Supponiamo che esista una fobia specifica, la psicologofobia. E supponiamo che per qualche motivo sconosciuto esista un tizio che ce l'ha, e che non l'accetti. Così si tormenta, e dice a se stesso ogni giorno "devo superare la psicologofobia", si guarda allo specchio e dice "devo superare la psicologofobia".
Ma non ce la fa.
Allora dice "forse dovrei andare da uno psicologo. E' l'unico che potrebbe guarirmi.". Ma come fa? Ha paura dello psicologo.
Insomma, sto tizio va avanti per tanto tempo, diciamo anche anni, finché ad un certo punto dice: "basta, da oggi in poi ogni mio pensiero sarò dedicato ad andare da uno psicologo e superare la mia psicologofobia".
Così, il primo giorno, si concentra da quando si alza alla mattina, fa per andare al lavoro, poi il capo lo chiama urgente perché è successo un casino e deve assolutamente porre rimedio. Dopo aver affrontato l'incombenza è troppo stressato. "Riproverò domani".
Il secondo giorno, riesce a pensare al suo proposito per quasi tutto il giorno, è convinto che appena tornerà a casa chiamerà uno psicologo, ma sulla via del ritorno la mamma lo chiama dicendogli se può per favore andare a prendere il latte che è finito. E già che c'è, un po' di uova, un chilo di pane, dei petti di pollo, sei bottiglie d'acqua, una damigiana di vino, due confezioni di fusilli barilla, farina, sale, zucchero, the.
Carico come un mulo arriva a casa con le braccia dolenti e decide che anche quello non è un giorno adatto.
Il terzo giorno non si fa scoraggiare, prende le pagine gialle in mano, cerca alla voce Psicologi e ne trova uno.
"Ce l'ho fatta!".
L'indomani va dallo psicologo, e gli dice "sa, soffrivo di psicologofobia, ma ora che sono qui non ne soffro più, quindi lei non mi serve, piacere di averla conosciuta, arrivederci!".
E se ne va bello giulivo saltellando.
Perché vi ho raccontato questa stronzata? Perché credo che sia il travaglio di chiunque abbia provato a curarsi di qualcosa, sebbene estremizzato. C'è un problema di "volontà", spesso minimizzato come il semplice "non aver voglia di far qualcosa", quando spesso le problematiche sono molto più complesse e risiedono in ragioni inconscie di cui non siamo consapevoli, ma che portano all'autosabotamento.
Ma quando una persona vuole reagire, reagisce a 360 gradi solitamente. Almeno, a me capita così.
Sicché, che sicurezza ho che sia la terapia ad essermi servita, e non il mio mutato atteggiamento, che oltre ad avermi fatto andare dal terapista, mi ha fatto fare cose che normalmente non avrei fatto? Mi ha fatto ricominciare con la ginnastica, mi ha fatto diminuire drasticamente l'uso di facebook, mi ha spinto a non evitare occasioni sociali con amici e conoscenti, ecc.
Tutte le volte che sono stato da uno psic, in effetti, sono sempre stato riconosciuto (almeno inizialmente) come una persona proattiva, determinata, piena di vita, quasi da dirmi "ma tu che cazzo ci fai qua?". Quando era solo una facciata, un lato di una personalità ben più incasinata, e abituata a mostrare i lati migliori o peggiori a seconda del contesto.
Nello stesso tempo non vedo la possibilità che io vada da uno psicologo senza che sia riuscito in qualche modo a fare un cambio paradigmatico della mia vita: dovrei farmici trascinare a forza, ma non sono così messo male, e inoltre io non ho la "psicologofobia".
Chiaramente questo paradosso mi fa procrastinare la ricerca di un terapeuta, e quindi è un fottuto circolo vizioso. Che dire, boh! Magari un giorno smetterò di evitare di punto in bianco.
Magari quel giorno sarà il giorno in cui sarò riuscito a prendere l'appuntamento, e gli racconterò che ho fatto baldoria in discoteca, conosciuto un sacco di gente, limonato una ragazza di cui neanche ricordo il nome, ma soffro di disturbo evitante.
Poi ci credo che non sono convincente.