Difficile essere qui e presentarsi in modo sintetico a 44 anni, ma ci provo.
Vivo scisso tra una vita sociale apparentemente normale – lavoro (anche se questo è un punto dolente), moglie, figli – e un senso interiore di inadeguatezza e incapacità a relazionarmi agli altri, che quando va bene mi toglie energia e grinta ma nei periodi di stress diventa un pensiero ricorrente di suicidio.
Provo quindi a dirvi un po’ della mia storia. Forse - come spero -, aprirmi e condividere con altri che magari hanno avuto esperienze simili mi potrebbe aiutare a fare qualche passo in più in questo cammino di chiarezza dentro di me che è diventato non più rimandabile.
Probabilmente un momento chiave della mia storia è coinciso con il passaggio dalle medie alle superiori: da primo della classe, leader in parrocchia e ultimo figlio coccolato, ad una mediocrità al liceo, uno sviluppo fisico ritardato - con tutto quel che ne conseguì nei rapporti con le ragazze - e un clima familiare stravolto dall’”esaurimento nervoso” (così si diceva allora) del fratello maggiore.
Timidezza giovanile combattuta, con scarsi risultati, attraverso libri e “impegno sociale” (parrocchia, volontariato).
Primo bacio e prima ragazza a 19 anni, con rapida e cocente delusione.
Poi una breve ma intensa esperienza di volontariato in Africa, una sorta di personale “battesimo della povertà” che mi ha spinto ancora di più a impegnarmi, nel mio piccolo, per “un mondo migliore”.
A 23 anni altra ragazza – abbastanza più giovane e ancora più timida di me – e storia conclusa disastrosamente.
Prima esperienza da una psicoterapeuta, di cui non ricordo praticamente nulla.
Poi, con le ragazze, sopra la maschera dell’intellettuale imparo a metterci quella dell’(auto)ironia. Funziona: rimane una grande difficoltà a rompere il ghiaccio, ma quando riesco a farle ridere prima che a mostrarmi “intelligente” arrivano risultati piacevolmente inaspettati (mi metto insieme addirittura con una più grande di me, anche se poi finisce abbastanza presto e malamente).
Ma dentro restava il malessere per lo scarto tra quello che avrei voluto e quello che riuscivo ad essere: lavoravo nell’ambito della solidarietà, sottopagato idealista convinto, ma mi resi conto che i pensieri suicidi si facevano troppo frequenti.
Torno da un’altra psicoterapeuta, ma qualche mese dopo la storia travagliata - una grande affinità ma caratteri molto diversi - da poco ripresa con una ex-compagna di studi mi mette di fronte ad un figlio in arrivo. Scaccio la paura e decido di mettere su famiglia nella voglia e nella speranza di far sì che fosse la vita a “guarirmi”: l’avere una compagna bella (in tutti i sensi) e forte, il doversi occupare dei figli, di progettare un futuro ecc.
Sono passati 12 anni, alcuni lavori, alcune città, alcuni fallimenti e delusioni lavorative e sociali (non solo quelli, per fortuna).
Nonostante sia cresciuta la capacità di ascolto, la profondità del rapporto, la forza dei sentimenti che ci legano tra noi e con i bimbi, ci siamo ritrovati ammaccati e logori. Da qualche anno abbiamo cambiato regione perdendo di fatto la piccola rete di amicizie che avevo/avevamo e ora faccio fatica a ricrearmela.
Per cercare di cambiare lavoro ho frequentato un altro Master, ma la timidezza/seriosità caratteriale e la mancanza di coraggio e autostima non mi fanno avere la giusta determinazione per avere successo nel mio lavoro.
Con mia moglie vivo male ogni sua critica e la sensazione che comunque e qualunque cosa faccia non vada mai bene davvero, ma soprattutto mi ferisce la sua delusione per quello che si aspettava da me e non ho saputo darle: un compagno forte che sapesse prendersi cura di lei ma che insieme a lei condividesse la guida e le responsabilità della famiglia.
L’esasperazione, la stanchezza e la delusione di entrambi è scoppiata qualche mese fa: in un diverbio durissimo è uscito fuori il rospo del mio malessere che le avevo sempre celato. Una liberazione e allo stesso tempo una sconfitta del mio ego, del mio “devo farcela da solo”, la fine della mia illusione di poter convivere coi cattivi pensieri.
Da circa un mese sono tornato da un altro psicoterapeuta e mi sento quasi al punto di partenza: nonostante alcuni successi e riconoscimenti sul piano lavorativo (alcune pubblicazioni, docenze, convegni) non solo non ho capito ancora “cosa voglio fare da grande” ma non ho nemmeno quella sicurezza e tranquillità economica che a questa età e con una famiglia vorrei (per non dire “dovrei”) avere.
Sul piano dei rapporti familiari, la (parziale) comprensione di mia moglie mi sta aiutando, così come ho finito per confidarmi anche con mio padre, come non avrei mai pensato quando vivevo in famiglia.
In questo momento mi sento oppresso dagli impegni e dalle responsabilità, sento che ho perso molto tempo e che la mia paura ad affrontare subito i problemi li fa solo crescere. A questo stato non avevo ancora mai voluto dare il nome di ansia, ma dal punto di vista fisico quasi tutte le mattine ho un attacco intestinale, che però non volevo riconoscere come somatizzazione e raccontavo a me stesso di essere semplicemente “regolare” a mio modo.
Beh, questa volta voglio riuscire ad andare fino in fondo con la psicoterapia …per poi (spero) riemergere. With a little help from my friends.
Grazie e a presto.