Diverse volte mi è capitato di notare...cioè, volevo dire: diverse volte la mia attenzione selettiva mi ha portato a notare certi commenti da parte della gente su qualche persona che non agisce o si esprime secondo i canoni comuni e i comportamenti comunemente dati per scontati, perché non vuole o soprattutto non è in grado di farlo.
Del tipo:
"Ma quello lì
non è normale!"
"Ti pare normale quello??!"
"Tutte le persone normali fanno [...]"
"Ti pare normale che [...]??!"
oppure con orgoglio:
"Sono una persona
normale, io!" -.-
Naturalmente mi è capitato anche di essere la persona criticata:
"Tu
non sei normale!"
Beh, allora, premetto che per me la "normalità" è niente di più di un semplice concetto statistico.
Non una cosa
soggettiva come pensano buonisticamente alcuni, bensì abbastanza oggettiva, sempre dal punto di vista statistico.
E, in quanto concetto meramente statistico, non porta con sé alcun valore etico o morale di alcun genere, né positivo né negativo.
L'omosessualità è anormale? Certo che lo è. E' un comportamento sessuale condiviso da una esigua minoranza della popolazione generale. Così come lo è, in altri ambiti altrettanto eticamente irrilevanti, l'ascolto della musica dodecafonica o la passione per la pizza all'ananas.
Essere sociofobici o socialmente imbranati è anormale? Certo che lo è. Ca**o se lo è!
Ma non per questo, mi pare, dovrebbe essere una cosa giudicata severamente dal punto di vista di chi più "normale" lo è. Dopotutto, un timido mica fa male a nessuno, no? [a parte se stesso]
Invece noto sempre come ci sia in giro una specie di "religione della normalità" (o "mistica dell'adeguatezza"), e che il non uniformarsi ai canoni comunicativi medi porti con sé, agli occhi delle persone che più si adeguano, una specie di "colpa".
Tipo: comunichi in modo sbagliato con gli altri, quindi----> sei in qualche modo colpevole verso gli altri.
Non c'è lo stesso atteggiamento nemmeno verso gli handicappati fisici ("mica lo fanno apposta! Mica l'hanno scelto loro!").
Ma se tu non hai amici, o se sei ancora vergine a X anni, deve essere una colpa, e deve essere colpa
tua. Insomma, deve esserci qualcosa che non va, qualcosa di
brutto nel
tuo carattere,
quindi gli altri ti evitano e non hai amici.
Quella che è una semplice mancanza di competenza (certo accumulatasi nel proprio carattere, dove altro!) viene però scambiata per un carattere intenzionalmente (e quindi colpevolmente) avverso.
Ma, al di là di questo, c'è che la normalità viene spesso proprio vista come un valore in sé. Se dici ad una persona che non è normale, tipicamente la offendi.
Invece, se ci fosse da celebrare una delle due condizioni "normalità" e "anormalità", si dovrebbe proprio celebrare quest'ultima: è l'unica che porta qualcosa di nuovo, che fa riflettere, che stimola la conoscenza...
E' superfluo che aggiunga che molte delle migliori e più interessanti persone che ho conosciuto non si potessero completamente definire "normali".
Io non aspiro alla normalità
in sé, ma alla piena capacità di comunicare con gli altri.
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Perché allora anche noi, me compreso, tentiamo tanto di avvicinarci a questa maledetta normalità?
Semplice: perché la si vuole usare come
strumento. Come strumento per farsi accettare e capire dagli altri: in un contesto sociale in cui vige la religione della normalità, purtroppo non si potrà mai essere accettati se non si è non dico un sacerdote ma quantomeno un chierichetto della normalità.
E' brutto ma -per ora- mi sembra che sia così.