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Mi sono spiegato male. Ho già citato la correlazione che c'è tra emotività ed azioni, non sto quindi dicendo il contrario, e ciò è anche banale.
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Ovvero la loro interdipendenza e che ogni azione è conseguenza di uno o più stati d'animo applicati in un contesto sociale fatto di scambi interpersonali diretti o indiretti... indiretti significa appunto l'utilizzo di emozioni che divengono azioni che, oltre a centrare l'obbiettivo della loro espletazione, di riflesso si ripercuotono al resto del sistema o gruppo sociale in cui si è, anche qui direttamente o meno, immersi. Questo è il motivo per il quale culture e abitudini di una particolare società vengono considerati "inusuali" da un'altra avente differenti modi di vivere e quindi differenti modi nel considerare cosa sia la normalità.
Ma questo svia leggermente dal tipo di argomento preso in esame.
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Volevo dire che questi problemi possono essere affrontati, come già detto, con una maggior consapevolezza e una cultura diversa. Ma l'unico strumento che mi viene in mente per fare ciò è attraverso l'istruzione. Cosa non facile già nei Paesi sviluppati(e questo dovrebbe essere un dato di fatto), figuriamoci in Paesi in via di sviluppo o sottosviluppati dove sono presenti problemi primari come la fame o l'analfabetismo.
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Caro utente, rimaniamo saldi sul senso di tutto questo discorso senza perderci.
A fine post troverai condensato, in un video, il fulcro principale su cui si basa questo scambio di opinioni che, magari per colpa mia, ti portano a conclusioni di per sé condivisibili ma che risultano fuori luogo.
Mi riallaccerò a quanto da te scritto tra non molto, giusto per "tenere il segno".
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Inoltre non sono d'accordo che questa maggior consapevolezza porta alla loro eliminazione. Saper affrontare la paura o l'ansia non porta all'eliminazione della paura o dell'ansia(per esempio).
Se mi arrabbio e uccido 30 persone e classifichiamo la rabbia come una emozione distruttiva, la soluzione non è "eliminare"(in qualche modo) (TUTTA)la rabbia in se, così da non arrabbiarci mai più. Giacché non è la rabbia in se ad aver determinato la morte di 30 persone, ma l'azione o reazione(che si è correlata per ovvietà di cose alla rabbia) ma che in verità dipende anche da altre variabili, tant'è che non tutti quelli che si arrabbiano hanno la stessa reazione. Ciò dipende dal contesto in generale.
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L'esempio da te esplicitato dovrebbe darti tutto l'occorrente per osservarne la nascita delle sue dinamiche. Essendo l'ecosistema umano una rete di interazioni, ognuno è sensibile al feedback esterno che gli viene consegnato, esso genera un cambiamento interiore e questo si ripercuote inevitabilmente alla creazione di un nuovo input da rivolgere al nostro esterno. A prescindere della natura distruttiva o costruttiva delle proprie emozioni esse si relazioneranno, direttamente e indirettamente, di conseguenza ai vari rapporti ai quali si è esposti. Essendo che l'essere umano ha sempre avuto possibilità di scelta se confrontarsi positivamente o negativamente in quanto individuo "neutro" (e matematicamente una vastissima fetta delle persone, nel corso della propria vita, si approccerà verso sé e verso gli altri in ambo i modi), ecco che al mondo venne reso edotto del bipolarismo di questo essere enormemente intelligente quanto capriccioso ed egocentrico. Ma proseguiamo...
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E noi possiamo lavorare su queste variabili. E infatti il fatto stesso di arrabbiarci non dipende dalla rabbia come emozione, ma da altri fattori che ci provocano la rabbia. Quindi possiamo agire sia sugli elementi scatenanti l'emozione, sia sugli effetti.
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Bravissimo. Ma cosa ha dato possibilità a quei "fattori" di nascere se non, a loro volta, la negatività emozionale dai quali provengono? E bene tenere presente che le situazioni, i fatti, sono proiezioni di idee e stati d'animo altrui divenuti tangibili e interconnessi nel tempo. In poche parole siamo immersi in un sistema ad effetto domino, nutrito fin dall'alba dei tempi dalla medesima "materia prima", e nessuno può considerarsi un outsider.
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Mi puoi dire che se non ci arrabbiamo possiamo evitare tutto ciò, così come se non abbiamo paura, ansia, angoscia, etc. Ma se non abbiamo paura, empatia, etc(è ciò è stato dimostrato) saremmo più vulnerabili. Se queste emozioni ci sono, c'è un perché e c'è una loro utilità. E i pericoli non derivano solo da noi essere umani così che un rimozione totale porterebbe al "non bisogno" di tali emozioni. Se cado mi faccio male e istintivamente cercherò già subito di evitare di farmi male, molto più velocemente di quanto posso fare con la sola razionalità.
Se c'è un terremoto provo paura ed ansia e ciò attiverà vari strumenti del mio corpo(per esempio adrenalina) per essere più reattivo e attento per cercare un modo per salvarmi. (Quindi le emozioni non possono che essere funzionali al funzionamento del nostro apparato).
Sono elementi(questi esempi) estranei a noi, eppure ci sono e li affrontiamo tutti i giorni.
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E sei andato fuori traccia...
Comunque:
- Emozione negativa, e di carattere distruttivo, è tutto ciò che volge alla creazione di attriti e difficoltà in un ecosistema e sue relazioni.
- Emozione positiva, e di carattere costruttivo, è tutto ciò che volge alla creazione di pace e collaborazione reciproca in un ecosistema e sue relazioni.
Quindi, negli esempi da te esplicitati, cos'è e cosa non è accostabile col termine di "emozione negativa"?
Lo ripeto per renderlo ancor più semplice: l'appellativo di "emozione negativa" è tutto ciò che lede la propria e/o altrui individualità in un contesto sociale in cui il protagonista non è il singolo individuo ma l'insieme dei singoli; in un contesto "positivo", invece, la paura per un evento catastrofico non causerebbe l'atrofizzarsi del buon senso ma catalizzerebbe la sua reazione divenendo
coraggio nell'affrontarlo ignorando, nell'attimo, l'occasione di pensare solo a sé stessi (e lo ripeto: dall'altra parte vi si renderebbe la pariglia).
Riposizionandoci al senso e al contesto da cui è nato questo discorso, eliminare le prime significherebbe far pendere l'ago della bilancia verso le seconde assecondandone il loro effetto; va da sé che non dev'essere prerogativa di qualcuno anziché di un altro.
In merito ai rapporti umani non posso adirarmi se non v'è nulla che possa provocarmi poiché mancherebbe, a rigor di logica, la possibilità (quindi volontà) all'altro di esercitarla a sua volta. E siccome si è immersi in un sistema, come ho già detto, ove tutto si ripercuote su tutto allora vi sarebbe una privazione a monte di potenziali difficoltà in ambito relazionale.
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E in ogni caso, supponendo che si possono eliminare in qualche modo queste emozioni, e che queste servono esclusivamente nei nostri rapporti e in nessun altro caso(ipotesi assurda) non è detto che le cose vadano meglio, sarebbe tutto da dimostrare. Anzi intuitivamente non ci sono valide ragioni(a mio parere) per pensare che le cose vadano meglio, che in fondo è l'oggetto di questa discussione.
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Perdona se non ho riportato il resto del tuo commento, ma ciò che si legge subito dopo è un ripetere di quanto già scritto.
Qui mi ricollego a quanto da me annunciato qualche riga più sopra, e il collegamento, che è il senso intrinseco del discorso, viene definito e conosciuto da molti col termine di:
Legge Morale.