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Vecchio 11-01-2007, 23:16   #1
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L'avatar di andrea870
 

La parte sul complesso di pinocchio è molto interessante e la vedo connessa alla fs.

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Rivista di PSICOLOGIA INDIVIDUALE

La vergogna e il «Complesso di Pinocchio»



Anno XXVI, Gennaio-Giugno 1998, Numero 43
Riv. Psicol. Indiv., n. 43: 15-29 (1998).
Michael Titze



Summary - SHAME AND PINOCCHIO COMPLEX. Many patients suffer to feel strange and ridiculous. Since their childhood they have been passing through failures, disappointments and humiliations which have generated a feeling of shame. When they were children, they always had to remember narcissistic needs of their parents and lf they hadn't did it they would have suffered extremely negative consequences: the ruinous loss of parental love. These boys don't feel part of the group and they don't realize to be human being made of flesh and blood, so the tension of their body lets them appear «like if» they were puppets, developing the «Pinocchio Complex» which regards the «gelotophobia» (from Greek gelos = laughter), the fear to be teased or mocked. The family therapists Almuth Sellschoopp-Ruppel and Michael von Rad propose the treatment of the so called «Pinocchio syndrome» through a particular way of humorous dramatization: the humordrama.

Keywords: SHAME, PINOCCHIO COMPLEX, HUMORDRAMA


I. Premessa

Nel mio lavoro di psicoterapeuta incontro giornalmente molti pazienti che soffrono per il fatto di sentirsi strani e ridicoli. Fin dall'infanzia essi hanno dovuto subire umiliazioni, fallimenti e delusioni che hanno generato una sensazione di vergogna: nonostante cerchino la vicinanza, il riconoscimento e, soprattutto, l'amore degli altri esseri umani, questi individui fuggono sempre davanti agli altri, perché non si sono mai sentiti né amati né accettati dal prossimo né parti integranti d'un gruppo. Per questo motivo sono profondamente soli. Il sentimento frustrante di non essere amati, sempre presente, esisteva già in giovane età, quando, durante l'infanzia, genitori egocentrici non sono stati in grado di aprir loro la porta verso il «deposito della vita» (14, p. 90).

I terapeuti della famiglia Almuth Sellschopp-Rüppell e Michael von Rad [17] hanno descritto le caratteristiche di personalità di tali genitori:
eccessiva pretesa verso il bambino d'un comportamento leale, solo nei loro confronti, la qual cosa crea un legame troppo intenso, fonte di conflitti insolubili nel rapporti con le persone estranee al nucleo familiare. I genitori, che non possono vivere senza il bambino, danno vita a un processo di parentification: la «genitorizzazione». Si verifica, quindi, un «inversione generazionale», perché il bambino deve fungere da padre o da madre ai propri genitori, che lo abbandonano proprio nel momento in cui avrebbe bisogno d'aiuto;
consueta presenza d'un padre apparentemente forte e d'una madre instabile e insicura;
elevata frequenza d'una ideologia troppo rigida relativa a ciò che è «giusto» o a ciò che è «sbagliato»;
fiducia incrollabile nella propria bontà e generosità, che non lascia spazio alcuno a un'autocritica rigorosa.
Questi genitori non sono capaci di preparare il bambino per la vita all'interno d'una comunità, funzione che, secondo Alfred Adler, è, invece, la più importante dell'educazione. La vita comunitaria comporta la rinuncia ai propri interessi «privati», che derivano dal forte desiderio di godere, almeno nell'ambito della famiglia, di una certa «importanza». Questi genitori valutano in modo negativo l'espansivo desiderio dei loro bambini di instaurare rapporti extrafamiliari, perché desiderano «possedere» un essere, che sia solo per loro e facile da curare, come una bambola: vogliono un bambino che sia ben educato, gentile, bravo, che possa essere esibito agli altri, che si lasci dirigere e governare senza problemi. La vivacità d'un bambino in carne e ossa li irrita e li rende nervosi, per il semplice fatto che non possono apprezzare la sua contentezza e i suoi stupidi scherzi. Questi genitori reagiscono con atteggiamenti di acuta gelosia, pur non ammettendolo, se i figli incontrano altri bambini. Perché? Perché gli altri bambini possono esercitare un influsso negativo, allontanando dalla famiglia colui che ritengono essere di loro proprietà!

Per questo motivo i genitori egocentrici si adirano spesso se il bambino vuole andare per la propria strada: egli non deve fare nulla che gli possa far piacere, sentendosi, perà, costantemente obbligato a regalare, con la sua costante presenza, «ben-essere» ai genitori. I genitori fin dall'infanzia hanno sofferto per il fatto di essere stati trattati male, per cui il figlio «deve» compensare le molte delusioni emozionali e le umiliazioni da loro subite nel corso di una vita inappagante. Per far ciò, il bambino è costretto ad assumersi il ruolo di care taker: si prende cura, si occupa sempre del papà e della mamma. In altre parole, il bambino deve tenere sempre presente le narcisistiche necessità dei propri genitori, come è ribadito negli assunti teorici della «Psicologia del Sé [10, 12]. Se il bambino non lo facesse, subirebbe le conseguenze estremamente negative della privazione rovinosa dell'amore parentale, che gli causerebbero un acuto sentimento di vergogna. Il genitore pub privare del suo amore il bambino ignorandolo, mostrandosi offeso, brontolando per ore, rimproverandolo, minacciando catastrofi, versando abbondanti lacrime, dicendogli: «Per colpa tua avrò un infarto e dovrò morire!».

I bambini in questione percepiscono, quindi, di non avere un rapporto stabile con le figure di riferimento (significant others), da cui si sentono abbandonati, trascurati, perché devono adattarsi in modo unilaterale ai loro bisogni narcisistici.


II. La coscienza sporca

Carlo Collodi [6] ha descritto in modo molto preciso una madre di questo tipo proprio attraverso la Fata, che rappresenta perfettamente una personalità priva di coerenza, ambivalente ed egocentrica, in quanto non possiede ciò che Adler definisce Gemeinschaftsgefühl: questa donna, animata solo dalla volontà di potenza, tratta Pinocchio da stupido. Una volta si comporta da «buona mamma», facendo sedere Pinocchio a una piccola tavola apparecchiata e ponendogli davanti pane, cavolfiore condito e confetto, un'altra volta, invece, gli serve pane di gesso, pollastro di cartone e albicocche di alabastro.

Pinocchio prova una grande delusione, vuole piangere e, in preda alla disperazione, desidera gettare in aria il vassoio e quello che contiene, ma forse per il gran dolore o per l'acuta languidezza di stomaco cade a terra svenuto. La Fata è una maestra severa, che abitua Pinocchio a regole di disciplina tanto rigide da farlo diventare un ottimo allievo. Per ricompensarlo, gli permette di invitare tutti gli amici e i compagni di scuola per far festa tutti insieme a casa con un'abbondante colazione: la Fata ha fatto preparare duecento tazze di caffè e latte e quattrocento panini imburrati di sotto e di sopra. Quella giornata si prospettava molto bella e allegra, ma «Disgraziatamente, nella vita dei burattini c'è sempre un ma, che sciupa ogni cosa», scrive Collodi (Ibid., p. 119).

«E la Fata lo guardava e rideva. - Perché ridete? - gli domandò il burattino, tutto confuso e impensierito di quel suo naso che cresceva a occhiate. - Rido della bugia che hai detto. [ ... ] Pinocchio, non sapendo più dove nascondersi per la vergogna, si provò a fuggire in camera, ma non gli riuscì» (Ibid., p. 62). Poco tempo dopo, egli è colpito da gravi rimorsi di coscienza nei confronti della Fata, madre insensibile. Discorrendo tra sé, dice: «Come farò a presentarmi alla mia buona Fatina? Che dirà quando mi vedrà? ... Vorrà perdonarmi questa seconda birichinata?... Scommetto che non me la perdona: oh, non me la perdona di certo! E mi sta di dovere: perché io sono un monello che prometto sempre di correggermi e non mantengo mai» (Ibid., p. 116). Questo esempio ci fa comprendere i dinamismi sottesi all'insorgere d'una coscienza sporca, che causa un sentimento di vergogna, come viene mirabilmente descritto da Friedrich Nietzsche [15]. Questa coscienza contiene norme private, che spesso determinano un effetto strano per il fatto che non agiscono sul piano razionale, essendo state interiorizzate dal bambino per mantenere un legame con i genitori che, in ogni caso, determinano la sua sorte.


III. La genitorizzazione

In questo contesto, l'effetto della genitorizzazione si manifesta in modo molto evidente: Pinocchio diventa un bambino che dimentica i propri bisogni. La tendenza a dimenticare se stesso è provata da un'espressione esclamata da Pinocchio dopo aver saputo che la «povera Fata» giace in un letto all'ospedale: «Oh che grande dolore, che mi hai dato! Oh, povera Fatina! Povera Fatina! Povera Fatina!... Se avessi un milione, correrei a portarglielo... Ma lo non ho che quaranta soldi... Eccoli qui: andavo giusto a comprarmi un vestito nuovo. Prendili, Lumaca, e vai a portarli subito alla mia buona Fata! [...] Finora ho lavorato per mantenere il mio babbo: da oggi in là lavorerò cinque ore di più per mantenere anche la mia buona mamma» (6, p. 168).

Quest'insolita compassione è tipica del processo di genitorizzazione: il figlio deve assumersi ogni responsabilità e prendersi cura della madre, che si comporta da bambina, da piccola sorella bisognosa. In questo ruolo la Fata è, letteralmente, «morta» per Pinocchio: non può dargli assolutamente niente, né la sicurezza, né le cure amorevoli, di cui ogni figlio ha bisogno.

«E gli assassini sempre dietro. E dopo una corsa disperata di quasi due ore, finalmente tutto trafelato arrivö alla porta di quella casina e bussà. Nessuno rispose. Tornò a bussare con maggior violenza, perché sentiva avvicinarsi il rumore del passi e il respiro grosso e affannoso de suoi persecutori. Lo stesso silenzio. Avvedutosi che il bussare non giovava a nulla, cominciò per disperazione a dare calci e zuccate nella porta. Allora si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un'immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto, la quale, senza muovere punto le labbra (tutti «segni» di una comunicazione non-verbale), disse con una vocina che pareva venisse dall'altro mondo: In questa casa non c'è nessuno. Sono tutti morti. - Aprimi almeno tu! - gridò Pinocchio piangendo e rammaricandosi. - Sono morta anch'io. - Morta? e allora che cosa fai costí alla finestra? - Aspetto la bara che venga a portarmi via» (Ibid., pp. 51-52).

Ciò che la Fata fa per se stessa è, però, proibito a Pinocchio: lui non ha il diritto di lasciare questa bambina sleale, di essere anche lui «morto» per lei. Se egli cammina per strada, la Fata gli procura grossi sentimenti di colpa. Quando Pinocchio stesso si avvicina alla casina della Fata, «ebbe una specie di triste presentimento e, datosi a correre con quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trovà in pochi minuti sul prato, dove sorgeva una volta la casina bianca. Ma la casina bianca non c'era più. C'era invece una piccola pietra di marmo, su la quale si leggevano in carattere stampatello queste dolorose parole:

QUI GIACE
LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI
MORTA DI DOLORE PER ESSERE STATA ABBANDONATA
DAL SUO FRATELLINO PINOCCHIO (Ibid., p. 82).

Pinocchio cade bocconi per terra e, coprendo di mille baci quel marmo mortuario, esplode in un accorato scoppio di pianto. Piange tutta la notte e la mattina dopo, sul far del giorno, piange ancora, sebbene negli occhi non abbia più lacrime: le sue grida e i suoi lamenti sono cosi strazianti e acuti, che tutte le colline all'intorno ne ripetono l'eco. Egli piangendo dice: «Oh Fatina mia, perché, sei morta? Perché, invece di te, non sono morto io che sono tanto cattivo, mentre tu eri tanto buona? [...] Oh, Fatina mia, dimmi che non è vero che sei morta! Se davvero mi vuoi bene, se vuoi bene al tuo fratellino, rinvivisci, ritorna viva come prima!... Non ti dispiace a vedermi solo e abbandonato da tutti?» (Ibid., p. 83).

La paura di essere abbandonato lo porta a una disposizione cosi altruistica, che ogni interesse per il proprio lo viene perso. I bambini appartenenti a questa tipologia sono fissati e orientati unicamente sul mondo dei genitori: sono dei veri specialisti per quanto riguarda i loro bisogni, le loro opinioni e attese, le loro norme ideali, in breve, la loro logica privata, identificandosi con la loro concezione del mondo. Oltre a ciò, non esiste nient'altro: non hanno né il permesso né la possibilità di imparare e di applicare le regole della vita sociale, perché ciò significherebbe potersi dedicare ad altre persone, volgendo le spalle ai genitori. Incapaci di relazionarsi con i coetanei, manca loro qualcosa di importante, il cosiddetto «buon senso», che Adler definiva common sense [3].


IV. L'identità di «individuo strano»

Un giovane, che tratta gli altri adolescenti «come se» fossero la madre o il padre, genera naturalmente un effetto strano. Gli altri lo trovano «buffo», perché il suo comportamento non corrisponde alle aspettative generali. Questa è un'esperienza molto dolorosa: un'esperienza, che gli dimostra ch'è un estraneo tra estranei. Di conseguenza, prima o poi, si tirerà indietro per rifugiarsi in seno alla famiglia d'origine o nel mondo solitario della fantasia. Sembra, a dire il vero, che i giovani in questione abbiano ottimi rapporti con i genitori, che siano esperti nel prendersi cura di loro e che sviluppino una strana forma di altruismo familiare. Pur essendo forse già maggiorenni, accompagnano, per esempio, genitori in chiesa, vanno sempre in vacanza insieme etc.

Molto spesso si è portati a credere che si tratti di figli molto viziati. Ma l'apparenza inganna! In realtà essi si sentono a disagio: sono loro, che devono viziare i loro genitori, che devono appagare i loro desideri, dare un senso alla loro vita e attenuare un destino opprimente, per il quale non sono responsabili.

Adler [1] ha evidenziato che la motivazione che induce a viziare i bambini, legandoli a sé in modo esagerato, è l'egocentrismo dei genitori e che il primo dovere d'una madre o d'un padre consiste nell'aprire al figlio ogni possibilità sociale, stimolandolo a entrare nel mondo e ad allontanarsi di casa: ai bambini viziati - negata questa possibilità. Essi soffrono, perciò, molto spesso di sintomi psicosomatici molto tipici, che sono espressione di quella caratteristica mancanza di sicurezza, che avvertono tutti gli individui incapaci di partecipare alla vita sociale, perché non hanno imparato le norme universali, che regolano la nostra esistenza. Per loro la vita familiare è una prigione dorata, dove sono fondamentali le regole private. Colui che si è adattato soltanto a questi ruoli non è in grado di seguire la complicata logica della convivenza sociale, che Immanuel Kant definiva sensus communis [9].

Questi giovani, dunque, devono accorgersi con dolore del fatto che sono afflitti da un deficit: manca loro ciò che per gli altri costituisce una condizione davvero vitale, in quanto essi devono riconoscere che non «fanno parte del gruppo». Per questo motivo sono regolarmente molto insoddisfatti di se stessi nel confronto con gli altri, che vivono in armonia con la vita sociale. Questi «altri» non sono, però, solo invidiati, ma anche temuti, poiché diventano spesso cattivi, prendendoli in giro e deridendoli.

Per questo motivo, i giovani tormentati da queste emozioni fuggono spesso in un mondo irreale, dove sviluppano caratteristiche megalomaniche. La Psicologia del Sé [10, 12] considera tali fantasie come prodotti «narcisistici». Qualcuno potrebbe asserire che, in fondo, si tratta dell'espressione esagerata dell'aspirazione alla superiorità oppure di egocentrismo, fenomeno comunque antisociale, ma questi giovani sono carenti di sentimento di comunità non per motivazioni immorali, ma perch6 sono sempre stati scoraggiati a intrecciare rapporti interpersonali fuori casa: prima si sentivano estranei, poi strani e, infine, imbarazzati a tal punto, da diventare dei burattini ridicoli, ma che, come l'eroe collodiano, temono di essere derisi.


V. Il «Complesso di Pinocchio»

Per «Complesso di Pinocchio», pertanto, s'intende il particolare fenomeno della «gelotofobia» (dal greco gelos = risata), cioè la paura di essere canzonati o derisi. Le persone, che ne sono afflitte, non hanno mai imparato a valutare in modo positivo né l'umorismo né il riso. Secondo me, la loro condizione è analoga a quella di Pinocchio che era, come ben si sa, un burattino di legno, una marionetta priva di rapporti con i «veri» esseri umani. Nella sfera fisica, molte delle nostre emozioni si manifestano attraverso i muscoli e sono comunicate al mondo esterno tramite il nostro comportamento sociale. Quando si diventa preda di una qualsiasi paura, frammista a un senso di vergogna, si genera una tensione muscolare accompagnata da panico. In molti casi, questa reazione ha origine da certe esperienze infantili in cui si è provata vergogna, per aver dovuto limitare o reprimere le inclinazioni istintive che Henri Bergson [5] denominava élan vital, perché non erano consentiti comportamenti di aggressività o di fuga, pena una deprivazione affettiva (love withdrawal) e una mancanza d'attenzione.

In tali situazioni questi bambini hanno vissuto le prime esperienze umilianti, che hanno impedito loro lo sviluppo di una sana fiducia in se stessi. La vergogna li spinge per tutto il corso della vita ad assumere atteggiamenti timidi e schivi: si ritirano dal mondo e diventano dei solitari, dei «lupi della steppa», evitano qualsiasi rischio si presenti nella vita sociale e mirano soltanto a proteggersi dalla derisione e dalle canzonature da parte degli altri. Henri Bergson [5] scrive, infatti, che la società punisce le persone che si allontanano radicalmente dalla comunità, esponendole al ridicolo: esse assumono un atteggiamento teso in modo innaturale, che rende il loro comportamento impacciato «come se» il corpo fosse una bambola meccanica, il che può apparire ridicolo. Questo è il significato della «gelotofobia».

Se i bambini hanno imparato ad adattare il loro comportamento alle norme ideali mostrate da genitori egocentrici, non sono quasi mai in grado di seguire le regole del gioco della vita comunitaria. Così balzano facilmente all'occhio, si mettono in evidenza, perché sono in qualche maniera ridicoli o strani perché dimostrano di essere degli individui «diversi», «a parte», che non sanno che cosa sia, in quel momento, «attuale», di moda, come ei si debba comportare in un gruppo sociale, quale linguaggio si debba usare etc. Cosi questi bambini sono frequentemente rifiutati dagli altri e spesso anche presi in giro: esperienza umiliante che conferma l'opinione dannosa che «in loro qualcosa non funziona». Essi cominciano a controllarsi con diffidenza, vogliono essere impeccabili e perfetti, non farsi notare, ritornando a comportarsi nuovamente come desideravano i loro genitori.

Come in passato questi bambini hanno imparato a fare tutto quello che volevano papà e mamma, cosi nel presente la loro massima aspirazione è quella di far passare piacevolmente il tempo ai loro compagni di gioco, ma finiscono per diventare oggetto di sfruttamento: fanno regali, parlano in modo saputo con gli amici proprio come hanno appreso in famiglia nelle vesti di partner sostitutivi dei genitori. In questo senso la pubertà, in cui il mutuo controllo tra gli adolescenti va crescendo, è una fase particolarmente critica, poiché questi giovani s'interessano sempre più coscientemente al loro aspetto esteriore: si guardano a vicenda per controllare che l'altro» faccia tutto correttamente.

Coloro che soffrono del «Complesso di Pinocchio» cercano di sorvegliarsi in una maniera spesso completamente sbagliata, temendo soprattutto di «apparire» negativamente e di divenire oggetto di critica: se un adolescente non riesce a corrispondere alle aspettative del gruppo di riferimento, è generalmente definito II strano» o «buffo», in quanto non si veste corne gli altri, non - in grado di esprimersi in un «certo» modo o di stringere rapporti di amicizia di nessun tipo. Ne risulta che questi individui si comportano sempre plü stranamente, perché, osservando se stessi con occhi critici, si accorgono di essere «diversi», «non normali», bloccati, sia mentalmente sia fisicamente, per cui sviluppano un «Complesso di Pinocchio».

La tensione interiore e lo stato conflittuale esteriore aumentano talmente da generare sintomi psicosomatici e depressivi: essi si sentono veramente male nella loro pelle, si vergognano davanti agli occhi del mondo, vorrebbero scomparire perché si vivono come strani e ridicoli. Il loro comportamento - causato dalla vergogna. Pub capitare che arrossiscano senza alcun motivo evidente e che la tensione fisica li faccia tremare, balbettare o boccheggiare. A lungo andare perdono ciò che Henri Bergson [5] ha definito «l'elasticità sciolta del vivo»: sembra che portino una maschera, le membra del corpo non si muovono piü spontaneamente, camminano in maniera goffa e maldestra, danno motivo agli altri di prendersi gioco di loro, di canzonarli continuamente, il che non fa altro che aumentare il grado di tensione fisica: diventano, cosi, sempre più simili a degli esseri che, come Pinocchio, non sono fatti di carne e ossa.

La paura di essere presi in giro comincia a ridurre le capacità motorie, dominando sempre di più i pensieri e le azioni. La «gelotofobia», la paura di essere deriso, comporta una frattura esistenziale molto profonda: il riso non viene più vissuto come espressione di gioia di vivere, ma come mezzo terribile di correzione sociale. Colui che avverte sentimenti di vergogna nutre naturalmente interesse per i suoi compagni, che lo puniscono deridendolo per il fatto che non sa adattarsi alla loro socialità vitale, al loro common sense aperto, la qual cosa genera un allontanamento doloroso dalla vita.

Questi ragazzi sentono di non far parte del gruppo, di vivere come in un «paese nemico»: non si percepiscono come esseri umani in carne e ossa, per cui la tensione del loro corpo li fa apparire «come se» fossero dei burattini, come Pinocchio. Spesso è solo l'insicurezza, che genera negli altri quel sorriso canzonatorio temuto più di ogni altra cosa! La conseguenza è, però, il rifiuto delle attività sociali, il ripiegamento, la regressione umiliante, la fuga continua davanti agli altri esseri umani. Come succede a Pinocchio, questa fuga li conduce in un mondo fantastico e irreale, nel quale essi «possono» desiderare, sognare ardentemente grande completezza e infinito potere, elaborando Lina «finzione di perfezione». [21]

Tutto ciò favorisce l'allontanamento dal «senso comune». I traguardi, prefissati nel loro mondo fantasioso, sono troppo grandi per poter essere mai raggiunti, tranne in pochi casi eccezionali: se parlano dei propri desideri di grandezza con gli altri, si rendono, ancora di più, ridicoli. Cosi continua ad aprirsi il circolo vizioso: per diminuire la paura dolorosa della vergogna essi cercano aiuto, forse, nell'uso di droghe, in ambienti esoterici e pseudo-religiosi, che promettono l'illuminazione e la conoscenza cosmica.

Il giovane tenta disperatamente, lavorando senza pausa come un workaholic, di raggiungere prestazioni eccezionali che, finalmente, gli dovrebbero dare il riconoscimento agognato. Se, perà, ogni ricerca e ogni tentativo sono stati vani, se il sentimento frustrante di manchevolezza non scompare, ma aumenta nel corso degli anni, l'allontanamento dal proprio Sé porterà a un completo arresto di ogni attività vitale: Alfred Adler vede in tutte queste cose le premesse per il cosiddetto complesso d'inferiorità.

Gli individui, che abbiamo descritto finora, insomma, sono solitari, sfiduciati, diffidenti: la loro attitudine è «agelotica», non essendo capaci di apprezzare il riso, non avendo mai fatto l'esperienza che «il ridere» possa rappresentare un mezzo di avvicinamento tra le persone, o meglio, un ottimo strumento per crescere in seno a una comunità o a un gruppo.


VI. Teoria e tecnica d'una terapia umoristica

Il trattamento psicoterapeutico non soltanto affranca il paziente dagli «obblighi» dannosi d'una attitudine alla vergogna, che è la premessa per una rinnovata liberazione della forza vitale, originariamente espansiva, d'un individuo umiliato e inibito, ma, dopo il raggiungimento di questa tappa fondamentale, egli pub aprirsi verso una comunità più grande, allenandosi al sentimento sociale, che fino a quel momento era stato imprigionato dalle catene de li obblighi familiari, emancipandosi, quindi, in modo impertinente e audace dal sentimento di vergogna.

Molto spesso, però, il paziente in questione deve essere, in prima istanza, affrancato da un'immobilità, che lo ha inibito spesso per decine di anni. Questa rigidità è la conseguenza d'una profonda diffidenza, poiché colui che si osserva con gli stessi occhi negativi con i quali si sentiva guardato dagli educatori non si renderà più conto delle sue capacità: vede solo i propri errori, si concentra solo sugli sbagli e tutta la sua vita gli appare come un unico grande insuccesso, per cui deve vergognarsi di se stesso. La vergogna lo conduce pian piano a una sorta d'alienazione nei confronti della comunità e della propria forza vitale, che viene repressa e, allo stesso tempo, chiusa in una prigione interiore
Vecchio 28-07-2008, 18:49   #2
Esperto
L'avatar di Lice
 

Topic molto interessante.
Vecchio 28-07-2008, 19:19   #3
Principiante
L'avatar di babu
 

troppo lungo 8) lo leggerò durante la vacanze
Vecchio 28-07-2008, 19:21   #4
Esperto
L'avatar di animaSola
 

---
Vecchio 28-07-2008, 19:30   #5
Intermedio
L'avatar di infelice1
 

gia' interessante,non sapevo di avere anche la gelotofobia,ma forse tutti i sociofobici in fondo hanno un po la paura di essere derisi
Vecchio 28-07-2008, 19:42   #6
Esperto
L'avatar di Lice
 

Quote:
Originariamente inviata da animaSola
Ma non gli si fonde mai il cervello a queste persone x scrivere cosi tanto :roll:
Credo che si sia limitato a fare un copia-incolla... :lol:

Quote:
Originariamente inviata da animaSola
Lice essendo che hai letto tutto facci il riassunto
Basta leggere il paragrafo V, che riassume bene tutto.

P.S. Una decina di giorni fa ho incontrato guscetto dopo l'orario lavorativo...quando va in ufficio si veste da figaccione elegante, dovevi troppo beccartelo! :wink:
Vecchio 28-07-2008, 19:58   #7
Esperto
L'avatar di animaSola
 

...
Vecchio 28-07-2008, 22:12   #8
Intermedio
L'avatar di soloio
 

Mi sento un burattino anche io!
Vecchio 28-07-2008, 23:48   #9
Intermedio
L'avatar di Maibaciato
 

L'ho letto tutto d'un fiato. Corrisponde pari pari alla mia esperienza.
Vecchio 28-07-2008, 23:51   #10
Esperto
L'avatar di calivero
 

Quote:
Originariamente inviata da babu
troppo lungo 8) lo leggerò durante la vacanze
quoto, ma poi chi è l'autore?
mai sentito di questo fantomatico complesso
Vecchio 29-07-2008, 01:23   #11
Intermedio
L'avatar di Viaggiatore
 

Temo purtroppo di soffrirne in parte, ho molta paura d essere preso in giro e ho avuto alcuni problemi cn mio padre dal punto di vista della genitorializzazione
Vecchio 08-05-2010, 14:33   #12
Esperto
L'avatar di Labocania
 

Scopro oggi che è dall'infanzia che soffro di gelotofobia. Non riesco a reggere lo sguardo di una donna che sorride nemmeno in fotografia!
La sindrome di Pinocchio poi si adatta bene alla mia esperienza.

Questa consapevolezza però non è che mia aiuti molto però.
Vecchio 08-05-2010, 17:55   #13
Esperto
L'avatar di vikingo
 

allora non ho avuto genitori egocentrici,molte cose corrispondono...
il mio problema piu grosso e sempre stata la rigidita del mio corpo,che negli ultimi anni sono riuscito ad allentare,da ragazzino mi muovevo come un robot...
purtoppo in contesti nuovi non e facile sentirmi a mio agio con l'ansia che mi pervade,pero' ho imparato a sorridere,e ad ironizzare,e questo aiuta molto l'immagine che uno da di se...
Vecchio 08-05-2010, 18:04   #14
Esperto
L'avatar di vikingo
 

non riesco a guardara delle mie foto a volte in presenza di altri...
Vecchio 08-05-2010, 19:08   #15
Esperto
L'avatar di calinero
 

e se uno ha il complesso di finocchio?
cioè crede di esser gai, invece ha solo un po' paura delle girl ???
Vecchio 08-05-2010, 19:13   #16
Intermedio
L'avatar di soloio
 

Quote:
Originariamente inviata da soloio Visualizza il messaggio
Mi sento un burattino anche io!
L'articolo si conclude casualmente sintetizzando la sensazione che io, come probabilmente molti altri, provo: la propria forza vitale come rinchiusa in una prigione interiore.
Mi ritrovo in molti punti trattati.
E la gelotofobia che in me è scaturita è cio' che in modo definitivo mi ha rovinato la vita.
Ho sempre pensato che se avessi avuto in passato la fortuna di incontrare una persona che si fosse avvicinata a me in maniera "corretta", probabilmente l'avrei avuta la chiave per evadere da questa prigionìa.
Ed invece, a causa della mia particolare sensibilità, non sono mai riuscito a "fidarmi" di chi si approcciava a me mostrandomi affetto, attenzione o semplicemente attrazione.
Perchè fidarsi avrebbe significato, in quel momento, provare il rischio di sostituire lo sguardo critico, denigratorio dell' "amorevole" figura genitoriale, con quello di una nuova figura di riferimento, che, se si fosse dimostrata anche questa instabile, inconsistente, distaccata, poco rassicurante o insensibile avrebbe però arrecato solo ed esclusivamente ulteriore danno.
Questo è ciò che cercavo e speravo di trovare nell'altro sesso: un riferimento.
Un qualcosa che ahimè è impossibile da comprare anche disponendo di tutto l'oro di questo mondo.

Ma forse è solo ora, con le informazioni che ricevo dalla rete, che riesco a comprendere le vere dinamiche di una vita alla deriva.

Ultima modifica di soloio; 09-05-2010 a 02:09.
Vecchio 28-06-2010, 19:35   #17
Principiante
L'avatar di Heiwa
 

ciao, ho trovato per caso questo vecchio thread e l'ho letto tutto con interesse è incredibile quanti danni possano fare dei genitori che vogliono troppo bene...
Vecchio 28-06-2010, 20:20   #18
Principiante
L'avatar di Heiwa
 

Quote:
Originariamente inviata da shady74 Visualizza il messaggio
E' vero, però fanno anche danni i genitori che ignorano i problemi del figlio facendo finta che non esistano, come nel mio caso.
A volte se ti vogliono troppo bene credono e vogliono che tu sia perfetto, non vogliono accettare il fatto che il/la figlio/a adorato/a abbia dei problemi... Almeno questo è quello che penso io
Vecchio 28-06-2010, 20:41   #19
Esperto
 

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
Scopro oggi che è dall'infanzia che soffro di gelotofobia. Non riesco a reggere lo sguardo di una donna
Io invece ti batto
Non è necessario che sorrida...

Ultima modifica di Winston_Smith; 28-06-2010 a 21:10.
Vecchio 28-06-2010, 21:08   #20
Esperto
L'avatar di TimeBomb
 

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
Scopro oggi che è dall'infanzia che soffro di gelotofobia. Non riesco a reggere lo sguardo di una donna che sorride nemmeno in fotografia!
La sindrome di Pinocchio poi si adatta bene alla mia esperienza.

Questa consapevolezza però non è che mia aiuti molto però.
Che tenero
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