Ciao a tutti,
oltre la presentazione, questa è la prima discussione che apro.
Il mio problema - bé, uno dei miei problemi - è il dilaniante senso di colpa che mi colpisce quando non riesco a soddisfare i bisogni degli altri. Con "altri" intendo chiunque, anche se, certo, secondo gradazioni differenti. I miei genitori, i miei amici, la mia ragazza (quando ce l'avevo), il negoziante che vorrebbe vendermi qualcosa, il lavavetri in mezzo alla strada, ...
Il mio carattere (tendenzialmente) accomodante e mansueto tende proprio a far avvicinare a me persone "problematiche" o bisognose. Ed anche chi, di norma, non sarebbe abituato ad imporsi non accetta i miei "no" perché si rende conto della mia riluttanza a negare e negarmi.
Sto attraverso un periodo non semplice e mi sono reso conto della necessità di "ascoltarmi", di fare solo quello che sento giusto fare. Di circondarmi delle persone per me davvero care.
L'unico modo per ascoltare me stesso e, di contro, non deludere gli altri, soprattutto gli "amici" - o presunti tali - è isolarmi.
Mi sto autoimponendo di essere solo.
Ed io, in effetti, sono una persona abbastanza solitaria. Non mi pesa rimanere da solo.
Tuttavia, mi rendo conto che questa scelta sia un'arma a doppio taglio. Rimanere solo, uscire meno, mi dà sicurezza. Riesco a selezionare le uscite in modo da potermi sentire a mio agio: evito le situazioni che potrebbero ingenerare in me fobie, evito le persone che so potrebbero mettermi a disagio.
In definitiva, è su questo che volevo riflettere, sulla solitudine come difesa e come scelta dolorsa, sulla necessità di far stare bene gli altri e sul rischio di non distinguere fra le persone di cui ci importa e quelle che, invece, sono soltanto "maschere".
Non ricordo dove ho letto che se cerchi di piacere a tutti, saranno tutti felici tranne te.
Quanto mai vero.
Io, però, non l'ho ancora imparato.
Buon ascolto: https://www.youtube.com/watch?v=NQL8qSWhagc
Almost Blind