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Vecchio 29-09-2024, 10:12   #1
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Per molti giorni, nell’ottobre 1992, Sbastiao Salgado e lo scrittore Eric Nepomuceno si sono incontrati e hanno conversato nella casa di Maria Thereza e di José Bastos a Vila do Riacho, nello stato brasiliano di Espirito Santo. Il risultato è questo testo scritto a quattro mani.

{Quello che segue è il testo introduttivo, nel tempo a venire inserirò gli altri testi che riguardano specifiche tematiche. Uno al giorno.}

In queste immagini è racchiusa la storia di un’epoca. Le fotografie costituiscono l’archeologia visiva di un tempo conosciuto dalla storia con il nome di rivoluzione industriale; epoca in cui uomini e donne, con il loro lavoro manuale, tenevano in pugno l’asse centrale del mondo.
I concetti di produttività e di efficienza sono in continua evoluzione e con essi la natura stessa del lavoro. Nella sua corsa in avanti, il mondo altamente industrializzato marcia a tappe forzate e ha già ipotecato ciò che, fino a poco tempo fa, sembrava poter appartenere solo a un lontano futuro. Questa velocità, in fondo, è il risultato del lavoro dell’intera umanità, anche se i benefici sembrano riservati a un ristretto numero di eletti.
L’aumento brutale della produzione e la sua sofisticazione hanno un limite: il mondo supersviluppato produce unicamente per quella parte dell’umanità che può consumare. Questa parte non è che un quinto della popolazione del pianeta; i restanti quattro quinti, che in teoria dovrebbero poter approfittare del surplus di produzione, non riescono diventare consumatori. Essi hanno donato così tanto, in termini di risorse e ricchezze, che non hanno più alcun mezzo per raggiungere una qualsiasi parità. E così il pianeta resta diviso in un primo mondo ammalato di eccesso, un terzo schiavo del bisogno e un secondo che, cresciuto nel socialismo, alla fine di questo nostro secolo sta cadendo in rovina.
Il destino di uomini e donne è di creare un mondo nuovo, far risorgere la vita e ricordare che per ogni cosa esiste un limite, una frontiera, ad eccezione dei sogni, che permettono di adattarsi, di resistere e di credere. La storia è in primo luogo un susseguirsi di sfide, ripetizioni e ostinazioni. È un ciclo infinito di oppressioni, umiliazioni e disastri, ma anche la testimonianza della capacità umana di sopravvivere.
Nella storia non esistono sogni solitari.
Vecchio 30-09-2024, 19:33   #2
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Piantagioni di canna da zucchero


Il lavoratore delle piantagioni di canna da zucchero è un guerriero e il machete è la sua spada. Egli vive in un ambiente ostile: la foglia della canna è affilata e il guerriero lotta contro le foglie. Il guerriero si ferisce, si lacera, si sporca tra le canne brucianti, calde, poco prima di tagliarle.
Ho incontrato, a Cuba e in Brasile, questi guerrieri delle piantagioni di canna da zucchero. Sono molto diversi tra loro ma anche molto simili. Pensano allo stesso modo, si divertono allo stesso modo, si esprimono nello stesso modo. Sono dolci, sono combattivi. Si riposano, scherzano e ridono, si allungano al suolo, sempre nello stesso modo.
Ma esiste tra loro una differenza sostanziale: il guerriero cubano è un eroe del lavoro, fiero della sua lotta. È trattato bene dallo Stato-padrone. In Brasile è completamente diverso. Il guerriero viene trasportato sul campo, il suo campo di battaglia e di sogno, da grandi camion che lasciano la periferia dei centri urbani alle prime luci dell’alba. E va a lavorare su terre che più di una volta, nel passato, sono state sue. Da proprietari, lui e i suoi compagni, oggi sono diventati proletari del suolo: l’estensione dell’impiego dell’alcool, estratto dalla canna come combustibile, ha portato le grandi aziende ad acquistare una gran quantità di piccoli appezzamenti di terreno destinati originariamente alla coltivazione alimentare. In seguito, l’inflazione brasiliana ha praticamente annullato i ricavi che questi uomini avevano ottenuto con la vendita delle loro terre. Ed eccoli ora, ammassati su un camion che li porta verso i loro antichi campi di battaglia, protagonisti coatti di una guerra da cui non ne usciranno mai vincitori. Il proprietario del camion raduna i contadini e riceve il denaro per pagare i guerrieri. Il guerriero brasiliano delle piantagioni di canna da zucchero è in un certo senso uno schiavo, lo schiavo del proprietario del camion.
Vengono chiamati boias-frias, “pasto freddo” perché portano il loro magro pasto in recipienti di latta e non lo consumano mai caldo. Masticano freddo, un gusto di sconfitta in bocca.
A Cuba il lavoro della canna è fatto unicamente da uomini forti, solidi guerrieri. In Brasile lavorano oltre agli uomini anche le donne, i vecchi, i bambini.
C’è un mondo di differenze tra questi due universi della stessa battaglia.
Guerrieri fieri, guerrieri vinti. Ma sempre, e nonostante tutto, guerrieri.
Vecchio 01-10-2024, 19:14   #3
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Le mietitrici del mare


La Galizia è una bella regione fatta di brume e di leggende. Qui le rias sono come i fiordi: acque profonde che si insinuano nelle rocce e che sembrano sorgere da immensi boschi per poi precipitare verso il mare.
Ci sono molti rias in Galizia e io ne ho percorsi parecchi. Ma è stato a Vigo che ho incontrato le “mietitrici” del mare.
Si tratta in genere di madri di famiglia e mogli di pescatori. Lavorano, per la maggior parte, nelle industrie della conservazione del pesce. Ogni giorno che passa, sono sempre di più le donne che restano senza lavoro: l’industria dei surgelati sta decimando quella della conservazione. Anche se tutto in Galizia sembra molto antico, la ragione vive tempi di cambiamento. Ormai non si pesca più come un tempo e la bella e quasi secolare industria del pesce sta morendo lasciando vuote le fabbriche. Esistono ancora a Vigo numerose coperative di pescatori. Le loro barche, posate delicatamente sull’acqua, fanno parte del paesaggio. Ma le donne non partecipano a questo mondo.
Sono belle e forti le “mietitrici” del mare. Dai loro corpi occupati a sarchiare il fondo del mare, si sprigiona una sensualità senza pari. Le chiamano “mietitrici” perché la pesca dell’ameja non è in realtà una pesca ma una raccolta. L’ameja è un mollusco-pianta che cresce in fondo al mare, in una certa epoca dell’anno: in ottobre arriva a maturazione e raggiunge la sua altezza massima. In questo mese è l’epoca delle grandi maree: il mare si ritira ogni giorno per ore e ore su due, tre chilometri, lasciando a nudo le rias. È ora il momento delle donne che ogni anno, per due, tre mesi, mietono il fondo del mare.
Ma anche questo lavoro è minacciato: la ria di Vigo è di giorno in giorno sempre più inquinata dai rifiuti che i suoi 300.000 abitanti scaricano nell’acqua.
Le tradizioni del mare corrono il rischio, in Galizia, di diventare parte della leggenda e delle brume. I figli dei pescatori non fanno più il mestiere dei genitori e la pesca industriale ha rimpiazzato quella familiare. In alto mare, oggi, non si pesca più per la Galizia ma per il mondo. Le mietitrici dell’acqua raccolgono, con la marea discendente, i frutti del mare. Hanno i piedi nella sabbia del fondo del rias e il viso offerto al vento del mare.
Cosa guardano, di lontano, le mietitrici del mare? Da dove nasce il loro sorriso?
Vecchio 02-10-2024, 18:19   #4
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La Réunion


L’isola è qui, nell’Oceano Indiano, tra il Madagascar e l’isola Maurizio. Si chiama La Réunion e appartiene, dal XVII secolo, alla Francia: uno dei suoi territori d’oltremare. È un’isola vulcanica, superba, che, piantata a 3.000 metri sotto il livello del mare, supera di altri 3.000 metri il livello dell’acqua. L’isola, in pratica, è un curioso capriccio di Dio: una specie di montagna tagliata esattamente al centro dalla linea del mare, alzata per metà verso il cielo e per metà verso le profondità oceaniche. A qualche metro appena dalla costa, comincia l’abisso dell’acqua: non ci sono pesci, a La Réunion.
È l’isola dei profumi. Le essenze più pure di vetiver, di geranio, di vaniglia, vengono da qui. Quelle di vetiver e di geranio sono utilizzate come fissatori nella produzione industriale dei profumi: La Réunion produce poco ma la qualità di questa produzione è esemplare. L’isola è stata a lungo uno dei principali produttori del mondo e oggi le disastrose politiche agricole della Francia nei suoi territori d’oltremare hanno rovinato questa produzione che è scesa dell’85 percento rispetto a trent’anni fa. Gli abitanti de La Réunion sono cittadini francesi. Alcuni di loro, quelli che lavorano nella produzione delle essenze e dei profumi, sono cittadini particolari: francesi “a piedi scalzi”.
Il loro salario è di poco inferiore al minimo delle metropoli e vivono isolati sulle alture di questa terra vulcanica dove si trova il geranio, la vaniglia e dove, probabilmente, attecchiscono le radici del vetiver. Le loro origini si perdono nella notte dei tempi, in qualche villaggio della Corsica o della Bretagna.
I francesi “a piedi scalzi” de La Réunion producono solo pochi flaconi di profumo l’anno. Si agitano tutto il giorno attorno ai piccoli alambicchi di rame affumicato, nell’attesa che, goccia dopo goccia, si distilli il profumo. E dopo ridiscendono portando il loro prezioso ma esiguo tesoro sulle spalle.
I francesi “a piedi scalzi” non potranno mai utilizzare l’essenza dei loro profumi che sarà trasformata e imprigionata lontano, molto lontano dall’isola, in tutte quelle piccole boccette che sono costate settimane di lavoro.
Non le utilizzeranno perché non ne avranno mai bisogno: La Réunion è impregnata del più puro dei profumi e niente potrà imprigionare il suo animo: il profumo fluttua, libero nello spirito, libero nell’aria.
Vecchio 05-10-2024, 08:45   #5
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Il cacao

Strano destino, quello del cacao. Il prezzo di tutto ciò che si produce a partire dal cacao non smette di aumentare mentre il prezzo del cacao non smette di calare.
Il cacao è un altro dei numerosi prodotti di cui il prezzo è fissato da chi, nella sua vita, non ha mai prodotto neanche un grammo di questo frutto. Numerosi alberi di cacao sono ultracentenari. Hanno rami forti, rigogliosi, dalle forme antiche, come se venissero da un altro tempo: alberi fantasmagorici, con strane escrescenze, strani comportamenti. Ma, allo stesso tempo, sono delicati e devono essere protetti da altri alberi più grandi, come quelli da frutto, perché il cacao ha bisogno di ombra e umidità; non può affrontare il sole, gli basta racchiuderlo nei suoi frutti.
Qui, asfissiati dal caldo e dall’umidità, lavorano gli uomini e le donne del cacao. Gli alberi che proteggono le piante proteggono ugualmente il popolo del cacao: ciò che guadagna è talmente misero che i frutti caduti costituiscono una parte non trascurabile della sua alimentazione. Lo stesso cacao sostenta il popolo del cacao: i frutti aperti sprigionano un latte di pura e soave energia.
Le donne del cacao portano stivali alti per proteggersi dai serpenti. E sulla testa fazzoletti come turbanti per proteggersi dai frutti del cacao che cadono dall’alto. Si fa spesso l’amore nelle piantagioni di cacao. Molto, tra i ragazzi che vagabondano in questo ambiente sensuale: sono i figli del calore del cacao. È un popolo allegro quello del cacao. Nell’effervescenza del calore, dell’ombra e dell’umidità, ogni giorno è una festa intima.
Niente è peccato intorno al cacao ma tutto è vita, energia. Un vigore che risplende nei corpi che si cercano, furtivi ed eterni, nell’umido calore degli alberi. Chi decide del prezzo di questa libertà? Chi è lo schiavo di questa allegria?
Vecchio Ieri, 18:49   #6
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Il tabacco

Nel tabacco il lavoro è ameno e delicato al punto da poter paragonare il tabacalero al panettiere: lavoro ancestrale, meticoloso, esatto, senza pari. Sul campo, il lavoratore del tabacco porta un cappello simile a quello dei fornai: di tela, per non danneggiare le foglie estremamente delicate del tabacco. Al contatto con la foglia, il cappello del tabacalero non ferisce ma la accarezza. Le foglie sono raccolte con una ritualità cerimoniale. Il fondo dei panieri è foderato con del cotone, come fosse una culla dove posare un bimbo addormentato.
Tutto, nel tabacco, è un piacevole rituale, dall’aroma incomparabile, eseguito su un ritmo di sogno.
I magazzini dove viene risposto il tabacco sono di legno e questo legno profuma di tabacco. Qui le foglie sono conservate per due, tre anni e vengono lavorate da mani femminili. Le mani che preparano il tabacco, che lo arrotolano con esatta misura, conoscono il lungo tragitto dei sogni. Mentre viene preparato da esperte mani femminili, il sigaro ascolta le poesie, le canzoni, le parole. Nei magazzini dove si lavora la sala è vasta e areata e, sull’uscio siede sempre una persona con il compito di “leggere”. Il suo lavoro è cercare di diffondere, poco a poco e dolcemente, le parole che possano aiutare a viaggiare lontano mentre le dita, le palme delle mani, poco a poco e molto dolcemente, arrotolano il fumo che riposerà conservato all’interno di queste foglie incomparabili e tenere. Il sigaro, il tabacco: la foglia racchiude l’attesa dei sogni che si disperderanno insieme alle nuvole di fumo, come promesse che conservano l’aroma del legno, della terra, l’aroma di altri sogni, di altri viaggi.
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