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Vecchio 26-04-2008, 03:16   #1
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la Repubblica" , 14/07/2005
Umberto Galimberti , La Psiche conformista


Ma davvero siamo così vulnerabili che di fronte a ogni incertezza della nostra vita abbiamo bisogno di un´assistenza psicologica? Non è che si va diffondendo anche da noi, come è già diffusa in America, un´etica terapeutica per cui basta che un bambino sia un po´ vivace e turbolento che subito viene etichettato come affetto da un "disturbo da deficit di attenzione con iperattività"?
Che dire poi degli studenti, che si apprestano a fare l´esame di maturità, che si definiscono "stressati" per aver studiato durante l´anno con una media di un´ora al giorno, e intorno ai quali si affollano i consigli degli psicologi, quando non addirittura quelli dei dietologi e dei medici? Che significa mettere in guardia le donne in procinto di partorire dalla "depressione post partum" iscrivendo preventivamente quel fenomeno naturale che è la generazione di un figlio in uno scenario al confine con la patologia? Davvero i cassaintegrati e i licenzianti hanno bisogno di un´assistenza psicologica per evitare drammi familiari, e non invece di un nuovo posto di lavoro?
Che cosa significa questo continuo ricorso al termine "sindrome" da "ansia generalizzata" per dire che uno è preoccupato, da "ansia sociale" per dire che uno è timido, da "fobia sociale" per dire che uno è molto riservato, da "libera ansia fluttuante" per chi non sa di che cosa si preoccupa? Dai risultati di una ricerca risulta che, negli anni Settanta, la parola "sindrome" non compariva né sui giornali né nelle aule dei tribunali. Nel 1985 faceva la sua comparsa in 90 articoli, nel ´93 in 1.000 e nel 2003 in 8.000 articoli di riviste e periodici.
Per non parlare poi della parola "autostima", sconosciuta negli anni Settanta e oggi diffusissima nei media, a scuola, nei servizi sanitari, sul posto di lavoro e nel linguaggio quotidiano. Dalla mancanza di autostima oggi si fanno dipendere i successi scolatici, demotivazioni in campo professionale, depressione in ambito familiare, devianza giovanile nei tortuosi percorsi dell´alcol e della droga, condotte suicidali.
Infine il "trauma", che non è più considerato come una giusta e fisiologica reazione emotiva a un evento doloroso o sconcertante, ma come il generatore di un progressivo disadattamento alla vita, tale da condizionarla per tutto il suo corso, e quindi bisognoso di assistenza terapeutica.
Ma che cosa c’è sotto questo cambiamento linguistico, per cui esperienze fino a ieri ritenute normali, oggi vengono rubricate tra le sindromi psicologiche? A cosa mira questa invasione della psicologia nella vita quotidiana, se non a creare in noi tutti un senso di vulnerabilità e quindi un bisogno di protezione, di tutela, quando non addirittura di cura?
A queste domande dà una risposta Frank Furedi, sociologo ungherese che insegna all´università di Kent a Canterbury, autore di un libro: Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana dove si sostiene che la patologizzazione di esperienze umane fino a ieri ritenute normali risponde all´esigenza di omologare gli individui non solo nel loro modo di "pensare" (a questo ha già provveduto il "pensiero unico" per cui, come già ammoniva Nietzsche: "Chi pensa diversamente, va spontaneamente in manicomio"), ma soprattutto nel loro modo di "sentire".
Allo scopo vengono solitamente impiegati i mezzi di comunicazione che, dalla televisione ai giornali, con sempre più insistenza irrompono con indiscrezione nella parte discreta dell´individuo per ottenere non solo attraverso test, questionari, campionature, statistiche, sondaggi d´opinione, indagini di mercato, ma anche e soprattutto con intime confessioni, emozioni in diretta, storie d´amore, trivellazioni di vite private, che sia lo stesso individuo a consegnare la sua interiorità, la sua parte discreta, rendendo pubblici i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue sensazioni, secondo quei tracciati di spudoratezza che vengono acclamati come espressioni di sincerità, perché in fondo: "Non si ha nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi".
Comportandoci in questo modo ognuno di noi dà un ottimo esempio di quell´omologazione dell´intimo a cui tendono tutte le società conformiste che, interessate a che l´individuo non abbia più segreti e al limite neppure più un´interiorità, alimentano il proliferare incontrollato di interviste, pubbliche confessioni, rivelazioni dell´intimità, come è facile vedere in numerose trasmissioni televisive particolarmente seguite, dove l´invito è quello di collaborare attivamente e con gioia alla pubblicizzazione dei propri sentimenti e della propria interiorità, perché il non farlo sarebbe un sintomo di "insincerità", se non addirittura, e qui anche gli psicologi danno una mano, di "introversione", di "chiusura in se stessi", quindi di "inibizione" se non di "repressione". E inibizione e repressione, recitano i manuali di psicologia, sono sintomi di un "adattamento sociale frustrato", quindi di una socializzazione fallita.
Vedete dove si può arrivare avviando una sequenza un po´ disinvolta di sillogismi?
Questo significa: "Non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi". Significa che le istanze del conformismo e dell´omologazione lavorano per portare alla luce ogni segreto, per rendere visibile ciascuno a ciascuno, per togliere di mezzo ogni interiorità come un impedimento, ogni riservatezza come un tradimento, per apprezzare ogni volontaria esibizione di sé come fatto di lealtà se non addirittura di salute psichica.
E tutto ciò, anche se non ci pensiamo, approda a un solo effetto: attuare l´omologazione della società fin nell´intimità dei singoli individui e portare a compimento il conformismo. Per chi proprio non riesce vengono in soccorso quelle che possiamo chiamare le "psicologie dell´adattamento" il cui implicito invito è di essere sempre meno se stessi e sempre più congruenti al modo conforme di vivere.
Non diversamente si spiega il declino della psicoanalisi come indagine sul proprio profondo, e il successo del cognitivismo e del comportamentismo. Il primo per aggiustare le proprie idee e ridurre le proprie dissonanze cognitive in modo da armonizzarle all´ordinamento funzionale del mondo; il secondo per adeguare le proprie condotte, indipendentemente dai propri sentimenti e dalle proprie idee che, se difformi, sono tollerati solo se coltivati come tratto originale della propria identità, purché non abbiano ricadute pubbliche.
Si viene così a creare quella situazione paradossale in cui l´autenticità, l´esser se stesso, il conoscere se stesso, che l´antico oracolo di Delfi indicava come la via della salute dell´anima, diventa nelle società conformiste e omologate qualcosa di patologico, come può esserlo l´esser centrati su di sé (self-centred), la scarsa capacità di adattamento (poor adaptation), il complesso di inferiorità (inferiority complex). Quest´ultima patologia lascia intendere che è inferiore chi non è adattato, e quindi che "essere se stesso" e non rinunciare alla specificità della propria identità è una patologia.
E in tutto ciò c´è anche del vero, nel senso che sia il cognitivismo sia il comportamentismo, in quanto "psicologia del conformismo", assumono come ideale di salute proprio quell´esser conformi che, da un punto di vista esistenziale, è invece il tratto tipico della malattia. Dal canto loro i singoli individui, interiorizzando i modelli indicati dal cognitivismo e dal comportamentismo, respingono qualsiasi processo individuativo che risulti non funzionale alla società omologata.
Si perviene così a quella che già Freud chiamava: "La miseria psicologica di massa", i cui tratti sono così descritti: "Oltre agli obblighi concernenti la restrizione pulsionale, ci sovrasta il pericolo di una condizione che potremmo definire la miseria psicologica di massa. Questo pericolo incombe maggiormente dove il legame sociale è stabilito soprattutto attraverso l´identificazione reciproca dei vari membri. La presente condizione della civiltà americana potrebbe offrire una buona opportunità per studiare questo temuto male della civiltà. Ma evito la tentazione di addentrarmi nella critica di tale civiltà.
Non voglio destare l´impressione che io stesso ami servirmi di metodi americani".
Di metodi americani si serve invece abbondantemente Frank Furedi per concludere che l´imperativo terapeutico che massicciamente va diffondendosi in questa società ha lo scopo di promuovere non tanto l´autorealizzazione, quanto l´autolimitazione degli individui che, una volta persuasi di avere un sé fragile e debole, saranno loro stessi a chiedere non solo un ricorso alle pratiche terapeutiche, ma addirittura la gestione della loro esistenza, che è quanto di più desiderabile possa esistere per il potere. E qui non si fatica a intravedere le potenziali implicazioni autoritarie a cui inevitabilmente porta la diffusione generalizzata dell´etica terapeutica, che è la versione secolarizzata dell´etica della salvezza, con cui le religioni hanno sempre tenuto gli uomini sotto tutela.
Vecchio 26-04-2008, 12:02   #2
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Anche secondo me la psicologia è difettosa, anche secondo me l'epifenomeno osservabile ad alto livello è che la psicologia educa ad avere un se' debole.
Ma io penso che questo non sia dovuto all'uso delle generalizzazioni ("ansia sociale", "fobia sociale" etc...): le generalizzazioni sono indispensabili per poter comunicare i problemi psicologici con comodi nomi, anzichè con discorsi ambigui, la logica fuzzy è utile per definire concetti sfumati come "fobia sociale".
Il difetto della psicologia cognitiva (e degli altri modelli) sta nel non divulgare quei modelli in modo completo ai pazienti.
Secondo me, se il paziente non è intenzionato a apprendere i modelli (studiandoli con l'aiuto dello psicologo), dovrebbe essere ammonito, allo stesso modo in cui lo psicologo ammonisce chi non è disposto a farsi aiutare mettendosi in discussione.
Se ci fosse questa chiarezza ci sarebbe la consapevolezza che i modelli usati sono solo strumenti approssimativi, e che le generalizzazioni sono in questo caso innoque perchè definiscono insiemi fuzzy.
Ma dubito che le comunità di psicologi abbiano interesse a fare questo tipo di divulgazione.
Non sono d'accordo con la soluzione dell'articolo, cioè di eliminare qualsiasi codice psicologico per prevenire il rischio della generalizzazione e del conformismo: anche senza quel codice e senza psicologi, gli esseri umani continuerebbero ugualmente a generalizzare e cadere nel conformismo. E' l'etica individuale che deve cambiare, e anche l'intelligenza individuale.
Questo non potrà farlo nessuna istituzione, difficile controllare il fenomeno.
Il giorno in cui l'argomentazione logica e la sua divulgazione sistematica non verrà percepito come flame, ma come necessità, allora forse si potrà sviluppare lo spirito illuministico (l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! -Non c'è bisogno che dica di chi è questa citazione-).
Vecchio 26-04-2008, 12:59   #3
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L'avatar di Leofrico
 

Il pensiero unico di Galimberti? Il "pensiero unico". Ideologico ideologico ideologico. Poi quando verifico che la cultura diciamo post-marxista si appropria anche di Nietzsche mi si storce ulteriormente il naso. Entrambi destrutturano la realtà, ma con conclusioni quasi opposte. Non dico che il suo articolo sia campato in aria, le argomentazioni sono comunque valide, (mi riferisco alle cause dell'esagerata stigmatizzazione di presunti problemi psicologici. E comunque io non sono nessuno per dirlo) tuttavia si potrebbe scrivere un articolo 100 volte più lungo circa le eventuali responsabilità proprio di quella culturà lì sulla questione. D'altronde, generalizzando, voler porre rimedio al pensiero unico con l'ultraegualitarismo non è il colmo?

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Originariamente inviata da HurryUp2
Imputabile a se stesso é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidato da un altro. Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza
Ammazza quanta fiducia nella scienza, nel sapere e nell'uomo Ah è una citazione di Kant ecco (ho googlato). Io mi dico questo: sono relativamente convinto dell'insensatezza della vita, della morale come invenzione umana, del determinismo (tutto accade a causa di un evento precedente quindi nessuno ha colpa o merito di nulla) e dunque dell'illusorietà del libero arbitrio e in qualche modo dell'IO. Se riuscissi a credere fino in fondo queste cose teoricamente i problemi sarebbero svaniti, come in sostanza affermano i buddisti, secondo cui a quel punto sarebbe chiaro come l'esistenza è AMORE (bah). Però poi mi dico che non ha alcuna importanza che quelle teorie siano vere o meno, in ogni caso si tratterebbe sempre di un autoconvincimento, di un'illusione e un'illusione vale l'altra quindi si potrebbe "scegliere" (nel senso relativo del termine) quella che più ci si addice. Io sarei lietissimo se inventassero qualcosa tipo Matrix in cui illudermi di vivere la vita che voglio, o meglio, una vita felice, perchè tanto sempre di percezione illusoria si tratterebbe. Potremmo anche già essere succubi di una matrice, chi lo sa. Se così fosse imploro i programmatori di rilasciare presto una corposa patch. Ma tanto è tutto pura speculazione.
Vecchio 26-04-2008, 15:37   #4
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Originariamente inviata da Leofrico
Ammazza quanta fiducia nella scienza, nel sapere e nell'uomo Ah è una citazione di Kant ecco (ho googlato). Io mi dico questo: sono relativamente convinto dell'insensatezza della vita, della morale come invenzione umana, del determinismo (tutto accade a causa di un evento precedente quindi nessuno ha colpa o merito di nulla) e dunque dell'illusorietà del libero arbitrio e in qualche modo dell'IO.
I processi cognitivi che generano la sensazione dell'IO seguono una struttura isomorfa a un sistema formale, quindi è normale che l'IO sente di non poter raggiungere la verità (completezza), ma questo non autorizza l'IO ad affermare che la vita non ha senso.
Secondo me è imprudente anche dire che il libero arbitrio non esiste, dato che la coscienza potrebbe essere un epifenomeno quantistico, e al livello della meccanica quantistica a una causa non corrisponde necessariamente uno e un solo effetto, ma ci sono diverse variabili.
Quindi, se il cervello è un calcolatore quantistico, pur avendo le limitazioni dei sistemi formali non è detto che sia un sistema deterministico.
Vecchio 26-04-2008, 15:48   #5
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L'avatar di 88_ThE_BeSt2_88
 

se proprio dovete farvi le seghe almeno nn fatevi quelle mentali..... :lol:
Vecchio 26-04-2008, 16:44   #6
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Originariamente inviata da HurryUp2
I processi cognitivi che generano la sensazione dell'IO seguono una struttura isomorfa a un sistema formale, quindi è normale che l'IO sente di non poter raggiungere la verità (completezza), ma questo non autorizza l'IO ad affermare che la vita non ha senso.
Secondo me è imprudente anche dire che il libero arbitrio non esiste, dato che la coscienza potrebbe essere un epifenomeno quantistico, e al livello della meccanica quantistica a una causa non corrisponde necessariamente uno e un solo effetto, ma ci sono diverse variabili.
Quindi, se il cervello è un calcolatore quantistico, pur avendo le limitazioni dei sistemi formali non è detto che sia un sistema deterministico.
Touchè fratello, qualunque cosa tu abbia detto No aspetta provo ad abbozzare una minima controargomentazione. Per quanto riguarda l'insensatezza della vita tu dici in sostanza che l'uomo deve astenersi dal giudizio in quanto non capace di raggiungere la verità? Si, effettivamente. Però non potendo ovviamente dimostrare nemmeno che ce l'abbia un senso sarebbe relativamente logico comportarsi come se non ce l'avesse. Il che in pratica include tutti i comportamenti possibili.

Per quanto riguarda il libero arbitrio si, è una semplice deduzione logica del determinismo, che potrebbe essere benissimo una teoria capziosa. Però restando nel campo limitato delle azioni umane, mi sembra ragionevole un certo autodiscolpamento, una maggiore leggerezza dovuta a questo allargamento degli orizzonti seppur incerto. O in altre parole è ragionevole un minore attaccamento all'IO. Però forse è proprio quell'attaccamento che ci rende umani e vivi; a riguardo mi viene sempre in mente Nietzsche che inizialmente loda il buddismo poi invece lo reputa l'assassino dell'anima.
Concludo con una domanda: a renderci felici è la semplice produzione di determinate sostanze del cervello, la convinzione stessa di essere felici, la soddisfatta volontà di potenza, il rispetto della proprie costruzioni morali o cos'altro? Probabilmente è tutto collegato.
Vecchio 26-04-2008, 16:45   #7
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Originariamente inviata da 88_ThE_BeSt2_88
se proprio dovete farvi le seghe almeno nn fatevi quelle mentali..... :lol:
Essendo una testa di ca**o...
Vecchio 26-04-2008, 18:33   #8
Esperto
 

Questo è il classico eccesso di chi non si ritrova nel tempo che vive e lo percepisce come estraneo, rifacendosi nostalgicamente ad un'epoca in cui "era tutto più semplice" e "si viveva lo stesso anche senza certe comodità".
La presunta "psicologizzazione" della società è un fatto collegato con la sua evoluzione in maniera molto più profonda che non un semplice legge economica di domanda e offerta con annessa pubblicità più o meno inconscia. L'individualizzazione estrema tipica della cultura occidentale porta per forza di cose ad una identificazione tra i problemi "individualizzati" e la psiche oggetto della psicologia. La psicologia è la scienza dell'individualità per antonomasia, perchè prende come base, anche nelle sue manifestazioni più collettive come lo studio dei rapporti umani o la psicologia di comunità, nient'altro che l'individuo e il suo cervello, inteso come elemento fisicamente staccato e singolo. E' in tal senso riduzionista, perchè come ideale ha la cura della società attraverso la cura delle sue singole parti, immerse in un contesto collettivo ma sempre valutate singolarmente. E' ovvio quindi che gli elementi di una società che li spinge a considerarsi esclusivamente per sé stessi, si rivolgano come conseguenza naturale a tale scienza per quelle che loro stessi considerano patologie, ma intese non più nel senso antico, come intendeva Galimberti, di "patologie sociali", che riguardano la comunità tutta e vengono percepite da essa come pericoli che minacciano la collettività, bensì in un senso moderno, occidentale, di "patologie dell'individualità". Il non riuscire a reggere l'individualità a cui è chiamato fa di ogni persona un potenziale malato, indipendentemente dalla sua natura. Ieri il malato era chi non riusciva ad essere "uomo sociale", chi non riusciva a sacrificare la propria individualità alla società, oggi è malato chi non riesce ad essere "uomo individuale", nel senso non di pensare, agire e venire percepito per sé, ma di non riuscire ad imporre alla società la propria individualità. L'uomo, ricalcandosi sulle leggi economiche, ha equiparato sé stesso ad un prodotto, rovesciando (o estremizzando) la gerarchia: l'individuo sta un gradino più in alto della società.
Di fronte a queste dinamiche, oltre al successo della psicologia, è facilmente spiegabile il recesso di culture collettive come le religioni, salvo poi recuperarle quando la società stessa viene percepita come in pericolo, quasi come un rigurgito del senso di collettività, ma sempre in difesa dell'individuo. Da qui la radicalizzazione della fede, che diventa assoluta o nulla, perchè appunto funzionale a qualcos'altro, o per lo meno ad un secondo obiettivo: affermare la stabilità sociale per potervi erigere sopra un monumento all'individuo.
Vecchio 27-04-2008, 13:35   #9
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Originariamente inviata da Leofrico
Touchè fratello, qualunque cosa tu abbia detto No aspetta provo ad abbozzare una minima controargomentazione. Per quanto riguarda l'insensatezza della vita tu dici in sostanza che l'uomo deve astenersi dal giudizio in quanto non capace di raggiungere la verità? Si, effettivamente. Però non potendo ovviamente dimostrare nemmeno che ce l'abbia un senso sarebbe relativamente logico comportarsi come se non ce l'avesse. Il che in pratica include tutti i comportamenti possibili.
D'accordo con la premessa, ma non con la conclusione. Ho la sensazione che l'unico modo possibile per dimostrare che l'io non può raggiungere un senso (fare una mappa completa e coerente della realtà) è postulare che esista un senso oggettivo, di conseguenza, se cerchi di essere coerente, non sarà logico comportarsi come se un senso non esistesse, ma cercherai di costruirti una mappa della realtà che sia il più possibile coerente, sacrificando la completezza per la coerenza.
Se non riesco a farmi una mappa completa di tutte le zone del mondo, questo non vuol dire che, per viaggiare, non abbia bisogno di una mappa il più possibile coerente con la realtà e completa.
Non avrebbe alcun senso costruirsi una mappa immaginaria non fedele alla realtà, a meno che non ti interessi viaggiare senza perderti per strada con tutti i problemi che ne derivano.
Se poi queste mappe immaginarie (non fedeli alla realtà) cerchi addirittura di venderle agli altri (persuadendoli che sono la mappa reale della realtà), allora devi essere proprio bastardo dentro (diffondere mappe della realtà incoerenti è segno di bassa coscienza etica).
Nietzche ha una bassa coscienza etica, perchè ha tentato di demolire l'epistemologia, per innescare il virus dello "spirito dionisiaco" nella società.
L'incompletezza della logica può essere usata per mettere in dubbio la logica stessa, come ha fatto lui per togliere ogni fondamento ontologico alla ragione e alla morale.
La mappa della realtà che ha proposto è falsa.
Quote:
Originariamente inviata da Leofrico
Concludo con una domanda: a renderci felici è la semplice produzione di determinate sostanze del cervello, la convinzione stessa di essere felici, la soddisfatta volontà di potenza, il rispetto della proprie costruzioni morali o cos'altro? Probabilmente è tutto collegato.
Penso che la domanda mescoli livelli semantici diversi, per esempio il livello biologico con quello simbolico (dove i simboli sono la percezione della realtà codificata dal simbolo dell'io), anch'io penso che siano collegati, ma non in senso causale, ma in senso epi-fenomenico.
Vecchio 29-04-2008, 00:55   #10
Esperto
L'avatar di Who_by_fire
 

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Originariamente inviata da bardamu
Questo è il classico eccesso di chi non si ritrova nel tempo che vive e lo percepisce come estraneo, rifacendosi nostalgicamente ad un'epoca in cui "era tutto più semplice" e "si viveva lo stesso anche senza certe comodità".
La presunta "psicologizzazione" della società è un fatto collegato con la sua evoluzione in maniera molto più profonda che non un semplice legge economica di domanda e offerta con annessa pubblicità più o meno inconscia. L'individualizzazione estrema tipica della cultura occidentale porta per forza di cose ad una identificazione tra i problemi "individualizzati" e la psiche oggetto della psicologia. La psicologia è la scienza dell'individualità per antonomasia, perchè prende come base, anche nelle sue manifestazioni più collettive come lo studio dei rapporti umani o la psicologia di comunità, nient'altro che l'individuo e il suo cervello, inteso come elemento fisicamente staccato e singolo. E' in tal senso riduzionista, perchè come ideale ha la cura della società attraverso la cura delle sue singole parti, immerse in un contesto collettivo ma sempre valutate singolarmente. E' ovvio quindi che gli elementi di una società che li spinge a considerarsi esclusivamente per sé stessi, si rivolgano come conseguenza naturale a tale scienza per quelle che loro stessi considerano patologie, ma intese non più nel senso antico, come intendeva Galimberti, di "patologie sociali", che riguardano la comunità tutta e vengono percepite da essa come pericoli che minacciano la collettività, bensì in un senso moderno, occidentale, di "patologie dell'individualità". Il non riuscire a reggere l'individualità a cui è chiamato fa di ogni persona un potenziale malato, indipendentemente dalla sua natura. Ieri il malato era chi non riusciva ad essere "uomo sociale", chi non riusciva a sacrificare la propria individualità alla società, oggi è malato chi non riesce ad essere "uomo individuale", nel senso non di pensare, agire e venire percepito per sé, ma di non riuscire ad imporre alla società la propria individualità. L'uomo, ricalcandosi sulle leggi economiche, ha equiparato sé stesso ad un prodotto, rovesciando (o estremizzando) la gerarchia: l'individuo sta un gradino più in alto della società.
Di fronte a queste dinamiche, oltre al successo della psicologia, è facilmente spiegabile il recesso di culture collettive come le religioni, salvo poi recuperarle quando la società stessa viene percepita come in pericolo, quasi come un rigurgito del senso di collettività, ma sempre in difesa dell'individuo. Da qui la radicalizzazione della fede, che diventa assoluta o nulla, perchè appunto funzionale a qualcos'altro, o per lo meno ad un secondo obiettivo: affermare la stabilità sociale per potervi erigere sopra un monumento all'individuo.


Molto interessante!
Vecchio 29-04-2008, 13:20   #11
Esperto
L'avatar di Chioccioccolata
 

Quote:
Ma davvero siamo così vulnerabili che di fronte a ogni incertezza della nostra vita abbiamo bisogno di un´assistenza psicologica? Non è che si va diffondendo anche da noi, come è già diffusa in America, un´etica terapeutica per cui basta che un bambino sia un po´ vivace e turbolento che subito viene etichettato come affetto da un "disturbo da deficit di attenzione con iperattività"?
Concordo.
Quote:
Che cosa significa questo continuo ricorso al termine "sindrome" da "ansia generalizzata" per dire che uno è preoccupato, da "ansia sociale" per dire che uno è timido, da "fobia sociale" per dire che uno è molto riservato, da "libera ansia fluttuante" per chi non sa di che cosa si preoccupa?
Ridicola e fuorviante la leggerezza con cui Galimberti "spiega" il significato dei vari disturbi.
Quote:
Infine il "trauma", che non è più considerato come una giusta e fisiologica reazione emotiva a un evento doloroso o sconcertante, ma come il generatore di un progressivo disadattamento alla vita, tale da condizionarla per tutto il suo corso, e quindi bisognoso di assistenza terapeutica.
8O Cosa cosa??ma che c'entra?il fatto che il trauma sia una giusta e fisiologica reazione emotiva a un evento doloroso o sconcertante implica che non sia anche il generatore di un progressivo disadattamento alla vita?se un ragazzino viene molestato da un genitore,è "normale" e "sano" che ne rimanga traumatizzato,ma questo trauma gli farà comunque del male,condizionerà comunque in maniera negativa la sua vita.
Quote:
Troppa psicologia nella vita quotidiana dove si sostiene che la patologizzazione di esperienze umane fino a ieri ritenute normali risponde all´esigenza di omologare gli individui non solo nel loro modo di "pensare" (a questo ha già provveduto il "pensiero unico" per cui, come già ammoniva Nietzsche: "Chi pensa diversamente, va spontaneamente in manicomio"), ma soprattutto nel loro modo di "sentire".
Qui mi pare che si faccia confusione:un conto è aiutare una persona con un trauma,un disturbo,una malattia perchè la fanno in qualche modo star male,un conto è ritenere una certa cosa "anormale" perchè non si conforma al pensiero comune e cercare di omologarlo.
Quote:
Allo scopo vengono solitamente impiegati i mezzi di comunicazione che, dalla televisione ai giornali, con sempre più insistenza irrompono con indiscrezione nella parte discreta dell´individuo per ottenere non solo attraverso test, questionari, campionature, statistiche, sondaggi d´opinione, indagini di mercato, ma anche e soprattutto con intime confessioni, emozioni in diretta, storie d´amore, trivellazioni di vite private, che sia lo stesso individuo a consegnare la sua interiorità, la sua parte discreta, rendendo pubblici i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue sensazioni, secondo quei tracciati di spudoratezza che vengono acclamati come espressioni di sincerità, perché in fondo: "Non si ha nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi".
Comportandoci in questo modo ognuno di noi dà un ottimo esempio di quell´omologazione dell´intimo a cui tendono tutte le società conformiste che, interessate a che l´individuo non abbia più segreti e al limite neppure più un´interiorità, alimentano il proliferare incontrollato di interviste, pubbliche confessioni, rivelazioni dell´intimità, come è facile vedere in numerose trasmissioni televisive particolarmente seguite, dove l´invito è quello di collaborare attivamente e con gioia alla pubblicizzazione dei propri sentimenti e della propria interiorità, perché il non farlo sarebbe un sintomo di "insincerità", se non addirittura, e qui anche gli psicologi danno una mano, di "introversione", di "chiusura in se stessi", quindi di "inibizione" se non di "repressione". E inibizione e repressione, recitano i manuali di psicologia, sono sintomi di un "adattamento sociale frustrato", quindi di una socializzazione fallita.
A parte il discorso un pò generalizzato,sono anche d'accordo.Solo che la teoria "patologizzazione di esperienze "normali" :arrow: intrusione nell'intimità e negazione di riservatezza :arrow: omologazione dell'io e spersonalizzazione" mi sembra MOLTO azzardata.
Insomma,mi sembra che Galimberti sia molto qualunquista e paranoico.
Quote:
Originariamente inviata da bardamu
Questo è il classico eccesso di chi non si ritrova nel tempo che vive e lo percepisce come estraneo, rifacendosi nostalgicamente ad un'epoca in cui "era tutto più semplice" e "si viveva lo stesso anche senza certe comodità".
La presunta "psicologizzazione" della società è un fatto collegato con la sua evoluzione in maniera molto più profonda che non un semplice legge economica di domanda e offerta con annessa pubblicità più o meno inconscia.
Quoto.
Vecchio 30-04-2008, 18:12   #12
Principiante
L'avatar di Leofrico2
 

Quote:
Originariamente inviata da HurryUp2
D'accordo con la premessa, ma non con la conclusione. Ho la sensazione che l'unico modo possibile per dimostrare che l'io non può raggiungere un senso (fare una mappa completa e coerente della realtà) è postulare che esista un senso oggettivo, di conseguenza, se cerchi di essere coerente, non sarà logico comportarsi come se un senso non esistesse, ma cercherai di costruirti una mappa della realtà che sia il più possibile coerente, sacrificando la completezza per la coerenza.
Se non riesco a farmi una mappa completa di tutte le zone del mondo, questo non vuol dire che, per viaggiare, non abbia bisogno di una mappa il più possibile coerente con la realtà e completa.
Non avrebbe alcun senso costruirsi una mappa immaginaria non fedele alla realtà, a meno che non ti interessi viaggiare senza perderti per strada con tutti i problemi che ne derivano.
- Possiamo definire come senso "una mappa completa e coerente della realtà"? Cioè, questa mappa deve per forza portare alla luce un fine e una morale?
- Poi se ho ben capito (e probabilmente non è così) tu dici che comportarsi come se il mondo non avesse un senso è concettualmente impossibile e posso anche essere d'accordo... credo. Si può forse solo dargli un altro senso?

Quote:
Originariamente inviata da HurryUp2
Se poi queste mappe immaginarie (non fedeli alla realtà) cerchi addirittura di venderle agli altri (persuadendoli che sono la mappa reale della realtà), allora devi essere proprio bastardo dentro (diffondere mappe della realtà incoerenti è segno di bassa coscienza etica).
Addirittura... un pò dogmatico non trovi? Evidentemente no. Peraltro la bassa coscienza etica è evidente.
Vecchio 30-04-2008, 18:48   #13
Esperto
L'avatar di uahlim
 

Mah, io ho l'impressione che quando la psichiatra ti prende in cura poi pretende di curare con i farmaci anche situazioni fisiologiche, lo sperimento con il mio problema del disturbo bipolare, adesso anche se ho degli alti e bassi fisiologici che ho avuto anche prima che mi diagnosticassero sto disturbo, lei tende a correggere ste oscillazioni per me fino ad un certo punto normali e da tollerare stoicamente. Adesso si ragiona: c'è il farmaco, perchè devi sopportare il disagio?
Vecchio 01-05-2008, 01:23   #14
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Originariamente inviata da Leofrico2
- Possiamo definire come senso "una mappa completa e coerente della realtà"? Cioè, questa mappa deve per forza portare alla luce un fine e una morale?
La scienza sta scoprendo sempre di più che l'energia (che è la sostanza di tutto ciò che è rappresentato dalla realtà) è una forma di informazione.
Quindi tutto è informazione.
L'informazione quindi è il senso della realtà, l'informazione pura (l'unica mappa completa e coerente concepibile).
La coscienza si manifesta come impulso ad acquisire sempre più informazione, l'evoluzione della natura può essere concettualmente concepita come una tendenza alla massima informazione (quindi alla completezza).
Pulsioni come il senso della bellezza, il senso dell'etica, il senso della giustizia, il senso dell'equilibrio e della simmetria, la passione per la filosofia, etc..., possono essere tutte manifestazioni della pulsione ad acquisire informazione.
Quindi non mi sembra improbabile che il senso della realtà debba implicare, da un certo punto in poi, una tendenza a una morale sempre più perfetta.
Abbandonare la morale (il tendere ad essa) significherebbe non essere interessati ad acquisire informazione, e quindi significherebbe allontanarsi dall'essenza della realtà, remare contro di essa, fin quanto possibile.
Non dico che la morale sia una proprietà oggettiva e finale della realtà, ma ritengo plausibile concepire che rappresenti un passo obbligato della realtà.

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Originariamente inviata da Leofrico2
- Poi se ho ben capito (e probabilmente non è così) tu dici che comportarsi come se il mondo non avesse un senso è concettualmente impossibile e posso anche essere d'accordo... credo. Si può forse solo dargli un altro senso?
La realtà è informazione. Il cervello umano è programmato per acquisire sempre più informazione (fino a un certo limite, altrimenti cade nella follia). Infatti il cervello umano sviluppa la facoltà dell'analogia, e il pensiero analogico permette alla mente di poter decodificare una gamma elevatissima di informazione, in modo sempre maggiore, facendo salti conoscitivi sempre più ampi.
La consapevolezza dell'incompletezza dei processi cognitivi del cervello, farà sì che il cervello non possa mai sentirsi di avere TUTTA l'informazione, ma di poter solo accrescerla sempre di più. Nel momento in cui il cervello si costruisse un "senso" finale della realtà, andrebbe contro la propria natura, perchè i limiti fisici del cervello non permettono di avere abbastanza informazione da poter dire di aver raggiunto un senso finale della realtà.
Quindi la soluzione non sarà cercarsi un senso alternativo, ma continuare a elaborare le informazioni dell'ambiente in modo continuo, senza sosta, e senza arrivare alla fine.
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Originariamente inviata da Leofrico2
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Originariamente inviata da HurryUp2
Se poi queste mappe immaginarie (non fedeli alla realtà) cerchi addirittura di venderle agli altri (persuadendoli che sono la mappa reale della realtà), allora devi essere proprio bastardo dentro (diffondere mappe della realtà incoerenti è segno di bassa coscienza etica).
Addirittura... un pò dogmatico non trovi? Evidentemente no. Peraltro la bassa coscienza etica è evidente.
Non è dogmatico. La deontologia che il cervello sviluppa per decodificare l'informazione della realtà, costruendosi una mappa incompleta, può essere più o meno coerente. Se è incoerente non da' informazione, ma illusione, e quindi diffondere mappe deontologiche incoerenti implica diffondere mappe non coerenti con la realtà.
La coscienza etica è abbastanza matura quando si intuisce che tutte le coscienze hanno il diritto/dovere di acquisire informazione dalla realtà, per capire sempre di più se' stesse e la realtà, raggiungendo un equilibrio tra tra informazione dinamica (consapevolezza razionale) e informazione potenziale (bagaglio informazionale inconscio).
Vecchio 01-05-2008, 07:17   #15
Principiante
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Originariamente inviata da HurryUp3
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Originariamente inviata da Leofrico2
- Possiamo definire come senso "una mappa completa e coerente della realtà"? Cioè, questa mappa deve per forza portare alla luce un fine e una morale?
La scienza sta scoprendo sempre di più che l'energia (che è la sostanza di tutto ciò che è rappresentato dalla realtà) è una forma di informazione.
Quindi tutto è informazione.
L'informazione quindi è il senso della realtà, l'informazione pura (l'unica mappa completa e coerente concepibile).
La coscienza si manifesta come impulso ad acquisire sempre più informazione, l'evoluzione della natura può essere concettualmente concepita come una tendenza alla massima informazione (quindi alla completezza).
Pulsioni come il senso della bellezza, il senso dell'etica, il senso della giustizia, il senso dell'equilibrio e della simmetria, la passione per la filosofia, etc..., possono essere tutte manifestazioni della pulsione ad acquisire informazione.
Quindi non mi sembra improbabile che il senso della realtà debba implicare, da un certo punto in poi, una tendenza a una morale sempre più perfetta.
Abbandonare la morale (il tendere ad essa) significherebbe non essere interessati ad acquisire informazione, e quindi significherebbe allontanarsi dall'essenza della realtà, remare contro di essa, fin quanto possibile.
Non dico che la morale sia una proprietà oggettiva e finale della realtà, ma ritengo plausibile concepire che rappresenti un passo obbligato della realtà.

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Originariamente inviata da Leofrico2
- Poi se ho ben capito (e probabilmente non è così) tu dici che comportarsi come se il mondo non avesse un senso è concettualmente impossibile e posso anche essere d'accordo... credo. Si può forse solo dargli un altro senso?
La realtà è informazione. Il cervello umano è programmato per acquisire sempre più informazione (fino a un certo limite, altrimenti cade nella follia). Infatti il cervello umano sviluppa la facoltà dell'analogia, e il pensiero analogico permette alla mente di poter decodificare una gamma elevatissima di informazione, in modo sempre maggiore, facendo salti conoscitivi sempre più ampi.
La consapevolezza dell'incompletezza dei processi cognitivi del cervello, farà sì che il cervello non possa mai sentirsi di avere TUTTA l'informazione, ma di poter solo accrescerla sempre di più. Nel momento in cui il cervello si costruisse un "senso" finale della realtà, andrebbe contro la propria natura, perchè i limiti fisici del cervello non permettono di avere abbastanza informazione da poter dire di aver raggiunto un senso finale della realtà.
Quindi la soluzione non sarà cercarsi un senso alternativo, ma continuare a elaborare le informazioni dell'ambiente in modo continuo, senza sosta, e senza arrivare alla fine.
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Originariamente inviata da HurryUp2
Se poi queste mappe immaginarie (non fedeli alla realtà) cerchi addirittura di venderle agli altri (persuadendoli che sono la mappa reale della realtà), allora devi essere proprio bastardo dentro (diffondere mappe della realtà incoerenti è segno di bassa coscienza etica).
Addirittura... un pò dogmatico non trovi? Evidentemente no. Peraltro la bassa coscienza etica è evidente.
Non è dogmatico. La deontologia che il cervello sviluppa per decodificare l'informazione della realtà, costruendosi una mappa incompleta, può essere più o meno coerente. Se è incoerente non da' informazione, ma illusione, e quindi diffondere mappe deontologiche incoerenti implica diffondere mappe non coerenti con la realtà.
La coscienza etica è abbastanza matura quando si intuisce che tutte le coscienze hanno il diritto/dovere di acquisire informazione dalla realtà, per capire sempre di più se' stesse e la realtà, raggiungendo un equilibrio tra tra informazione dinamica (consapevolezza razionale) e informazione potenziale (bagaglio informazionale inconscio).
Cazzarola.
Vecchio 01-05-2008, 15:14   #16
Esperto
L'avatar di HurryUp
 

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Originariamente inviata da Leofrico
Cazzarola.
Immaginando che, invece che virtualmente, noi stessimo parlando faccia a faccia, e immaginando che tu abbia fatto questo commento con l'espressione del volto che hai nel tuo avatar, ti confesso che le sinapsi della risata farebbero fatica a trattenere il flusso di ioni. Per fortuna ti puoi risparmiare la scena!
Vecchio 01-05-2008, 18:43   #17
Principiante
L'avatar di Leofrico
 

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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da Leofrico
Cazzarola.
Immaginando che, invece che virtualmente, noi stessimo parlando faccia a faccia, e immaginando che tu abbia fatto questo commento con l'espressione del volto che hai nel tuo avatar, ti confesso che le sinapsi della risata farebbero fatica a trattenere il flusso di ioni. Per fortuna ti puoi risparmiare la scena!
Eh si, combinazione devastante. Anche il volto da solo però è piuttosto ionizzante.
Vecchio 02-05-2008, 02:01   #18
Esperto
L'avatar di HurryUp
 

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Originariamente inviata da tsevrah
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Originariamente inviata da HurryUp3
mappe non coerenti con la realtà.
Cos' è la realtà ?
Tutto ciò che è. Forse nel nostro inconscio è codificata tutta l'informazione della realtà, e all'io spettano solo i bagliori dell'intuito. Io ho scelto di ascoltare quei bagliori anzichè plagiarmi con il nichilismo o l'ateismo come va di moda adesso
:roll:
Vecchio 02-05-2008, 09:19   #19
Principiante
L'avatar di SafeAsMilk
 

Galimberti mette troppa carne al fuoco ma alcune questioni importanti le solleva, senza però porre delle distinzioni...
spesso la psicologia e la psichiatria più che essere interessate al disagio dell'individuo erano (ma talvolta ancora sono) interessate al disagio che le persone con "problemi mentali" causano agli altri..i manicomi ad esempio sono nati non per curare ma per escludere dal mondo chi per differenti ragioni (sicurezza, morale etc) non era tollerato per i suoi comportamenti manifesti, mentre chi si faceva portatore silente di un disagio poteva anche essere ben inserito.

poi si è cominciato a buttare uno sguardo anche a ciò che accade dentro le persone. Oggi probabilmente si tende all'opposto ad una medicalizzazione estrema della mente e dei sentimenti.
In fin dei conti sono cambiati i parametri della nostra tradizione sociale e con essi il modo di guardare a certi eventi psicologici e ad interpretarli dando loro un significato personale e sociale che prima probabilmente non esisteva (magari prima non erano neppure notati e per questo erano persino inesistenti)..
Vecchio 03-05-2008, 03:01   #20
Esperto
L'avatar di HurryUp
 

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Originariamente inviata da harvest
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Originariamente inviata da HurryUp
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Originariamente inviata da tsevrah
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Originariamente inviata da HurryUp3
mappe non coerenti con la realtà.
Cos' è la realtà ?
Tutto ciò che è.
Ma allora anche le mappe non coerenti con la realtà sono la realtà ...
Sì ma non enunciano cose reali.
Una mappa falsa dell'Europa è reale nel senso che è un insieme di simboli, ma non rispecchia la realtà dell'Europa, infatti se usi quella carta come guida per viaggiare in Europa ti perdi per strada.
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