Ricollegandomi in parte alla discussione di ieri.
Secondo voi è possibile, studiando a scuola, apprezzare la letteratura?
Questo è quello che penso io in merito. Spero di sentire le vostre opinioni a riguardo
La letteratura per me è una specie di stampella che permette alle persone di affrontare l'esistenza con più sicurezza, avendo la capacità di consentire la metabolizzazione di certi eventi della vita, altrimenti difficilmente assimilabili. Penso che il leggere abbia anche una fortissima componente terapeutica. Sono in molti a sostenere che il lettore, durante la lettura di un libro, scopre se stesso. Proust scriveva che "ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso"; ma anche Nietzsche, in Ecce Homo, sosteneva che "in definitiva, nessuno può trarre dalle cose, libri compresi, altro che quello che già sa". Penso quindi che la letteratura abbia, in parte, la funzione che Freud attribuiva allo psicoanalista, cioè quella di portare alla coscienza il materiale sepolto nell'inconscio; in altre parole, dare formulazione linguistica a ciò che non trovava il modo di farsi strada verso la coscienza, nonostante fosse lì, presente, ma nascosto. Nel mio caso però la letteratura è stata utile soprattuto perché mi ha fatto capire di non essere il solo ad essermi posto certe domande, ad aver vissuto certe esperienze e ad essere assillato da certe "turbe morali". Mi ha anche permesso di allargare i miei orizzonti intellettuali, consentendomi di conoscere le risposte che uomini geniali hanno prodotto come antidoto a dubbi e a questioni esistenziali, che affliggevano loro, nel passato, e che ora affliggono me, nel presente. La ragione per la quale penso che a scuola, fatta eccezione per l'analisi filologica e pedantesca, lo studio della letteratura sia fondamentalmente impossibile, è che per leggere un'opera, gustarla ed apprezzarla, c'è bisogno di uno specifico clima e di una determinata disponibilità emotiva ed esperienziale da parte del lettore. Inutile dire che questa predisposizione manca alla maggior parte degli studenti. Che senso ha far imparare a memoria Petrarca, oppure far leggere "le ultime lettere di Jacopo Ortis" o "i dolori del giovane Werther", a degli adolescenti che non sanno cosa significhi amare una donna e che, nel migliore dei casi, hanno semplicemente sperimentato un po' di esercizio idraulico da camera? Sempre Nietzsche diceva: "chi non ha accesso per esperienza a certe cose, non ha neppure orecchie per udirle". Che senso ha, allora, parlare ad un popolo di sordi? Che senso ha obbligare una frotta di non udenti ad ascoltare ciò che non possono sentire?