, come tante altre parole del lessico della psicologia clinica, sono state ereditate dalla tradizione medica in quanto la disciplina della psichiatria nasce e si sviluppa a partire dalla medicina (Freud studiò come neurologo per intenderci).
In sintesi quello che va afferrato è che si tratta di analogie, non di diretti rapporti di identità. Basti pensare a due punti di contatto (ce ne sono anche altri, e a rigore non sono esclusivi) che formano l’analogia fra patologia organica e patologia psichica: la sofferenza e la compromissione.
Un disturbo per essere diagnosticato esige la soddisfazione di gruppo di criteri. La soddisfazione dei criteri indica che c’è patologia. Ciò vuol dire che a seconda del tipo di diagnosi (fobie specifiche, fs, doc, depressione etc. etc.) la persona soffre di questa condizione ed è compromesso in alcune aree della vita (es lavoro, vita privata etc.). Così come (rapporto analogico) una persona che ha una patologia infiammatoria di un organo, soffrirà degli effetti corporei e avrà una certa compromissione in base al tipo di malattia (ad esempio se l’organo è lo stomaco potrebbe non essere in grado di digerire determinati alimenti etc.).
La terapia (la “cura”) si pone come obiettivo di risolvere o riportare a livelli accettabili la sofferenza e la compromissione causati dal disturbo, nei limiti delle possibilità e delle risorse del paziente nonché del terapeuta.
Ma lo stesso è poco chiaro, un sintomo è una cosa percettiva soltanto o corrisponde anche a un tipo di comportamento?
Se uno schiavo non si ribella non finisce in croce, quindi sparisce il sintomo, ma questo basta a definire lo stato di salute?
Per me è proprio scorretto poi appiccicare al disagio uno stato di salute costituto dal retto comportamento.
C'è un disagio, lo riconosco, ma non è ben definito lo stato di salute quale sia e quindi è poco chiaro da quale patologia dover fare guarire quella persona specifica.
Io dico, anche se si disponesse di una cura perfetta, delle persone potrebbero non riconoscerla come tale perché non desiderano vivere in certi sensi come prescrive lo stato di salute che definisce la cura.

Uno schiavo che volesse vivere libero si dovrà pensare che è matto e non vuol star bene rispetto allo schiavo che sta tranquillo e vive la sua esistenza senza andare incontro a reazioni sociali di vario tipo?
È chiaro che quello che si ribella non sta bene, ma non è detto che il suo stato di benessere corrisponda a quello dell'altro, potrebbe anche non essere costruibile questo stato di benessere anche se statisticamente la maggioranza degli schiavi che non si ribellano non sviluppano sintomi simili di ribellione.

Guarda come definiscono la cura della depressione, bisogna portare o riportare il soggetto ad esser capace di lavorare.
L'ho letta mille volte questa cosa, come se non lavorare fosse un sintomo, ma chi lìha detto? Magari uno è depresso proprio perché deve lavorare, insomma non potrebbe essere il lavoro stesso in sé per com'è fatto una fonte di disagio per quella persona?

Per me non è affatto scontato che uno stile di vita diffuso fornisca un modello di cura perché la maggioranza delle persone stanno bene cosí, potrebbe addirittura mancare il modello di benessere per certe persone in relazione a tutto l'assetto sociale, e quindi la malattia poi dov'è?

Per lo schiavo ribelle la cura corrisponderebbe magari in questo: poter vivere non da schiavo in un certo ambiente, invece che si fa gli si propone di vivere tranquillo da schiavo, ma perché dovrebbe accettare questa definizione di benessere se non la riconosce come tale?

Si potrebbe sostenere che uno schiavo che rompe le balle entra in un ciclo interpersonale negativo in maniera analoga a come ci potrebbe entrare un altro tipo di persona catalogata con certe etichette psichiatriche.

Agli aiuti mirati ci credo, meno mi fido di questi protocolli che tendono a cristallizzare lo stato di benessere in certe formule osservando che questa cosa ha funzionato bene in ambito medico.

Dubito si possa davvero esportare questo modello in ambito psicologico-sociale per definire il benessere di questo o quell'individuo.

Spesso se uno sta solo e vive male la cosa gli si dice a questo "vedi quell'altro, sta solo e sta bene, il tuo problema non è questo, è la tua mente che funziona male e va normalizzata".
Ma varrebbe lo stesso discorso anche con uno schiavo ribelle, gli si potrebbe dire "vedi quell'altro schiavo? Vive nella condizione di schiavitù e non sta malaccio, il tuo vero problema non è questo, la tua mente va normalizzata nell'accettare le cose come quella di questi altri visto che la statistica parla chiaro, stanno bene loro, frustate non ne ricevono e stanno tranquilli, non si arrabbiano come te".

Per me discorsi del genere si possono buttare nella spazzatura.

Ma vale in generale questo mio discorso, si può dire a un tizio "vedi quell'altro che lavora otto ore al giorno? Non si lamenta e sta bene così, la tua mente va normalizzata nell'accettare questa condizione visto che sei un poveraccio e qualcosa devi farla per sopravvivere, l'altro non si lamenta, quindi il tuo stato di benessere non dipende da questo, è la tua mente che è malata e va curata e messa nelle condizioni di vivere come quell'altro tizio".

Sí va bene, riconosco che l'altro stia bene, ma non riconosco affatto l'idea che il benessere di tutti debba corrispondere poi a questo modello perché socialmente magari non esistono risorse per sostenere modelli alternativi che intercettino anche queste persone-eccezioni difficili che rompono le balle.

In passato molti di noi sarebbero stati rinchiusi da qualche parte, oggi i metodi più duri in parte sono spariti, ma resta in piedi comunque la stessa ed identica ideologia, che io non condivido per nulla.

Ad esempio esistono parallelamente molti stati diversi di benessere per ogni singolo depresso, quindi non è che la depressione è una malattia. A uno magari servono soldi, a un altro di andare su una montagna, a un altro servirebbe poter non fare un cazzo dalla mattina alla sera, a un altro ancora scopare di più, qualcun altro invece dovrebbe poter mandare al diavolo la propria famiglia che risucchia troppe risorse, e così via...
30-10-2021 20:03
sconfitto
Re: La "lentezza" della psicoterapia

.
30-10-2021 12:32
House
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da franz90 Visualizza il messaggio

A me non è che freghi un granché della definizione delle cose, ma bensì della sostanza. Non mi sento un ''malato'' dal punto di vista psicologico, ma anche se un medico (o chi per lui) mi definisse come tale.....che me ne dovrebbe fregare? Io sono andato in terapia per migliorare la mia situazione e basta, niente di più.
E hai ragione a riflettere sulla sostanza;
comunque, se proprio interessa capire il senso delle parole, bisogna ricordare che la parola patologia, come tante altre parole del lessico della psicologia clinica, sono state ereditate dalla tradizione medica in quanto la disciplina della psichiatria nasce e si sviluppa a partire dalla medicina (Freud studiò come neurologo per intenderci).
In sintesi quello che va afferrato è che si tratta di analogie, non di diretti rapporti di identità. Basti pensare a due punti di contatto (ce ne sono anche altri, e a rigore non sono esclusivi) che formano l’analogia fra patologia organica e patologia psichica: la sofferenza e la compromissione.
Un disturbo per essere diagnosticato esige la soddisfazione di gruppo di criteri. La soddisfazione dei criteri indica che c’è patologia. Ciò vuol dire che a seconda del tipo di diagnosi (fobie specifiche, fs, doc, depressione etc. etc.) la persona soffre di questa condizione ed è compromesso in alcune aree della vita (es lavoro, vita privata etc.). Così come (rapporto analogico) una persona che ha una patologia infiammatoria di un organo, soffrirà degli effetti corporei e avrà una certa compromissione in base al tipo di malattia (ad esempio se l’organo è lo stomaco potrebbe non essere in grado di digerire determinati alimenti etc.).
La terapia (la “cura”) si pone come obiettivo di risolvere o riportare a livelli accettabili la sofferenza e la compromissione causati dal disturbo, nei limiti delle possibilità e delle risorse del paziente nonché del terapeuta.
29-10-2021 21:11
franz90
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da XL Visualizza il messaggio
Ma l'alternativa magari uno la desidera, il problema è questo: loro riescono davvero ad intercettare l'alternativa che a te stia bene?

Uno può provare ad andarci e vedere, ma non è detto che risolvano qualcosa che a te interessa risolvere o che riescano a risolvere quel che sulla carta sostengono di poter risolvere.

Interpretare degli avvenimenti, ecco, lo fanno anche i giornalisti o i politici di questo o quell'orientamento, le interpretazioni realmente analitiche in mezzo a questa miriade di alternative quali sarebbero?
Che a te ha fatto bene non lo metto mica in dubbio, metto in dubbio che quel che si fa è curare una malattia.
Basta che si usi in termine "cura" e bisogna credere che si sta curando una malattia?
Leggo un articolo su un giornale che condivido e mi sembra descriva qualcosa in linea con certi miei valori ma che allo stesso tempo è capace di farmi interpretare in un certo modo un avvenimento al quale non avevo pensato.
Il giornalista secondo te sta curando una mia malattia?
Secondo me non è scienza questa roba perché è troppo invischiata con certi valori, quindi dire che sia un'analisi neutra dei fatti è una cazzata, dire che sia una cura di una malattia anche mi convince poco, dà delle interpretazioni, suggerisce stili di vita, cerca di modificare certi valori, poi a seconda dei casi può fare star meglio o meno o anche peggio, dipende da cosa va cercando quella persona specifica.

Mi convince molto poco cercare di avvicinare 'sta roba a certi protocolli scientifici, mica un'interpretazione fortemente influenzata da valori di sinistra descrive qualcosa in modo neutro?! Certo è che questa interpretazione può tornare utile a certe persone mentre potrebbe danneggiare altre persone.

Dire che il padrone sfrutta, ad esempio, non è un'interpretazione neutra, perché mica è ben definito e oggettivo cosa debba esser considerato equo. A seconda di questi giudizi a monte poi si crea il resto, ma non sono giudizi che si possono rendere scientifici, non c'è alcuna sostanza nelle cose o avvenimenti che si possa misurare e che definitamente assicuri che il tale impiego valga il tale stipendio, anche il sistema della domanda e offerta è un sistema effettivo che assegna valore ma nulla obbliga a riconoscerlo come equo.

Rispetto al fatto che riescono a svolgere positivamente certe funzioni sociali le psicoterapie (come la religione, l'astrologia, i sindacati, le associazioni femministe e roba simile) lo ammetto e lo riconosco, riconosco meno il fatto che nella loro azione di cura di certi interessi e di interpretazione di certe dinamiche sociali, questi movimenti siano equiparabili ad una terapia per curare il raffreddore, che è una cosa che può colpire tutti ed è abbastanza chiaro quale siano gli stati di salute e malattia relativi a questa patologia specifica.

È ancora più discutibile poi il fatto che queste narrazioni e movimenti rappresentino forme di conoscenza neutra.

Già è discutibile il fatto che la scienza dura vera e propria sia davvero analitica e neutra figuriamoci 'sta roba.
L' alternativa devo trovarla io, mica lo psicologo.
Io di terapeuti che sostengano di poter risolvere questo o quello non ne ho mai visti in vita mia, non metto in dubbio che ci siano ma non sono tutti così.

Lo psicoterapeuta ti aiuta a scavare dentro di te, niente di più, il resto devi farlo tu da solo, è ovvio che non abbia alcuna bacchetta magica.

A me non è che freghi un granché della definizione delle cose, ma bensì della sostanza. Non mi sento un ''malato'' dal punto di vista psicologico, ma anche se un medico (o chi per lui) mi definisse come tale.....che me ne dovrebbe fregare? Io sono andato in terapia per migliorare la mia situazione e basta, niente di più.

Io non ho detto che l' analisi sia neutra nel senso più ''puro'' del termine, cosa che ovviamente non può essere in quanto io non sono una macchina e non lo è nemmeno il terapeuta, però può farmi vedere tutto in una maniera diversa alla quale io non avevo pensato.
Potrebbe farlo anche un giornalista in un articolo? Certo.
Ma il punto non è quello, in quanto nessun articolo sarà mai ''cucito'' su misura per me come la mia stessa storia.
29-10-2021 06:13
XL
Re: La "lentezza" della psicoterapia

Quote:
Originariamente inviata da franz90 Visualizza il messaggio
Lo psicoterapeuta, (nel mio caso analisi) non ti propone niente.
Ti aiuta a scavare e capire tutta una serie di cose che, come già detto da Angus, ti creano problemi in quanto erano una sorta di ''gabbia'' che ci si era autocostruiti attorno per i motivi più disparati.
Puoi dare chiavi di lettura diverse a molti avvenimenti che ti hanno causato problemi anche a distanza di anni, riuscendo a vederli in maniera più analitica e meno emotiva, ed evitare che i loro effetti si ripercuotano sui tuoi comportamenti futuri e contemporanei.

Ovviamente ci si va se si vuole una versione ''alternativa'' della propria persona, se pensi sia tutto ok o che le ipotetiche alternative siano peggiori stai a casa.

L' esempio che hai fatto paragonando gli psicoterapeuti con gli avvocati sinceramente non vedo cosa c' entri....
Ci si va per motivi completamente diversi.

A me ha fatto solo bene andarci, ma ovviamente è il mio caso.
Ma l'alternativa magari uno la desidera, il problema è questo: loro riescono davvero ad intercettare l'alternativa che a te stia bene?

Uno può provare ad andarci e vedere, ma non è detto che risolvano qualcosa che a te interessa risolvere o che riescano a risolvere quel che sulla carta sostengono di poter risolvere.

Interpretare degli avvenimenti, ecco, lo fanno anche i giornalisti o i politici di questo o quell'orientamento, le interpretazioni realmente analitiche in mezzo a questa miriade di alternative quali sarebbero?
Che a te ha fatto bene non lo metto mica in dubbio, metto in dubbio che quel che si fa è curare una malattia.
Basta che si usi in termine "cura" e bisogna credere che si sta curando una malattia?
Leggo un articolo su un giornale che condivido e mi sembra descriva qualcosa in linea con certi miei valori ma che allo stesso tempo è capace di farmi interpretare in un certo modo un avvenimento al quale non avevo pensato.
Il giornalista secondo te sta curando una mia malattia?
Secondo me non è scienza questa roba perché è troppo invischiata con certi valori, quindi dire che sia un'analisi neutra dei fatti è una cazzata, dire che sia una cura di una malattia anche mi convince poco, dà delle interpretazioni, suggerisce stili di vita, cerca di modificare certi valori, poi a seconda dei casi può fare star meglio o meno o anche peggio, dipende da cosa va cercando quella persona specifica.

Mi convince molto poco cercare di avvicinare 'sta roba a certi protocolli scientifici, mica un'interpretazione fortemente influenzata da valori di sinistra descrive qualcosa in modo neutro?! Certo è che questa interpretazione può tornare utile a certe persone mentre potrebbe danneggiare altre persone.

Dire che il padrone sfrutta, ad esempio, non è un'interpretazione neutra, perché mica è ben definito e oggettivo cosa debba esser considerato equo. A seconda di questi giudizi a monte poi si crea il resto, ma non sono giudizi che si possono rendere scientifici, non c'è alcuna sostanza nelle cose o avvenimenti che si possa misurare e che definitamente assicuri che il tale impiego valga il tale stipendio, anche il sistema della domanda e offerta è un sistema effettivo che assegna valore ma nulla obbliga a riconoscerlo come equo.

Rispetto al fatto che riescono a svolgere positivamente certe funzioni sociali le psicoterapie (come la religione, l'astrologia, i sindacati, le associazioni femministe e roba simile) lo ammetto e lo riconosco, riconosco meno il fatto che nella loro azione di cura di certi interessi e di interpretazione di certe dinamiche sociali, questi movimenti siano equiparabili ad una terapia per curare il raffreddore, che è una cosa che può colpire tutti ed è abbastanza chiaro quale siano gli stati di salute e malattia relativi a questa patologia specifica.

È ancora più discutibile poi il fatto che queste narrazioni e movimenti rappresentino forme di conoscenza neutra.

Già è discutibile il fatto che la scienza dura vera e propria sia davvero analitica e neutra figuriamoci 'sta roba.
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