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Vecchio 12-04-2013, 10:28   #121
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O come il colore rosso premonitore nel Capolavoro di Roeg:

http://www.fobiasociale.com/il-cinef...41/#post717346

Vecchio 15-04-2013, 10:47   #122
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O come il colore rosso premonitore nel Capolavoro di Roeg:

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'Sto copione
Vecchio 15-04-2013, 14:14   #123
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Eh... copiato pure lui dalla Grecia. Ma anche in Shining di kubrick c'è la stessa cosa... in realtà è davvero molto diffusa come tecnica premonitrice, diciamo. La Grecia ha gettato le basi in talmente tanti aspetti... e ora si preoccupano dello spread e hanno svenduto i frontali del partenone.
Vecchio 01-08-2013, 00:36   #124
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E' con grande gioia che mi accingo a riprendere, dopo aver ritrovato ispirazione e lucidità, il mio topic prediletto. Che l'Eccelso ci assista

Non ho ancora molto da dire sul IV canto al quale ci eravamo fermati (sempre che altri graditi ospiti vogliano intervenire): aggiungo solo che dal punto di vista stilistico e narrativo esso segna un ritorno, dopo la parziale eccezione di Caronte, ai personaggi che sono poco più che puri emblemi, e alla descrizione di gruppi di anime caratterizzate da un sintetico, pur se spesso efficace, attributo (Cesare con li occhi grifagni, il Saladino solo, in disparte). Anche l'allegoria riprende un ruolo preponderante, con la descrizione delle sette cerchia di mura del castello e del fiume da cui è circondato, attraversato come terra dura dai poeti (le sette arti liberali? le porte della conoscenza?). A mio avviso, gli spiriti magni sono ancora molto più degli exempla che degli individui concreti, forse perché del resto la loro funzione principale nel poema è quella (rappresentare il massimo grado di perfezione a cui l'uomo può giungere con le sue sole forze) o comunque perché l'intento moralistico è ancora prevalente in Dante a questo punto della composizione del Poema. In particolare è da notare come l'incontro con i poeti più importanti dell'antichità venga messo sotto la luce del reciproco onore (parola chiave del canto) che essi tributano l'un l'altro, mentre vengano taciuti gli argomenti "tecnici" di discussione sull'arte poetica di cui Dante ci fa immaginare abbiano parlato, senza però entrare nei dettagli:

Così andammo infino a la lumera,
parlando cose che ’l tacere è bello,
sì com’era ’l parlar colà dov’era


con un tocco di realismo che sarà ripreso in altri momenti successivi (durante il viaggio, come in un normale viaggio sulla Terra, non tutto ciò che si dice e si fa è degno di nota o affine al tema principale).


Se nessuno ha qualche altro intervento da fare, direi che si può fissare il 15 agosto come termine per la lettura del V canto e l'inizio dei commenti. Buona lettura.
Vecchio 15-08-2013, 19:26   #125
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L'ora è giunta

Sempre sperando che qualcuno abbia voglia di intervenire, ché i monologhi non sono il mio forte, posto per ora solo qualche impressione sulla prima parte del canto, quella dell'incontro con Minosse. Siamo ora davvero dove non è che luca, nell'Inferno vero e proprio, e Dante ci tiene a sottolineare lo stacco con quanto si è visto in precedenza (il secondo cerchio, quanto è più piccolo del primo, tanto più dolore racchiude, e punge a guaio). La figura di Minosse, con quello stavvi posto a inizio verso, accentua ancora di più il distacco e richiama Caronte sia nell'aspetto spaventoso sia nell'invito a ripensare l'opportunità di continuare il cammino. Non a caso Virgilio ripete a lui (e farà altrettanto con Pluto) la stessa formula usata con il nocchiero per comunicargli l'insuperabile volere divino. I guardiani dei cerchi dell'Alto Inferno, da Minosse in poi, non hanno molto più della loro "presenza scenica" per incutere timore al pellegrino, e tutta la messinscena, appunto, dei loro incontri con Dante e Virgilio sembra quasi un rito (d'iniziazione?) in cui ognuno di loro recita un ruolo predefinito, che si traduce alla fine nel lasciapassare per l'iniziato. C'è del grottesco, forse, in questo (grottesco che invece era praticamente assente in Caronte, che manteneva molto dell'impostazione classica virgiliana), e direi senza dubbio nel processo post mortem e post iudicium Dei che Minosse intenta a tutte le anime dannate (per non parlare del particolare della coda che si avvolge sul petto, con tanti giri quanti ne corrispondono al cerchio infernale di destinazione). Non c'è davvero bisogno che esse dicano la loro colpa e ascoltino la sentenza che spetta loro, dato che tutto è già noto e deciso da ben altra autorità. Questa non è altro che una formalità, forse necessaria ad esplicitare davanti all'anima dannata la colpa che la condanna, di certo un rito di passaggio come quello dell'Acheronte.

Ultima modifica di Winston_Smith; 17-08-2013 a 19:15.
Vecchio 17-08-2013, 19:36   #126
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Proseguo (spero non da solo ^^) nell'analisi del canto.
Il primo impatto di Dante con l'atmosfera del secondo cerchio (e dunque con quella dell'Inferno propriamente detto), mi ricorda, non saprei dire quanto appropriatamente, quello del Poeta con l'Antinferno. In entrambi i casi, infatti, le prime impressioni sono soprattutto uditive (sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle
tra gli ignavi, mentre nel cerchio dei lussuriosi sono le dolenti note a farsi sentire e il pianto a percuotere l'orecchio del viandante) e "atmosferiche" (nel canto III il tumulto delle voci in mille lingue e accenti diversi crea un turbine che rotea come la rena quando turbo spira, nel canto V il luogo mugghia come fa mar per tempesta).
Una differenza, però, pare potersi intuire: nel caso degli ignavi il tema dominante è quello dell'immensa moltitudine di persone, che per la prima volta in assoluto si offrono allo sguardo di Dante (ch’i’ non averei creduto / che morte tanta n’avesse disfatta). Lo stupore nel sentire espressioni di dolore in tutte le lingue del mondo e così disperate non può che turbare il pellegrino (per ch’io al cominciar ne lagrimai). Nel caso dei lussuriosi, invece, la rappresentazione della bufera infernale è già funzionale alla concreta presentazione del particolare tipo di peccato commesso da costoro: la sottomissione della ragione al talento, all'istinto, che come in vita li ha fatti errare senza una meta precisa, così nell'aldilà li mena di qua, di là, di giù, di su. Non a caso Dante riconosce subito il tipo di colpa punita in questo cerchio (a differenza che per gli ignavi, per i quali chiede spiegazioni a Virgilio) già solo osservando la loro condizione. E così detta l'epigrafe che può essere considerata la chiave di lettura dell'intero canto, nei suoi diversi livelli interpretativi:

Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento

Ultima modifica di Winston_Smith; 15-05-2014 a 13:15.
Vecchio 24-08-2013, 18:45   #127
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L'avatar di Labocania
 

Finalmente siamo giunti all'inferno vero e proprio!

Sì Minòs appare proprio come una presenza grottesca ma nonostante l'aspetto sgradevole lo si può immaginare preso dall'intento di conservare la sua dignità regale col contegno che mostra nell'esercizio del suo ufficio. Un giudice infernale non può che essere una triste parodia di un giudice terreno: incompetente perché privo di qualsiasi nozione del vivere moderno e quindi di dottrina e teologia cristiana, è solo un automa che solo per un momento smarrisce la sua disumanità di fronte all'incredibile presenza di un'anima viva nella dimora di quelle perdute.

"Ora incomincian le dolenti note" quante volte in contesti più o meno seri abbiamo e con qualche variante, abbiamo sentito ripetere questo verso nel parlare comune? E' talmente popolare questo canto che l'approccio nella sua rilettura rischia di essere un po' superficiale per la presunzione di sapere già tutto. Così quando si arriva a leggere la terzina:
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento


si può credere che sia superfluo che il poeta precisi di aver capito a cosa corrisponda la punizione della bufera infernale. Naturalmente una lettura così semplificatrice è errata! In questo intendimento del poeta c'è già tutta la drammaticità del canto.
Vecchio 25-08-2013, 11:49   #128
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Sono contento che qualcun altro sia voluto intervenire

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Sì Minòs appare proprio come una presenza grottesca ma nonostante l'aspetto sgradevole lo si può immaginare preso dall'intento di conservare la sua dignità regale col contegno che mostra nell'esercizio del suo ufficio. Un giudice infernale non può che essere una triste parodia di un giudice terreno: incompetente perché privo di qualsiasi nozione del vivere moderno e quindi di dottrina e teologia cristiana, è solo un automa che solo per un momento smarrisce la sua disumanità di fronte all'incredibile presenza di un'anima viva nella dimora di quelle perdute.
La rappresentazione dei guardiani dei cerchi dell'Alto Inferno, in effetti, può essere addirittura equiparata a quella di automi. Come ho già detto, non riesco a non considerare un formulario prestabilito le battute che vengono scambiate tra Virgilio e Minosse (tra l'altro, dopo il famoso Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole ecc. non viene neanche riportata la reazione di Minosse, a differenza di quanto fatto per Caronte), così come non ritengo credibile che Dante non si sia accorto della ripetitività di queste situazioni, che quindi dovrebbe essere voluta.
Resta però, secondo me, il cotanto uffizio che, automatico e puramente formale quanto si vuole, conserva un residuo di dignità autentica in quanto esplicazione del volere divino. E' sorprendente notare, a questo proposito, come tutti i demoni dell'Alto Inferno non oppongono resistenza al viaggio di Dante, in quanto anche loro sono esecutori dei decreti di Dio (nella fattispecie, del Dio giudice).

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"Ora incomincian le dolenti note" quante volte in contesti più o meno seri abbiamo e con qualche variante, abbiamo sentito ripetere questo verso nel parlare comune? E' talmente popolare questo canto che l'approccio nella sua rilettura rischia di essere un po' superficiale per la presunzione di sapere già tutto. Così quando si arriva a leggere la terzina:
Intesi ch’a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento


si può credere che sia superfluo che il poeta precisi di aver capito a cosa corrisponda la punizione della bufera infernale. Naturalmente una lettura così semplificatrice è errata! In questo intendimento del poeta c'è già tutta la drammaticità del canto.
La lettura superficiale può essere legata a vari altri passaggi strafamosi del canto (così come per altri canti di questa prima parte dell'Inferno, che sono i più saccheggiati dalle citazioni della cultura popolare), ma anche all'interpretazione stessa del canto. La chiave di lettura è proprio nella terzina in cui si dichiara la gravità del peccato consistente nel sottomettere la ragione al semplice desiderio istintivo, che non considera le conseguenze e il danno che un'azione non meditata può arrecare a sé stessi e agli altri. Certe riletture romantiche e soprattutto moderne, pseudoromantiche, in un'epoca come quella odierna in cui si tende a svalutare la razionalità, tendono invece a esaltare al massimo gli elementi di una presunta solidarietà del poeta verso Francesca, quasi come se in cuor suo considerasse il suo peccato veniale e quasi scusabile. Invece non c'è contrasto tra l'uomo e il cristiano, nel senso che entrambi considerano la pena giusta. E' un sentimento diverso, quello di pietà per la triste sorte di persone per certi aspetti stimabili e per come le loro potenzialità si siano smarrite e degradate, che fa giungere alle lacrime e allo svenimento il Poeta. Questo sentimento sarà suscitato anche da altri dannati dell'Inferno e sarà motivo di poesia "alta" (cioè tragica, nel senso in cui il termine veniva inteso all'epoca di Dante).
Vecchio 23-03-2014, 13:59   #129
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Il 2014 è l'anno dei miei trentacinque anni, quindi non posso esimermi dal proseguire il cammino alla ricerca della diritta via. Dai Winston, ché dopo ti sentirai meglio.

Riprendiamo le trasmissioni

Dunque, eravamo al quinto canto dell'Inferno, con all'ingresso in scena della prima moltitudine di dannati a tutti gli effetti. Chi sono costoro? Per Dante sono i peccator carnali / che la ragion sommettono al talento. La definizione non lascia spazio ad equivoci, così come la descrizione della pena, dove la bufera infernal simboleggia efficacemente quel talento, quell'istinto, quel capriccio che va di qua, di là, di su, di giù senza senso e senza direzione prestabilita. Si può dire che tutto o quasi l'Inferno sia la conseguenza delle azioni esercitate da chi ha tradito la ragione (impedendole di esercitare il suo compito di moderatrice della violenza e dei sentimenti negativo e di indirizzare le passioni e i sentimenti in sé positivi o non necessariamente negativi verso un fine superiore) e da chi invece ha lasciato che la ragione stessa tradisse il suo compito e venisse usata per compiere il male (i frodolenti).
In più il motivo particolare di questo canto sta nel fatto che Dante stesso ha vissuto esperienze molto vicine a quelle descritte, specialmente dal punto di vista della poetica d'amore cortese che qui viene incarnata nel personaggio concreto di Francesca e che Dante qui oltrepassa per dirigere la sua poesia e la sua vita verso un idea d'amore che si liberi dal legame con la realtà dei sensi e si avvicini all'amore nel senso più cristiano del termine (tale processo arriverà a compimento quando nel Paradiso terrestre Beatrice gli farà notare che proprio la sua morte avrebbe dovuto fargli capire che la sua bellezza fisica, la bella persona come dice Francesca, non era che il primo gradino di un processo di elevazioni spirituale ben più lungo, e il meno importante).

Se qualcuno vuole contribuire con osservazioni, impressioni, sfottò è il benvenuto.
Vecchio 30-03-2014, 23:02   #130
Esperto
 

I miei topic sono sempre un successone

Aggiungo un'altra piccola considerazione, che riguarda il paragone con gli uccelli.
E' una delle caratteristiche più riconosciute di Dante quella di non perdere mai il contatto con la realtà e con l'efficacia della "resa" di ciò che narra. Tanto più in un poema dove l'argomento principale è il racconto di ciò che travalica l'esperienza quotidiana e che in altri scrittori potrebbe dar luogo a divagazioni fantastiche. Qui invece ogni dettaglio non è mai superfluo.
Nel caso del paragone dei dannati con gli uccelli, si può notare come Dante operi una vera e propria "zoomata", attribuendo ai diversi gruppi di personaggi un differente termine di paragone: gli stornei (storni) in formazione compatta per i lussuriosi nel loro insieme, le gru per la schiera ov'è Dido (i lussuriosi morti per amore) e le colombe per Paolo e Francesca.
Queste metafore mi sembrano, nello stesso tempo, un mezzo per ingentilire la presentazione di questi spiriti o almeno di alcuni di essi (la delicatezza e la cortesia dei modi saranno una costante nel colloquio con Francesca, e costituiranno un amaro contrasto con le conseguenze nefaste del suo peccato) e un elemento di richiamo a quella tradizione di lirica d'amore che rappresenta la cornice in cui trova alimento e giustificazione l'incontro delle due "anime nobili", sebbene fedifraghe. Non a caso i lai delle gru richiamano il genere di poesia provenzale omonimo, e le colombe sono l'uccello di Venere; la descrizione del loro volo verso il dolce nido prima dell'accoppiamento è ripresa da Virgilio, ma come altre volte in Dante è "asciugata" e in essa viene messo in risalto soprattutto uno dei motivi chiave del canto: il disio che con un'umanizzazione dei due animali diventa voler, cioè nient'altro che il talento che ha dominato la vita di queste anime. E' appunto il definitivo distacco dalla concezione di Amore come terribile signore, al quale non si può resistere in nessun modo e in nessuna circostanza, che Dante esplicita in questo canto, in nome del libero arbitrio e della possibilità per l'uomo di pensare all'amore in maniera diversa.
Vecchio 30-03-2014, 23:05   #131
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IO leggo volentieri
Vecchio 27-04-2014, 00:57   #132
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OK, riprendiamo e stavolta andiamo a quello che è il cuore del canto (secondo me, eh ).

La pietà di Dante offusca il suo rigore morale?
La risposta è ovviamente no , ma vale la pena di soffermarvisi di più.
Uno dei momenti di maggiore poesia della DC è quello in cui vengono a essere compresenti la pietà umana verso la singola persona e l'accettazione del giusto giudizio di Dio. Francesca è solo il primo di una serie di esempi di questo genere. Tutto ciò che la riguarda, quello che dice e soprattutto come lo dice, esprime la sua nobiltà d'animo e la sua gentilezza (fino all'iperbole della preghiera solo ipotetica a Dio per la pace di Dante, pace altrettanto irrealistica per la coppia di dannati). E quanto più viene sottolineata la raffinatezza e l'elevazione spirituale di Francesca, tanto più acuto è il dolore per come tale altezza si sia degradata: è il dolore per la volontaria esclusione dell'uomo dal suo destino di grandezza e di felicità (Non sapei tu che l'uomo è qui felice? dirà Beatrice all'Eccelso nel giardino dell'Eden). Non sorprende che Dante alla fine sia vinto da un tale dolore fino a svenire.

Ma è noto che nel caso particolare di Paolo e Francesca la pietà di Dante ha un motivo in più per renderlo a lagrimar tristo e pio.
La famosa serie di terzine che iniziano con l'anafora (ripetizione) di Amor, il potente e terribile signore della tradizione letteraria provenzale e cortese, è invocata da Francesca quasi a giustificazione del suo (e di Paolo) sottomettere la ragione al talento, a scinderlo dalla virtù e da ogni considerazione morale. L'amore, in questa visione, s'innesca dalla bella persona, dall'aspetto fisico ed è in sé stesso buono, perché nasce da un cor gentile, come nella famosa canzone del maestro dello Stilnovo e di Dante, Guido Guinizzelli.
E' un amore tra due spiriti nobili, tra due anime elette e culturalmente raffinate, che conoscono la gentilezza e la leggiadria: è quasi consequenziale che esso sia presentato come una forza a cui non si possa resistere, che a nullo amato amar perdona (ci sono alcune interpretazioni di questa frase che si discostano un po' da quella tradizionale, ad ogni modo il senso di ineluttabilità degli eventi, di tessere del puzzle che combaciano, rimane).
Dante, con sofferenza e fatica simboleggiate dal suo perdere coscienza (per acquisirne una nuova, aggiungerei) si distacca invece da questa concezione che ha coinvolto anche il movimento letterario di cui è stato interprete. Il vero amore è quello che non si separa mai dalla virtù. Alla fine del canto sono ricercati con una precisa domanda e indicati chiaramente i principali colpevoli del sovvertimento morale derivante dall'annebbiamento della ragione: Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. La letteratura non è puro svago, propagandare un modo di vedere la vita ha le sue conseguenze tramite l'influsso esercitato sui lettori e Dante, intellettuale impegnato per eccellenza, ne è pienamente consapevole: l'intera DC, tra le tantissime cose che è, è anche un gigantesco esercizio di pedagogia rivolto all'umanità tutta.

Dunque la pietà di Dante non scusa affatto il peccato di Francesca, né contrasta o pone riserve alla sua adesione al giudizio divino, ma anzi è un ulteriore strumento con cui viene evidenziata la stortura dell'agire umano, è un ulteriore passaggio necessario alla presa di coscienza del pellegrino (che in ogni dannato rivede e supera una parte di sé), è un ulteriore monito affinché la dignità, la nobiltà e la grandezza dell'uomo, che muovono a compassione in Francesca, non siano gettate alle ortiche da un uso sbagliato del libero arbitrio.


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Direi che possiamo (o potrò ) cominciare a discutere del VI canto a partire da sabato 3 maggio. Sempre aperto a osservazioni, commenti, fischi e pernacchi
Vecchio 05-05-2014, 11:52   #133
Esperto
 

OK, cominciamo (plurale maiestatis ) a discutere del VI canto.
Per la tirannia del tempo posso dire solo, per ora, che questo canto è il primo in cui viene esplicitamente introdotto il tema "politico" della decadenza etico-civile (accennato con la figura della lupa e del Veltro nel I canto), che a macchia d'olio si estende da Firenze, di cui si parla in questo canto, all'Italia e all'intero mondo soggetto all'Impero universale (argomenti rispettivamente del VI canto del Purgatorio e del VI canto del Paradiso, con evidente simmetria).
Vecchio 15-05-2014, 13:00   #134
Esperto
 

Altro punto rilevante del canto: la continua commistione tra uomini e animali, a sottolineare la natura particolarmente degradante di questo peccato di incontinenza (considerato come grave spreco in un'epoca dove mangiare carne era per i più legato a festività particolari; alcuni come Boccaccio ne spiegavano la maggiore gravità rispetto alla lussuria considerando che quest'ultima poteva essere favorita dalla gola, specie dal bere, mentre non si davano prove del contrario).

Cerbero è fiera crudele e diversa, anche nel senso che ha molteplice natura: infatti ha anche barba e mani. Di contro i dannati urlano sotto la pioggia come cani, e la loro pena consiste essenzialmente sì nel contrappasso della sporcizia e del puzzo in cui sono immersi come maiali nel fango, a punizione dell'eccesso di cibo e bevande raffinate a cui si sono abbandonati, ma anche in quello stato di prostrazione in cui la loro condizione degradante li schiaccia. Dante insiste non a caso su questo aspetto psicologico: le anime sono adonate (prostrate, appunto) dalla pioggia greve (pesante), esse giacean per terra tutte quante e l'eccezionalità del comportamento di Ciacco (il primo dannato del poema che apostrofi di sua iniziativa il viaggiatore vivo) è rilevato dal fatto che quel temporaneo stato di coscienza umana che acquisisce durante il colloquio con Dante è destinato a scomparire, e per sempre, quando ritornerà ad abbrutirsi in uno stato di semi-intorpidimento come gli altri:

Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.

E ’l duca disse a me: "Più non si desta
di qua dal suon de l’angelica tromba [...]

Ultima modifica di Winston_Smith; 15-05-2014 a 13:02.
Vecchio 16-05-2014, 18:17   #135
Principiante
 

*__* ma perchè non ho visto prima questo post?
non ho assolutamente tempo, quindi scrivo giusto qualcosa velocemente così Winston può(massì siamo ottimisti, anche con doppia interpretazione già che siamo in tema) smettere di usare il plurale maiestatis, solo Cicerone può U_U. la seconda terzina richiama il tema dell'incubo con figura etimologica e climax. Viene sottolineato come la pioggia sia eterna e immutabile, per conferire la solennità che deve caratterizzare la punizione, la quale dev'essere si orribile ma deve anche tenere quell'aria grave da cui non può prescindere la giustizia divina. Per renderla però orribile si parte da coloro che la subiscono, li si inizia a sottolineare lo squallore della loro condizione. Mi sembrava una cosa abbastanza banale ma l'ho scritta comunque perché la mia insegnante definiva le punizioni orribili e misere ma è un'assurdità. Grazie all'insieme di solennità e orrore è possibile rendere a pieno l'atmosfera delle inferno. è venuto un po generico, comunque ecco due esempi in questo canto
Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova.

Urlar li fa la pioggia come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani.
non è un granché ma l'ho scritto anche all'inizio che non sapevo se si sarebbe potuto considerare un commento U_U, spero di avere più tempo per la prossima volta.
Vecchio 18-05-2014, 19:07   #136
Esperto
 

Ringrazio Aria per aver portato un po' di aria fresca nel topic (muahahaha, sono pronto per Zelig ).

Quote:
Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
*__* ma perchè non ho visto prima questo post?
non ho assolutamente tempo, quindi scrivo giusto qualcosa velocemente così Winston può(massì siamo ottimisti, anche con doppia interpretazione già che siamo in tema) smettere di usare il plurale maiestatis, solo Cicerone può U_U.
Anche lui scriveva topic che venivano disertati dal pubblico? ^^
Una curiosità, se permetti: sei anche tu appassionata della Divina Commedia?

Quote:
Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
la seconda terzina richiama il tema dell'incubo con figura etimologica e climax. Viene sottolineato come la pioggia sia eterna e immutabile, per conferire la solennità che deve caratterizzare la punizione, la quale dev'essere si orribile ma deve anche tenere quell'aria grave da cui non può prescindere la giustizia divina. Per renderla però orribile si parte da coloro che la subiscono, li si inizia a sottolineare lo squallore della loro condizione. Mi sembrava una cosa abbastanza banale ma l'ho scritta comunque perché la mia insegnante definiva le punizioni orribili e misere ma è un'assurdità. Grazie all'insieme di solennità e orrore è possibile rendere a pieno l'atmosfera delle inferno.
Allora, l'insistere sull'eternità e soprattutto sull'immutabilità della pena è una caratteristica frequente in tutto l'Inferno, per ovvi motivi.
In questo canto, come giustamente fai notare, la stessa monotonia della punizione è elemento essenziale per l'effetto soprattutto psicologico che ha sulle anime. A parte il primo contrappasso legato al disgusto e all'umiliazione di essere immersi nel fango, è proprio la sensazione di annichilimento, di prostrazione a dominare nei dannati, che addirittura urlano sotto la pioggia. L'annichilimento deriva dalla loro impotenza di fronte a un "semplice" fenomeno atmosferico che li degrada a un rango subumano (e per l'appunto sottolineavi il paragone con i cani), come per tutte le creature per le quali la natura è qualcosa di potente e immutabile, non modificabile con interventi attivi come per l'uomo (regola e qualità mai non l'è nova). Ovviamente ciò è dovuto anche al fatto che la pioggia ha natura parzialmente ultraterrena: come per tutto ciò che avviene sulla Terra, l'uomo ha la speranza che le cose possano cambiare e che la pioggia possa attenuarsi o cessare. Ma non qui, non dove ogni speranza deve essere deposta, come scritto all'ingresso.

Quote:
Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
spero di avere più tempo per la prossima volta.
Spero di rileggerti presto, grazie per il tuo contributo
Ovviamente il topic è aperto a chiunque voglia intervenire, non c'è bisogno di ripeterlo, non servono lauree e non è obbligatorio fare interventi geniali, basta un po' di passione.

Se siamo d'accordo, comincerei a parlare del VII canto da sabato 24 maggio, intanto possiamo continuare a commentare il VI.

Ultima modifica di Winston_Smith; 19-05-2014 a 11:31.
Vecchio 18-05-2014, 19:19   #137
Esperto
 

graffia li spirti ed iscoia ed isquatra

E' da versi come questo, duri, "strani", quasi "petrosi", nell'accezione delle Rime Petrose che una tradizione consolidata attribuisce a Dante, che si capisce che siamo ben lontani dall'atmosfera rarefatta e tragica del canto precedente, dove non ci sono dannati che urlano come cani ma lamenti, o meglio lai. Sembrano quasi dei sospiri, no?
Qui non sia parla di amori più o meno nobili finiti tragicamente, ma di peccati che riguardano la pura dimensione materiale dell'uomo. Al contempo, però, tema del canto è anche la trattazione di argomenti a carattere etico e politico. Tutto ciò fa del VI canto un canto "medio", "comico" nel senso in cui va inteso il termine Commedia, cioè stile non "alto" e "tragico", ma contaminato con espressioni più vicine all'esperienza comune e quotidiana, sebbene con una specifica valenza poetica e combinate mediante una tecnica non banale. Infatti questo canto porta in sé tutte le tipicità di un canto della DC: descrizione della condizione del luogo, apostrofe e colloquio con un dannato e soprattutto considerazione sul modo in cui vivono gli uomini sulla Terra, indagine sulle cause dei loro mali, condanna degli odi e delle lotte scatenate in particolare dalla cupidigia di beni terreni, e al termine anche una discussione sul destino ultraterreno dell'umanità dopo il Giudizio, uno dei leitmotiv dell'intera opera, soprattutto in Purgatorio e Paradiso.

La componente "materiale" di questo canto è ben espressa, a mio avviso, oltre che ovviamente nella descrizione di Cerbero e della pena dei golosi, anche come ho già detto nell'annichilimento dei dannati, che addirittura acquisiscono, in certi punti, anche uno status inferiore persino a quello degli animali:

Noi passavam su per l’ombre che adona
la greve pioggia, e ponavam le piante
sovra lor vanità che par persona.

[...]

Sì trapassammo per sozza mistura
de l’ombre e de la pioggia
, a passi lenti


Dante e Virgilio addirittura camminano sulle anime (cosa a mia memoria mai più ripetuta in tutto l'Inferno: il fatto che esse siano considerabili incorporee, almeno in questo contesto, non attenua a mio avviso la forte impressione morale di un tale gesto), anzi le trattano come fossero una cosa sola con il fango in cui sono immerse. L'uomo, mai come in questo caso, ha scelto di essere ciò che mangia. Del resto, è significativo anche il fatto che Dante, rielaborando come suo costume i miti antichi, scelga di riprodurre l'episodio della Sibilla Cumana che ammansisce Cerbero, guardiano dell'Ade, per consentire l'ingresso di Enea: ma mentre la profetessa lancia alla bestia una focaccia soporifera, Virgilio si limita a prendere una pallata di terra e a gettarla nelle bramose canne, che non badano a ciò che ingurgitano ma solo a divorarlo. Terra siete, terra bramate e alla terra ritornate, anzi con essa nella sua forma più degradante vi confondete, sembra dire Dante.

Ultima modifica di Winston_Smith; 18-05-2014 a 19:36.
Vecchio 19-05-2014, 13:02   #138
Esperto
 

L'incontro con Ciacco è singolare, per quanto si è visto in questi primi canti: a sorpresa è lui, il dannato, a farsi avanti per primo, a differenza che nel caso di Francesca. E ciò è tanto più notevole in quanto si verifica in un cerchio in cui la caratteristica principale dei dannati è proprio quella di giacere in uno stato di prostrazione e intorpidimento che li lascia indifferenti a quanto avviene all'esterno (vengono addirittura calpestati dai poeti nel loro cammino), se non per ciò che riguarda la loro pena, cioè l'effetto della pioggia e dei latrati e delle unghiate di Cerbero.
Non a caso lo stesso Dante, nel rispondere a Ciacco, dichiara di non riuscire a riconoscerlo, tanta è la sua angoscia (termine che all'epoca indicava una sofferenza più profonda di quello attuale) che gli ha stravolto i connotati. Questo motivo della difficoltà nel riconoscere l'individuo nell'anima in pena ritornerà in altri momenti del poema, sempre in maniera toccante e significativa (il caso di Brunetto Latini su tutti). Qui sono evidenziati l'abbrutimento e l'umiliazione morale che degradano l'umanità del singolo e che rendono la pena dei golosi, se pure non la più pesante dell'Inferno, certo la più spiacente.

Il recupero temporaneo dell'umanità in Ciacco, il suo spontaneo rivolgersi a Dante, sono quindi qualcosa di eccezionale, che ha probabilmente uno scopo importante. E in effetti Ciacco si erge da subito come portatore di una verità morale (esordisce subito citando l'invidia che trabocca in Firenze), in base alla quale non esita a riconoscersi giustamente colpevole (per la dannosa colpa de la gola, e io anima trista non son sola): si presenta quindi sostanzialmente come un uomo che è stato a contatto con le classi sociali dominanti di Firenze, ma sufficientemente al di fuori dei loro giri di potere da poterne giudicare con obiettività il comportamento. Secondo una diffusa tradizione, infatti, Ciacco era un uomo molto ricercato presso le case e i conviti delle famiglie più in vista di Firenze, per la sua intelligenza e il suo spirito: un "uomo di mondo" che cedette ai piaceri della gola, ma conservò intatta la sua lucidità nell'osservare quanto accadeva intorno a lui.

Tra parentesi, vorrei evidenziare altri due aspetti che fanno di questo canto un canto "tipico" della Divina Commedia, o almeno dell'Inferno. Uno è l'appena citato riconoscimento della giustizia divina, che si estende a tutte le anime: a mia memoria non esiste in tutto l'Inferno un solo dannato che si dichiari "innocente" o "vittima di un complotto", come si usa dire oggi Anzi, alcuni come Capaneo e Vanni Fucci rivendicheranno orgogliosamente la loro ribellione alle leggi di Dio, con ciò inasprendo di fatto la loro pena. Evidentemente la dimensione oltreumana fa loro acquisire una consapevolezza più ampia di ciò che hanno fatto, sebbene quest'ultima non sia sufficiente a provocarne il pentimento (esemplare il caso di Guido da Montefeltro, che ancora all'Inferno perpetuerà il suo errore, dovuto essenzialmente proprio a un finto pentimento). Qual io fui vivo, tal son morto, dirà Capaneo, e ciò può a ragione attribuirsi a tutti i dannati, che non fanno altro che prolungare per l'eternità ciò che hanno scelto di essere.
Questo essere pienamente e volontariamente inseriti nel grande schema predisposto da Dio per l'uomo (scegli ciò che vuoi essere per l'eternità) dà modo a Ciacco e ad altri suoi "colleghi" di poter giudicare il mondo che mal vive, mentre il loro rifiuto della possibilità di perfezionamento e vera realizzazione dell'uomo, che per il Cristianesimo è dato dall'unione con Dio, si manifesta anche attraverso il secondo aspetto a cui accennavo poco prima:

Ed elli a me: "La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.


Il rifiuto della dimensione oltremondana dell'uomo come possibilità di felicità e pienezza (Tutto che questa gente maladetta / in vera perfezion già mai non vada, dirà Virgilio nel finale del canto) fa sì che l'unico appiglio dei dannati sia il ricordo della vita sulla Terra, che per quanto tribolata e piena di sofferenze conserva sempre ai loro occhi il dono inestimabile della speranza, ormai perduto per sempre. Ecco perché il mondo "di sopra" è da loro sempre visto con occhi benevoli e citato con accenti di nostalgia, a ulteriore aumento della loro sofferenza (Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria, diceva Francesca). Inoltre alcuni dannati, almeno quelli che hanno mostrato in vita delle caratteristiche degne di stima a parte il peccato che li condanna, si premureranno con sollecitudine di chiedergli di ravvivare il loro ricordo nel mondo: altri invece, specialmente i traditori dell'ultimo cerchio, non desidereranno che di essere dimenticati.

Ultima modifica di Winston_Smith; 19-05-2014 a 13:04.
Vecchio 19-05-2014, 17:56   #139
Principiante
 

Quote:
Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
Anche lui scriveva topic che venivano disertati dal pubblico? ^^
Una curiosità, se permetti: sei anche tu appassionata della Divina Commedia?

Se siamo d'accordo, comincerei a parlare del VII canto da sabato 24 maggio, intanto possiamo continuare a commentare il VI.
Non scherziamo il sommo Cicerone era piuttosto apprezzato ai suoi tempi(anche se la sua fama iniziale non era molto meritata U_U). non so se definirmi proprio un'appassionata dell'opera però (ovviamente) è bellissima <3 e poi mi piace tantissimo analizzare i testi. Comunque il siamo ottimisti non era riferito a quello. Quindi ormai puoi anche dimenticarti il plurale maiestatis e togliere quelle faccine perchè siamo almeno in due

volevo aggiungere qualcosa su Cerbero. Rappresenta il livello di opposizione più bassa nei confronti di Dante, infatti le caratteristiche a lui attribuite non sono volte a renderlo spaventoso ma grottesco ’l ventre largo e non avea membro che tenesse fermo. Si discosta molto dalle altre rappresentazioni del mostro basti pensare a come viene placato, quasi un'offesa, se si considera il parallelismo con la Sibilla dell'Eneide che gli aveva dato in pasto un offerta votiva anche se soporifera, nessun onore gli viene quindi riconosciuto. Come è logico che accada a quell'essere che deve rappresentare allegoricamente il peccato della gola; poi è interessante anche l'altra interpretazione che lo identifica con la discordia civile la quale è raffigurata con quel graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra. Sarebbe poi un'anticipazione delle parole di Ciacco.
Vecchio 20-05-2014, 18:04   #140
Esperto
 

Quote:
Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
volevo aggiungere qualcosa su Cerbero. Rappresenta il livello di opposizione più bassa nei confronti di Dante, infatti le caratteristiche a lui attribuite non sono volte a renderlo spaventoso ma grottesco ’l ventre largo e non avea membro che tenesse fermo.
Tra i guardiani infernali la cui opposizione Dante deve superare Cerbero è forse quello più "animalesco", puro istinto senza alcuna forma di volontà cosciente. Anche Pluto, il guardiano del cerchio successivo, ha almeno la caratteristica umana di potersi esprimere a parole, sebbene in un linguaggio oscuro, e Virgilio gli risponde per tenerlo a bada. A Cerbero, invece, caso a mia memoria unico, nessuno dei due poeti parla: Virgilio lo acquieta lanciandogli un pugno di terra in bocca, ed è tutto.
E' comunque da notare che la degradazione di Cerbero, come dei dannati che tormenta, sta nell'essere figura di un abbrutimento dell'uomo: quindi opportunamente Dante ci ricorda che non di un animale a tutti gli effetti si sta parlando, ma di un essere "ibrido" che si comporta da tale (Cerbero ha facce e mani).

Quote:
Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
poi è interessante anche l'altra interpretazione che lo identifica con la discordia civile la quale è raffigurata con quel graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra. Sarebbe poi un'anticipazione delle parole di Ciacco.
Sì, adesso che mi ci fai pensare ricordo di aver letto da qualche parte che Cerbero poteva rappresentare anche un'allegoria di questo tipo, forse anche per la sua natura di essere multiforme.

Ultima modifica di Winston_Smith; 20-05-2014 a 18:25.
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