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Vecchio 14-04-2013, 13:13   #1
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Direi che manca un topic interamente dedicato al grande poeta.

La composizione che maggiormente mi ha toccato nell'intimo, che innumerevoli volte mi ha soccorso con la musicalità del canto, la potenza dei concetti, la delicatezza delle immagini, l'efficacia penetrante delle sentenze, il vigore degli accenti, il ritmo che la governa.

http://it.wikisource.org/wiki/Canti_..._Le_ricordanze
Vecchio 17-04-2013, 21:43   #2
Esperto
L'avatar di Labocania
 

Poeta e pensatore che con i suoi Canti, le Operette, lo Zibaldone le sue epistole non avvolge la sua figura con nembi olimpici, non annichilisce il sensibile studente come fanno le figure di Dante, Alfieri, Foscolo; piuttosto lo soccorre, detta al suo cuore le parole che con meravigliosa efficacia e potenza daranno una definizione alle sue afflizioni e con la loro bellezza le renderanno più sopportabili, si rivela suo compagno e intimo amico.

Come è possibile non rimanere attoniti e commossi di fronte ad un canto che si apre così:

Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
tornare ancor per uso a contemplarvi
sul paterno giardino scintillanti,
e ragionar con voi dalle finestre
di questo albergo ove abitai fanciullo,
e delle gioie mie vidi la fine.


Con che moto di partecipazione si prova nell'ultimo verso! Non è il momento di abbandonarsi alla tristezza però, rievochiamole queste gioie:

Quante immagini un tempo, e quante fole
creommi nel pensier l’aspetto vostro
e delle luci a voi compagne! allora
che, tacito, seduto in verde zolla,
delle sere io solea passar gran parte
mirando il cielo, ed ascoltando il canto
della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi
e in su l’aiuole, susurrando al vento
i viali odorati, ed i cipressi
lá nella selva; e sotto al patrio tetto
sonavan voci alterne, e le tranquille
opre de’ servi. E che pensieri immensi,
che dolci sogni mi spirò la vista
di quel lontano mar, quei monti azzurri,
che di qua scopro, e che varcare un giorno
io mi pensava, arcani mondi, arcana
felicitá fingendo al viver mio!


Quale senso di meraviglia, quali sogni inafferrabili desta il canto, come culla il cuore e carezza delicatamente la fantasia.
Come ci addolora poi la chiusura della strofa però!

ignaro del mio fato, e quante volte
questa mia vita dolorosa e nuda
volentier con la morte avrei cangiato.
Vecchio 19-05-2013, 15:15   #3
Esperto
L'avatar di Pluvia
 

ALLA SUA DONNA: http://it.wikisource.org/wiki/Canti_...Alla_sua_donna

Parafrasi: "Cara beltà che mi ispiri amore da lontano o celando il viso, tranne quando tu, immagine divina, il cuore mi scuoti nel sonno, o nei campi dove risplende più amabile il giorno e il riso della natura; forse tu hai rallegrato il secolo che prende nome dall'oro mentre ora voli leggera tra le persone come un'anima? O proprio te prepara il destino avaro, che a noi ti nasconde, ai posteri?
Non mi resta più speranza ormai di ammirati da viva, se non quando il mio spirito nudo e solo per un nuovo tragitto giungerà a un'insolita dimora. Già allora all'inizio di questa mia esistenza incerta e oscura, io pensai di avere te come compagna di viaggio in quest'arido suolo. Ma non vi è cosa in terra che ti somigli; e se anche qualcuna fosse pari a te nel volto, negli atti, nella parola, sarebbe, pur così simile, assai meno bella.
Fra così grande dolore quanto il fato ha posto innanzi alla vita umana, se qualcuno ti amasse nella terra così vera e come il mio pensiero ti immagina, a lui sarebbe beata questa vita. E ben chiaro vedo io come l'amore tuo mi farebbe seguir lode e virtù come nei primi anni di vita. Ora il cielo non ha aggiunto alcun conforto ai nostri affanni; e con te la vita mortale sarebbe simile a quella che nel cielo colloca tra gli dèi.
Per le valli, dove risuona il canto dell'affaticato agricoltore, io siedo e mi lamento del giovanile errore che mi abbandona; e per i poggi, dove io ricordo e piango i perduti desideri, e la perduta speranza dei giorni miei; pensando a te, mi sveglio palpitando. E potessi io nel secolo tetro e in quest'era nefanda, conservare l'immagine tua nobile; perchè dell'immagine molto mi appago, dopo che quella vera mi è tolta.
Se tu sei una dell'eterne idee che Dio sdegna di rivestire di una forma sensibile, e fra sembianze caduche provare gli affanni della vita funebre; oppure se ti accoglie un'altra terra nei superni gironi fra mondi innumerevoli, e una stella vicina più bella del sole ti illumina e spiri un'aria più benigna, di qua dove sono gli anni infelici e brevi, ricevi quest'inno di un ignoto amante".


Questa poesia fu composta nel 1823 in sei giorni, dopo aver letto Platone. Il canto è il doloroso addio alle illusioni, che rivelano la loro inconsistenza nel contrasto tra immaginazione e realtà, soprattutto è l'addio all'illusione più importante e significativa della vita umana, l'amore, scatenante sempre speranze rinascenti. Le illusioni paiono assurde alla ragione, ma sono l'unica realtà dello spirito umano quando si allontana dalla realtà contingente, quotidiana e sociale, rifugiandosi in se stesso per resistere meglio alle delusioni. Da questo addio la conseguenza è la rinuncia all'amore umano, all'esclusione e solitudine inevitabile per chi non trova il proprio naturale completamento nell'amore.
La donna a cui è rivolto il componimento non è una donna terrena, ma rimanda alle idee platoniche dell'Iperuranio, alla donna angelicata stilnovista, alla Laura di Petrarca. Il sogno viene distrutto dalla realtà, non si puo' realizzare il proprio desiderio; il poeta può solo desiderarla in un'astrattezza che non è reale in questo mondo, perchè tale donna non appartiene a questo mondo, non si trova nè esiste nè c'è mai stata.


Di tale poesia leggiamo così nella prefazione all'edizione Nobili di Bologna del 1824, scritta dallo steso Leopardi:
"La donna, cioè l’innamorata, dell’autore, è una di quelle immagini, uno di quei fantasmi di bellezza e virtù celeste e ineffabile, che ci occorrono spesso alla fantasia, nel sonno e nella veglia, quando siamo poco più che fanciulli, e poi qualche rara volta nel sonno, o in una quasi alienazione di mente, quando siamo giovani. Infine è la donna che non si trova. L’autore non sa se la sua donna (e così chiamandola, mostra di non amare altra che questa) sia mai nata finora, o debba mai nascere; sa che ora non vive in terra, e che noi non siamo suoi contemporanei; la cerca tra le idee di Platone, la cerca nella luna, nei pianeti del sistema solare, in quei de’ sistemi delle stelle. Se questa Canzone si vorrà chiamare amorosa, sarà pur certo che questo tale amore non può né dare né patir gelosia, perché fuor dell’autore, nessun amante terreno vorrà fare all’amore col telescopio".

Ultima modifica di Pluvia; 19-05-2013 a 22:09.
Vecchio 19-05-2013, 23:23   #4
Esperto
 

...quasi non mi oso a leggere, visto che mi farebbe tornare alla memoria troppi ricordi, credo...

Comunque, Leopardi, il poeta del desiderio, era uno di noi
Vecchio 13-11-2013, 18:32   #5
Esperto
L'avatar di EdgarAllanPoe
 

http://biografieonline.it/biografia....acomo+Leopardi

La verità è che il precoce letterato soffriva di una forma di ipersensibilità che lo teneva lontano da tutto ciò che avrebbe potuto farlo soffrire, tra cui vanno ascritti di diritto i rapporti interpersonali.

Ipersensibile, in questo senso potrebbe significare anche depresso?
Vecchio 13-11-2013, 18:37   #6
Esperto
L'avatar di EdgarAllanPoe
 

A me sembra che essere ipersensibili, equivalga ad essere depressi o malinconici per temperamento.
Vecchio 13-11-2013, 18:50   #7
Esperto
L'avatar di EdgarAllanPoe
 

Cioè, un timido in genere è malinconico (depresso), e ipersensibile. Anche se poi, si possono inventare altri disturbi mentali, come la fobia sociale.

http://www.stateofmind.it/2013/11/pr...es-recensione/
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