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Originariamente inviata da SamueleMitomane
Non fa una piega , il braccialetto sicuramente porta il rischio a zero.
L'idea di base infatti era proprio quella di affidarsi prima di tutto a noi stessi, in questo caso comunque resta ugualmente una buona idea dato che la sicurezza del bambino è la priorità su tutte.
C'è da dire anche che, come ha detto joseph nella pagina precedente (portando il discorso verso un livello più ampio e meno pragmatico, sia per quanto riguarda l'interiorità dell'individuo che la società, che sono comunque collegati), è che magari il danno che si è evitato, può canalizzarsi in altri luoghi, verso condotti più nascosti della psiche umana, e mediante questi, per quanto piccoli, riversarsi altrove, creando conseguenze altrettanto gravi. Detto più semplicemente, in questo caso il mancato esercizio di attenzione può far si che si sia meno attenti in altri contesti (nel caso, anche interiori, o ad esempio nel notare cambi negli stati emotivi dell'altro), creando conseguenze le quali cause sono meno visibili ma ci sono.
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In senso ampio, possiamo associare ad un'ecosistema astratto X tutta una serie di eventi e possibilità in concatenamento ed in ripercussione reciproca. In "principio" tutto è possibile in relazione a ciò che io, osservatore esterno, riesco a formulare e immaginare, ma è altrettanto vero che il nostro sistema universale, quindi tutto ciò che racchiude in sé il macro-insieme cosmico, è regolato indissolubilmente, alla base, da principi matematici, come ha intuito e poi dimostrato Pitagora circa 500 anni precedenti all'anno zero.
Cosa voglio dire attraverso questa mia prolusione? Fondamentalmente due cose:
• L'inderogabile capacità di suddividere le varie possibilità in quelle plausibili, quelle meno plausibili e quelle implausibili.
• L'importanza, affinché si svolga correttamente il primo punto, nel tenere fortemente conto della
relazionalità dipendente che l'astrattezza delle idee ha nei confronti degli specifici contesti; cioè, se valutare ogni possibilità è l'input dell'intelligenza, intuire e capire quali sono quelle corrette per il quadro in esame ne è imprescindibilmente l'output.
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Originariamente inviata da SamueleMitomane
Vabè comunque è un discorso che va ben aldilà dell'argomento specifico. Mi sembrava giusto però far capire che, soprattutto in questa epoca infestata di aiutini tecnologici, la macchina più efficace siamo principalmente noi stessi, e meno scorciatoie facili ci sono più diventiamo sicuri delle nostre azioni. Ben vengano gli strumenti (del resto è quello che rendono l'uomo uomo, come ci ricorda Kubrick nella sua Odissea), però si deve essere ben consapevoli di ciò che si usa, di come lo si usa e delle conseguenze, per limitare danni dalle retrovie, altrimenti si rischia che, al contrario, gli strumenti prendano il nostro controllo.
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Che, in rapporto all'ottica più psichica che il discorso sullo spiacevole evento della bambina è andato a parare, è ciò che ho sintetizzato nella sezione del mio precedente post che tu hai sottolineato.
Quando ci si avvale di "aiutini", passivamente, si compie l'errore di traslare la propria coscienza verso gli oggetti, i quali vengono di riflesso percepiti con incoscienza come proiezioni di sé: ci si affida ad essi come se ci si affidasse di sé stessi; da lì subentra l'abitudine routinaria che sfocia nell'automatismo parzialmente inconscio non sapendo in parte più dove inizia la propria persona e dove finisce invece l'oggetto; ergo non saper più come poter migliorare.
Per questo motivo, non è negli "aiutini" il ricercare la causa degli errori di disattenzione e della dipendenza agli stessi, piuttosto nella vulnerabilità della psiche di taluni; non è uno specifico oggetto a creare quel mancato sano scambio sinaptico, piuttosto sfrutta, con permessi concessi, un "baco" già presente nel sistema al quale non si è prestata sufficiente attenzione. L'oggetto non fa che utilizzare un
trigger point alla fin fine.
Tutto questo è un problema che ha variabili di quantità/qualità, e probabili cicli di ripercussione (il creare conseguenze con cause meno visibili), spesso non oggettive ma soggettive: prendendo in prestito il tuo esempio della sveglia, nel mio caso capita di svegliarmi sempre prima di essa; ciò nonostante la imposto prima di coricarmi e in verità nemmeno con cotanta assidua frequenza.
Non mi affido ad essa ma le attribuisco la funzione di "assicurazione nell'ipotesi in cui...".
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, anche questo potrebbe contenere un rovescio della medaglia, come il ridurre la "pesantezza" del sonno e magari svegliarsi più volte durante la nottata con conseguente stress da riposo "alternato". Questo per dire che in molti casi, quasi a prescindere dall'abitudine, dall'ambiente nonché dalle personali propensioni -
che ci distingue e ci rende appunto individui -, v'è sempre la possibilità di un rinnovato senso di difficoltà costante, e per attuare l'approccio del
problem solving e cercare di ridurre possibilmente sempre più il negativo indiretto, in quanto ombra, di una scelta positiva (che nell'esempio della sveglia potrebbe essere dormire 30 minuti nel pomeriggio, così come il braccialetto (in quanto oggetto e non estensione) nel caso del "main event"), prima di tutto bisogna conoscersi come conseguenza del sentirsi, certo, ma per ciò che si è davvero... pena: seguire strade che non portano a nulla se non, probabilmente, ad una nevrosi.
In tal modo si possono non dico azzerare ma ridurre significativamente quelle condutture della psiche che fanno sì che l'evitamento di un danno, quindi informazione, possa ripercuotersi subdolamente altrove.
In estrema sintesi:
Tutto è possibile, ma tutto può anche non esserlo; vederci chiaro significa aver anche la volontà (nonché forza di volontà), la pazienza ed il tempo di poter approfondire, con dissertazione, tenendo in seria considerazione questa bivalenza, sia nei confronti dell'osservato, sia nei confronti dell'osservatore.
Termino qui, al fine d'evitar una preconizzata verbosità.
A presto.