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Vecchio 21-05-2014, 13:19   #141
Esperto
 

Ciacco, oltre a introdurre il tema politico della Divina Commedia (inizialmente accennato nel I canto con le figure della lupa e del Veltro), è anche il primo a utilizzare il linguaggio della profezia per narrare gli eventi post-1300, in particolare quelli che porteranno al rovesciamento degli equilibri di potere in Firenze, al colpo di mano dei Neri nell'autunno del 1301 (con la forza di tal che testé piaggia, approggiati cioè da Bonifacio VIII che in quel momento si barcamenava tra le opposte fazioni mantenendosi ufficialmente neutrale, come una nave che naviga sotto costa: viene introdotto per la prima volta anche l'acerrimo nemico di Dante) e, last but not least, all'esilio del Poeta.
La profezia è espressa in modo volutamente ambiguo, non solo non nominando direttamente i personaggi coinvolti ma anche senza entrare troppo nelle dinamiche politiche che videro un inasprirsi della lotta tra Bianchi e Neri tra la primavera del 1300 e l'inizio del 1302 (la sentenza di condanna di Dante è del gennaio di quell'anno), con vicende alterne e tentativi di pacificazione o di messa al bando dei capifazione più oltranzisti di ambo le parti. Ad ogni modo Dante sintetizza a grandi linee ciò che in effetti accadde: dapprima lo scoppio della violenza, a lungo covata, con i fatti di Calendimaggio del 1300 (dopo lunga tencione / verranno al sangue), poi il prevalere dei Bianchi (la parte selvaggia, perché i Cerchi, suoi principali esponenti, erano originari del contado) e infine dei Neri, tramite l'aiuto di Carlo di Valois, di un ramo cadetto della dinastia regnante di Francia, a cui nei fatti Bonifacio VIII si appoggiò per ristabilire la sua influenza su Firenze, con il pretesto di riportarvi la pace.

E' a mio avviso notevole che tutti questi eventi siano, oltre che sintetizzati, riportati in maniera impersonale. In primis, non c'è il minimo accenno nè al priorato di Dante (giugno-agosto 1300) né soprattutto all'esilio, che in canti successivi verrà invece citato: una corrente d'interpretazione che attualmente ha poco credito voleva che i primi sette canti dell'Inferno fossero stati scritti mentre Dante era ancora a Firenze. E' caratteristica del Poeta quella di non indugiare troppo nell'autobiografismo, soprattutto per quanto riguarda le vicende familiari.
In più le alterne vicende politiche sono presentate in maniera abbastanza imparziale, anzi le violenze e le condanne dei Neri sembrano una semplice reazione alla molta offensione praticata su di loro dai Bianchi. Credo sia probabile che Dante volesse accreditarsi come cittadino equanime, sollecito al bene di Firenze e non animato da faziosità e sete di vendetta. E' certo invece che in canti successivi alcuni responsabili di parte Nera (su tutti, Corso Donati) saranno indicati per nome e la loro condanna risuonerà forte e chiara. Comunque in questo canto la visione di Dante è più ampia, così come nei corripondenti canti "politici" (VI del Purgatorio e VI del Paradiso): Firenze tutta è preda della discordia civile, tutte le parti in lotta sono accese da superbia, invidia e avarizia (quest'ultima in particolare, come cupidigia di beni materiali, è la causa principale dei mali del mondo: la lupa è stata scatenata nel mondo dall'invidia prima, Lucifero in persona) e sono in pochissimi a salvarsi, a cercare di far sentire la voce della ragione in quel disastro (giusti son due, e non vi sono intesi). Secondo alcune interpretazioni, quei due sarebbero Dante e il venerato amico e maestro Guido Cavalcanti, ma penso sia più probabile che il numero non sia da intendere alla lettera e che si tratti di una reminiscenza biblica, riguardante le città dissolute come Sodoma o Gomorra in cui pochissimi erano gli abitanti degni di salvezza.

Ultima modifica di Winston_Smith; 21-05-2014 a 16:53.
Vecchio 21-05-2014, 15:56   #142
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Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
giusti son due, e non vi sono intesi. Secondo alcune interpretazioni, quei due sarebbero Dante e il venerato amico e maestro Guido Cavalcanti, ma penso sia più probabile che il numero non sia da intendere alla lettera e che si tratti di una reminiscenza biblica, riguardante le città dissolute come Sodoma o Gomorra in cui pochissimi erano gli abitanti degni di salvezza.
Sodoma era anche stata anche distrutta per i peccati dei cittadini quindi sembra quasi un ammonizione. La città poi si sarebbe potuta salvare con 10 cittadini giusti qui ce ne sono solo 2. Rende decisamente bene il livello di corruzione della città e la necessità di un cambiamento. Però a questo punto verrebbe da chiedersi perchè proprio due, non sarebbe andato bene un numero qualsiasi dall'uno al nove?
Vecchio 21-05-2014, 16:59   #143
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Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
Sodoma era anche stata anche distrutta per i peccati dei cittadini quindi sembra quasi un ammonizione. La città poi si sarebbe potuta salvare con 10 cittadini giusti qui ce ne sono solo 2. Rende decisamente bene il livello di corruzione della città e la necessità di un cambiamento.
Sì, anche questi aspetti sono importanti ed emergono a una lettura più approfondita.

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Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
Però a questo punto verrebbe da chiedersi perchè proprio due, non sarebbe andato bene un numero qualsiasi dall'uno al nove?
Non saprei, alcune interpretazioni parlavano delle due forme di diritto che non verrebbero osservate in Firenze (ma ciò non si accorda bene con la domanda di Dante). Altrimenti bisognerebbe supporre che la scelta sia stata casuale o che Dante pensasse davvero a due persone reali, degne di essere considerate giuste. O magari ha voluto scegliere il numero più basso possibile, per indicare una situazione estremamente compromessa, evitando però, con la scelta di un solo giusto, che i lettori potessero fissarsi troppo con la ricerca del nome corrispondente. In pratica "due" = "pochissimi", "quasi nessuno".
Vecchio 21-05-2014, 17:29   #144
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Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
O magari ha voluto scegliere il numero più basso possibile, per indicare una situazione estremamente compromessa, evitando però, con la scelta di un solo giusto, che i lettori potessero fissarsi troppo con la ricerca del nome corrispondente. In pratica "due" = "pochissimi", "quasi nessuno".
Si dev'essere per quello, pensavo di star perdendo qualche altro riferimento scritturale, non sono molto ferrata sui testi sacri. Le altre interpretazioni mi sembrano un po improbabili poi che proprio Dante inizi a mettere i numeri a caso non ci posso credere.
Vecchio 21-05-2014, 17:34   #145
Esperto
 

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Originariamente inviata da Aria. Visualizza il messaggio
Si dev'essere per quello, pensavo di star perdendo qualche altro riferimento scritturale, non sono molto ferrata sui testi sacri. Le altre interpretazioni mi sembrano un po improbabili poi che proprio Dante inizi a mettere i numeri a caso non ci posso credere.
Al massimo avrebbe scelto tre
Vecchio 21-05-2014, 19:09   #146
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Al massimo avrebbe scelto tre
si così poi iniziavano davvero a dare interpretazioni strane, ce la vedo già gente come Mezzani e Rossetti in prima fila a scomodare tutta la Firenze del 1300, povero Dante...
Vecchio 23-05-2014, 17:12   #147
Esperto
 

Veniamo a un altro punto cardine del canto: che fine faranno dopo la morte coloro che a ben far puoser li ingegni?

Qui puose fine al lagrimabil suono.
E io a lui: "Ancor vo’ che mi ’nsegni
e che di più parlar mi facci dono.

Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni,
Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca
e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni,

dimmi ove sono e fa ch’io li conosca;
ché gran disio mi stringe di savere
se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca".

E quelli: "Ei son tra l’anime più nere;
diverse colpe giù li grava al fondo:
se tanto scendi, là i potrai vedere.


Farinata degli Uberti sarà ritrovato nel cerchio degli eretici, Tegghiaio Aldobrandi e Iacopo Rusticucci nel girone dei sodomiti, Mosca dei Lamberti (Capo ha cosa fatta) nella bolgia dei seminatori di discordie (forse insieme al non più nominato Arrigo, secondo una probabile identificazione proposta).

Tutta questa gente si è impegnata in politica a vario titolo (non credo sia un caso), ha cercato di lasciare una memoria positiva di sé come di cittadini interessati al bene di Firenze oltre gli odi di parte (salvo forse Mosca, che fu l'iniziatore, non si sa quanto volontario, della divisione in guelfi e ghibellini in città).
Ma il cammino di Dante consiste anche nel superare i punti di riferimento con i quali è cresciuto: figure autorevoli della storia cittadina vengono riesaminate criticamente alla luce della concezione cristiana, del nuovo modo di leggere la storia del mondo in chiave provvidenziale. E ciò che può meritare la fama nel mondo non necessariamente salva l'anima: indispensabili, ad esempio, sono fede, umiltà e carità, di cui i personaggi citati difettarono in varia misura.
Altri due esempi importanti saranno Guido Cavalcanti e Brunetto Latini, sostanzialmente considerati come i suoi maestri più vicini alla sua esperienza, nei campi rispettivamente della poesia e dell'impegno etico-civile: ebbene anche il destino ultraterreno di costoro non è felice (Guido non viene incontrato direttamente nell'Inferno, ma si può pensare che il giudizio su di lui coincida con quello su suo padre e su Farinata: egli ebbe a disdegno l'essere condotto dalla fede a scoprire le verità ultime). E come Guido, anche le anime di questi cittadini illustri sconteranno il loro peccato essenzialmente di superbia, del credersi totalmente autosufficienti e auroreferenziali e del rifiutare i criteri morali come guida per la regolazione della propria esistenza.
Detto questo, Dante non riesce ad essere severo con nessuno di loro, proprio perché si tratta di persone valide sotto certi aspetti. Ed è proprio la stima che ha per loro a suscitare in lui il gran disio di sapere se la dolcezza o il veleno pervadono la loro esistenza ultraterrena (non si sarebbe interessato così tanto al destino di persone del tutto spregevoli). Il contrasto tra buona fama nel mondo, tra virtù terrene, tra la gloria degli antichi (come già visto per Virgilio) e la loro insufficienza di semplici uomini, per quanto dotati di qualità eccelse e finanche nobili, a raggiungere le verità ultime e la vera felicità, a pervenire alla realizzazione completa dell'essere umano (la comunione con Dio, nell'ottica cristiana) è stato motivo di intensa e travagliata riflessione in Dante, oltre che spunto di grande poesia per "contrasto" negli episodi del Poema che riguarderanno queste anime. Alla fine la risposta è che oltre certi limiti non si può andare (State contenti, umana gente, al quia) e che la legge divina segue criteri non completamente assimilabili agli argomenti umani. Un atto di fede, una dichiarazione di insufficienza o di non completa autosufficienza sono indispensabili perché l'uomo possa abbandonarsi in Dio.

Ultima modifica di Winston_Smith; 23-05-2014 a 18:03.
Vecchio 30-05-2014, 20:11   #148
Esperto
 

Un'ultima osservazione da parte mia sul canto VI.
Che grande espressività psicologica, quella della terzina in cui Ciacco, interrotto bruscamente il colloquio con Dante, ripiomba per sempre nel suo stato di incoscienza animalesca!

"[...] Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
priegoti ch’a la mente altrui mi rechi:
più non ti dico e più non ti rispondo".

Li diritti occhi torse allora in biechi;
guardommi un poco e poi chinò la testa:
cadde con essa a par de li altri ciechi.


Ciacco ha ormai assolto il suo compito di denuncia della drammatica e degradata condizione dei suoi concittadini. L'unica cosa che gli resta, come agli altri dannati nominati poco prima ch'a ben far puoser li ingegni, è la fama sulla Terra per le sue buone qualità che ha comunque dimostrato. Ora non può che tornare nel fango, lontano dal dolce mondo (sempre toccante il richiamo alla vita sulla Terra per i dannati), ma con pochi tratti Dante riesce a rendere l'idea di un totale svilimento della sua anima.
Il suo sguardo perde di lucidità, non ha più la capacità di discernere, si direbbe che la sua intelligenza si stia riducendo a poche funzioni essenziali: notevole il passaggio da occhi diritti, a biechi a ciechi: progressivamente l'interlocutore esce fuori dal campo visivo diretto, non viene più distinto, e l'interesse è rivolto non più al dialogo, all'esercizio dell'intelletto, ma presumibilmente alle pure sensazioni fisiche e corporali (il fango, la pioggia, le unghiate e i latrati di Cerbero). La cecità, così, è insieme fisica e morale: tutto è buio, sofferenza e dolore, condizione esemplare di tutto l'Inferno. E la testa non diventa altro che un peso, che Ciacco inclina e con cui poi cade, come fosse una zavorra che lo trascina giù, pura materia grave.

La successiva spiegazione dottrinale di Virgilio non farà altro che confermare tale condizione per l'eternità: non si è ancora spenta l'eco del tonfo sordo con cui Ciacco stramazza al suolo che egli mette subito in chiaro le cose con il definitivo Più non si desta. Questa è, come per tutti i dannati, la condizione che si sono scelti per l'eternità e che solo il temporaneo ed eccezionale incontro con il vivo pellegrino dell'Inferno ha modo di alterare, in forme e modi diversi, seppur "sostituendo" la normale pena con una riflessione sul degrado proprio e/o altrui (e quindi, di fatto, con un supplemento di pena che li rende ancora più coscienti del loro tragico destino). E il momento finale in cui si ridesteranno dal loro miserevole stato, il giorno del Giudizio, non sarà altro che il momento in cui il loro destino si compirà in maniera "perfetta" e loro costituranno un'entità più "piena" e "completa" (tutto che questa gente maladetta / in vera perfezion già mai non vada, sebbene i dannati non abbiano a rigore la possibilità di realizzarsi nella loro pienezza e al massimo delle loro possibilità, cosa che nell'ottica cristiana è data solo alle anime che ritornano alla loro vera patria, a Dio): la loro tomba sarà trista, la podesta, l'autorità giudicante di Dio, sarà nimica, perché il loro essere di nuovo un insieme di anima e corpo accrescerà il loro dolore, così come maggiore sarà la gioia dei beati (di là più che di qua essere aspetta: la pienezza del loro essere sarà maggiore dopo il Giudizio), secondo l'insegnamento di Tommaso.
Anche questo, che diventerà un tema ricorrente, dell'interrogarsi sul destino ultimo degli uomini è una delle tante domande a cui tenta di dare risposta la Divina Commedia e anche questo leitmotiv, come altri, viene fatto risuonare per la prima volta in questo canto VI.

Ed ecco la suspance alla fine del canto (ancora una tecnica cara a Dante): il resoconto del colloquio tra i due poeti viene trascurato durante il compimento di un arco del cerchio terzo (come in altri punti del Poema, verosimiglianza vuole che non tutti i singoli eventi accaduti costituiscano materia d'interesse per l'argomento principale) e all'improvviso, al momento di scendere verso il cerchio quarto, quivi trovammo Pluto, il gran nemico. Chi sarà mai costui? e perché è un gran nemico (il demonio, in quanto tale è l'avversario, in ebraico Satàn)?
La posizione di rilievo alla fine del canto, la necessaria pausa nella lettura subito dopo aver pronunciato il suo nome, e quell'appellativo solenne e terribile denotano l'importanza, in negativo, che viene assegnata a questo personaggio, in quanto simbolo dell'avidità di beni terreni, causa principale dei mali del mondo secondo Dante, come già evidenziato con la lupa incontrata all'uscita dalla selva oscura.

Ultima modifica di Winston_Smith; 03-06-2014 a 11:01.
Vecchio 02-06-2014, 19:19   #149
Esperto
 

Canto VII: uno dei miei preferiti (se vi può interessare ).
Qui Dante comincia ad aggredire il suo gran nemico, l'avidità dei beni terreni e in particolare il desiderio di potere temporale da parte della gente di Chiesa, massimo crimine che ha portato alla confusione e al degrado del mondo, nonché al tradimento della missione puramente spirituale degli eredi di Cristo. Siamo di fronte al motivo principale per cui è stata scritta la Divina Commedia, e non a caso secondo me qui l'Eccelso comincia a "fare sul serio", dando fondo alle sue risorse in termini di pluristilismo: dal tono volutamente aspro, quasi plebeo, delle rime dedicate ad avari e prodighi (-occia, -acca, -upo, -iddi, -erci), al tono "serio" e "dottrinale" della dissertazione di Virgilio sulla Fortuna, al tono di nuovo "comico", "umile", ma non "plebeo", se non per le rime finali (-ozza, -ézzo), della descrizione degli abitanti della palude Stigia.
In questo canto, inoltre viene per la prima volta abbandonato lo schema "un canto, un cerchio" e si adotta una composizione più libera, terminando il canto con circa una trentina di versi in cui si narra il passaggio e la visione della palude che forma il cerchio quinto.

Ma è innegabile che il climax, l'apice della tensione narrativa si raggiunga all'inizio, con l'entrata in scena di quel Pluto la cui presenza è stata preannunciata alla fine del canto VI. Il lettore è in attesa: chi sarà mai questo Pluto e cosa farà all'apparire di Dante? La risposta è geniale e degna del Poeta: un'apostrofe violenta, con parole apparentemente incomprensibili, il famoso e stracitato (anche a sproposito ) Pape Satàn, pape Satàn aleppe!
Vecchio 20-06-2014, 20:42   #150
Esperto
 

Pluto, oltre ad essere il famoso cane di Topolino , ha fin dal nome un forte legame con il concetto di ricchezza: ploutos in greco vuol dire appunto ricco, e la divinità Ploutos, figlio di Iasione e Demetra, non era altro che il dio della ricchezza. Spesso gli antichi lo confondevano con Plutone, l'equivalente romano del greco Ade, fratello di Zeus e signore degli Inferi: non a caso l'etimologia latina dell'altro nome con cui veniva indicato (Dite) riporta all'aggettivo dives, ricco. Ma Dante non sembra confondere i due personaggi, dato che quando usa il nome di Dite lo fa riferendosi senza dubbio al signore dell'Inferno (Lucifero). Di conseguenza il Pluto incontrato nel IV cerchio è proprio il dio della ricchezza e non il Plutone latino.

Fatta questa premessa, si può comprendere come le parole di Pluto possano plausibilmente essere nient'altro che un'invocazione al suo "diretto superiore", Satana o Lucifero. Molti commentatori, soprattutto antichi (mentre i moderni si sono lambiccati il cervello in spiegazioni molto più astruse presupponendo una voluta "assurdità" delle parole di Pluto), facevano infatti notare essenzialmente due cose:

1) Virgilio è il savio gentil che tutto seppe, e dal modo con cui risponde a Pluto sembra aver capito le sue parole e le sue intenzioni (non ci torrà lo scender da questa roccia).
2) Le parole pape e aleppe non sono affatto prive di senso, dato che la prima è presente in diversi scrittori latini altomedioevali (ad es. Boezio) come esclamazione/interiezione di meraviglia derivante dal greco papai, e la seconda deriva anch'essa dall'alfa (prima lettera dell'alfabeto greco) o meglio aleph (ebraico) ed è usata come esclamazione di dolore o lamento.

Tutta la frase di Pluto suonerebbe così come Oh satana, oh satana ahimè, un'addolorata e stupita invocazione di aiuto a lucifero.
Vecchio 10-07-2014, 04:58   #151
Esperto
 

In aggiunta all'interpretazione citata delle parole di Pluto, l'aleph trascritta in aleppe è stata anche intesa come principio primo (alfa), in pratica un equivalente di Dio. Saremmo così ai limiti della bestemmia, con Pluto che invoca il suo superiore come Dio.

Tra le interpretazioni più curiose che ho letto, me ne ricordo una che tirava in ballo addirittura il francese. Mi viene in mente solo la prima parte: pas paix satàn, niente pace satana.

Le parole di Pluto, quindi, servono da introduzione del clima di questo canto: ruvido, aspro, con rime sgradevoli al suono e "difficili", con uno stile che sarà proprio dei canti del basso Inferno, in corrispondenza con la materia più vile trattata. Non è un caso che il particolare peccato di incontinenza (incapacità di moderare degli impulsi non necessariamente negativi) a cui Dante attribuisce la maggior colpa delle miserie umane sia assimilato a quelli più gravi derivanti dalla frode, così come non è un caso che nessuno dei peccatori del cerchio quarto venga identificato: se i golosi subivano una specie di commistione con la natura delle bestie o addirittura delle cose inanimate, avari e prodighi hanno rinunciato del tutto alla loro individualità e alla loro capacità di discernere (sconoscente vita), diventando perciò tutti sozzi allo stesso modo e bruni, opachi al riconoscimento altrui.
Vecchio 15-07-2014, 03:05   #152
Esperto
 

Qui qualche considerazione in più sulle celebri parole di Pluto.

Lo stile "aspro", "volgare" di questo canto continua con la risposta di Virgilio al demonio, che è assolutamente in tono. In sostanza ripete anche a lui la solita formula di rinvio a una volontà superiore (vuolsi così nell'alto) già pronunciata a Caronte e Minosse, sebbene con una variatio che rimanda alla cacciata di Lucifero e degli angeli ribelli da parte dell'arcangelo Michele, capo delle schiere celesti e vendicatore del superbo strupo (altra rima "difficile"), della violenza usata da Lucifero: quasi a dire che è inutile invocare satana, se dall'altra parte c'è l'appoggio di chi lo ha già sconfitto.
Ma soprattutto né Caronte né Minosse (mentre a Cerbero, bestia-uomo, non viene rivolta parola) si sono sentiti apostrofare come maladetto lupo, cane rabbioso che deve ritorcere su se stesso la propria ira, vela gonfia che si fiacca quando l'albero maestro cade. E' evidente la particolare vena polemica di Dante contro questo tipo di peccato, del resto il Sommo non mancherà di precisare che in questo cerchio ha visto gente più ch'altrove troppa.

E che spettacolo è quello che gli si para davanti! Una scena tale da ricordargli gli opposti flutti tra Scilla e Cariddi, o meglio ancora una grottesca e vana danza macabra, una ridda (così convien che qui la gente riddi) di quelle in uso nel Medioevo, o una giostra, come viene chiamata subito dopo. Fin dal primo istante ci viene sbattuta in faccia la nota non del dolore (ben poca empatia ha Dante per la sorte di questi dannati, a differenza di quanto visto per lussuriosi e golosi), ma dell'assurdo: che senso ha girare in tondo, avanti e indietro, e rimproverarsi continuamente i rispettivi peccati? Lo stesso che, nell'ottica provvidenziale della vita e della storia umana, ha l'accumulare ricchezze o lo spenderle per beni superflui: nessuno. Non a caso la pena dello spingere massi (che probabilmente simboleggiano i beni terreni) deriva direttamente dall'inutile, analoga fatica di Sisifo.
E' una fatica disperata e senza senso, i dannati urlano per lo sforzo di smuovere i grandi pesi, e Dante fa inquadrare chiaramente a Virgilio il motivo:

ché tutto l’oro ch’è sotto la luna
e che già fu, di quest’anime stanche
non poterebbe farne posare una


Il punto focale del peccato di avarizia e prodigalità è, come per tutti i cerchi dell'Alto Inferno, l'incontinenza, l'incapacità di moderare razionalmente degli istinti che di per sé potrebbero non essere moralmente riprovevoli. Nel caso dei dannati puniti in questo cerchio, l'istinto di assicurarsi un minimo di comfort materiale, di spendere il giusto per vivere dignitosamente, si dilata irrazionalmente fino a diventare un'ossessione. Sì, penso che ossessione sia proprio la parola più adatta per descrivere questi peccatori, forse mai come per loro rispetto agli altri incontinenti: non mollano mai il loro peso e soprattutto, pur avendo a differenza degli altri l'occasione diretta di riconoscere nell'opposta schiera il proprio eccesso, ne traggono anzi motivo per sentirsi più a posto rispetto a loro. "Che diavolo te li tieni a fare, quei soldi? Ci sono un sacco di belle cose da comprare!" "Perché li spendi in sciocchezze, i tuoi soldi, quando potresti accumularli e diventare ricchissimo?": due opposte follie a confronto, per la prima volta nell'Inferno, visto che i peccati di lussuria e gola non trovavano un analogo opposto nella concezione del tempo di Dante e visto che comunque nell'Inferno egli non si attiene alla concezione cristiana dei sette peccati capitali (seguita invece nel Purgatorio), ma alla suddivisione aristotelica e tomistica tra incontinenza, violenza e frode.
E' poi da notare, mi sembra, che i prodighi non sono coloro che spendono troppo fino a ridursi sul lastrico, ma coloro che con misura nullo spendio ferci, esattamente come gli avari: la differenza è che questi ultimi sono stati ossessionati dal conservare, dallo spendere il meno possibile (mal tener), i prodighi invece dallo spendere in sé (mal dare), e per cose superflue (alcuni li hanno paragonati ai moderni seguaci del consumismo e della griffe ad ogni costo). In entrambi i casi è stato dato eccessivo e irrazionale valore a beni che di per sé non ne hanno, o ne hanno solo in quanto strumenti. Insomma, che lo stile di vita sia quello di Cuccia o di Briatore, la sanzione è la stessa
Gli scialacquatori invece saranno collocati tra i violenti contro sé stessi, perché nel loro agire la componente fondamentale è una volontà quasi suicida (appunto) e autodistruttiva, che li porta ad alienare il controllo di qualsiasi bene, anche di minima sussistenza (si potrebbero paragonare ai malati del gioco d'azzardo).
In un'ulteriore nota di rimando al destino delle anime dopo il Giudizio, come per i golosi, Virgilio accenna poi alla risurrezione di avari e prodighi dal sepulcro (altra rima "difficile" con pulcro e con il neologismo dantesco appulcro, abbellisco) rispettivamente con il pugno chiuso e con i capelli rasati: è incredibile e potente l'immagine di queste anime che anche nel momento del ricongiungimento col corpo sono ancora lì ad arraffare ricchezze e beni materiali o a inseguire lusso e sfarzo (forse il cranio rasato ne rappresenta un ulteriore contrappasso).
E' questa la forza della lupa del I canto, la principale responsabile dei mali del mondo: in nome dell'avidità e dell'opulenza tutto o quasi viene giustificato, nulla conta di più e ogni altro criterio, per quanto giusto e razionale, passa in secondo piano. E' così che le anime di avari e prodighi conducono una sconoscente vita (priva di regole e razionalità, della capacità di discernere), fissati nella loro ossessione, e questo li abbrutisce al punto che risultano nient'altro che una massa informe di persone distinguibili all'occhio altrui, caso unico tra gli incontinenti.

Ultima modifica di Winston_Smith; 30-07-2014 a 12:34.
Vecchio 30-07-2014, 13:00   #153
Esperto
 

[...] "Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra"


La parola "aspra" (chercuti: provate a ripeterla tra di voi e vedrete come anche la semplice indicazione della tonsura o chierica può assumere quasi il tono di un insulto) e il modo relativamente sbrigativo con cui si svolge la trattazione dell'avarizia degli uomini di Chiesa è per me doppiamente indicativa.
Vecchio 26-08-2014, 17:07   #154
Esperto
L'avatar di Labocania
 

E' ora di allontanare la polvere che ingiustamente iniziava ad accumularsi sul topic .

Certo che in questo canto Dante si sbizzarrisce con le rime ardite! Sembra quasi mosso dall'intento di sconvolgere gli umanisti rinascimentali e i poeti petrarchisti che condanneranno senza appello questa maniera di verseggiare, raccogliendo in un solo canto un infinità di materiale per i suoi accusatori.

Interessante l'"intermezzo" teologico nel quale viene esposta la concezione personalissima che Dante ha del tema della Fortuna, la figura che impera nell'immaginario medievale:

Ultima modifica di Labocania; 26-08-2014 a 17:10.
Vecchio 04-09-2014, 02:25   #155
Esperto
 

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
E' ora di allontanare la polvere che ingiustamente iniziava ad accumularsi sul topic .
Mea culpa, l'Eccelso è una montagna troppo alta da scalare con le mie sole povere forze e ogni tanto ho bisogno di qualche Virgilio che mi dica Andiam, ché la via lunga ne sospigne

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
Certo che in questo canto Dante si sbizzarrisce con le rime ardite! Sembra quasi mosso dall'intento di sconvolgere gli umanisti rinascimentali e i poeti petrarchisti che condanneranno senza appello questa maniera di verseggiare, raccogliendo in un solo canto un infinità di materiale per i suoi accusatori.
E' normale che chi riesce bene in un determinato campo sia invidioso di chi eccelle anche cambiando nettamente materia e stile

Quote:
Originariamente inviata da Labocania Visualizza il messaggio
Interessante l'"intermezzo" teologico nel quale viene esposta la concezione personalissima che Dante ha del tema della Fortuna, la figura che impera nell'immaginario medievale:
https://www.youtube.com/watch?v=GXFSK0ogeg4
Sulla Fortuna dirò qualche cosa tra poco.
Colonna sonora azzeccata, comunque
Vecchio 04-09-2014, 02:36   #156
Esperto
 

Quote:
Originariamente inviata da Winston_Smith Visualizza il messaggio
[...] "Maestro mio, or mi dimostra
che gente è questa, e se tutti fuor cherci
questi chercuti a la sinistra nostra"


La parola "aspra" (chercuti: provate a ripeterla tra di voi e vedrete come anche la semplice indicazione della tonsura o chierica può assumere quasi il tono di un insulto) e il modo relativamente sbrigativo con cui si svolge la trattazione dell'avarizia degli uomini di Chiesa è per me doppiamente indicativa.
Doppiamente indicativa perché da un lato Dante non si sofferma più di tanto nella descrizione di questi peccatori, volendo forse avvolgere anche loro nella coltre di anonimato che racchiude tutti gli abitanti del quarto cerchio. Ben diversamente e ampiamente l'avidità degli ecclesiastici sarà esecrata in seguito, ad esempio nel canto dei simoniaci.
In questo canto invece, ed ecco l'altro aspetto indicativo, la condizione degli ecclesiastici è descritta come anonima sì, ordinaria, ma anche comune, naturalmente esposta alla tentazione dei beni terreni (papi e cardinali / in cui usa avarizia il suo soperchio): è in pratica una routine, almeno da quando la Chiesa si è fatta anche Stato e ha tradito il messaggio di povertà evangelico e la separazione dei poteri temporale e spirituale predicata da Cristo stesso, e ormai sono i vertici stessi della Chiesa a propagare l'infezione.

Ultima modifica di Winston_Smith; 05-09-2014 a 15:20.
Vecchio 04-01-2015, 02:19   #157
Esperto
 

Dopo giusto quattro mesi di pausa, il cammino sta per riprendere, alla ricerca della diritta via.
Basta sostituire la lista con l'Opera per sapere perché

Vecchio 05-01-2015, 02:13   #158
Esperto
 

Come spesso avviene nella Divina Commedia, è per bocca di Virgilio che Dante propone la sua (re)interpretazione di alcuni concetti e fenomeni già noti agli antichi, e lo stesso avviene con la Fortuna. Quest'ultima non è più la divinità imperscrutabile che impone il proprio misterioso volere anche agli dei pagani (il Fato o Destino), né una forza capricciosa che si diverte a concedere e sottrarre successi e beni materiali agli uomini in maniera del tutto casuale e senza scopo (l'immagine classica della donna bendata con la cornucopia), bensì un'entità provvidenziale, ministra di Dio, che sovrintende alle permutazioni dei beni terreni così come le diverse intelligenze angeliche, gerarchicamente ordinate, regolano il moto dei cieli distribuendo igualmente la luce (facendo sì cioè che l'opera di Dio si trasmetta in maniera differente, secondo il diverso influsso che presiede ai diversi cieli, eppure omogenea, senza difetti o mancanze).
Il fatto notevole è che anche Dante in precedenza (in particolare nel Convivio), forse sulla scorta di filosofi tardo-romani come Boezio, si rifaceva al concetto di Fortuna come entità capricciosa che quasi si diverte a togliere agli uomini quello che prima aveva dato loro, e Dante stesso si sente un perseguitato dalla sorte a causa delle vicende del suo doloroso e ingiusto esilio. Ma la chiave appunto provvidenziale della storia, che costituisce la misura di tutti gli eventi umani, adottata come criterio ispiratore nella Divina Commedia, interpreta tali mutazioni come parte di un disegno più ampio, che all'uomo non è dato ovviamente contrastare (oltre la difension d’i senni umani, vostro saver non ha contasto a lei), ma neppure comprendere, perché solo nella mente di Dio è possibile racchiudere le risposte ultime e totali sul perché delle cose: lo giudicio di costei, che è occulto come in erba l'angue (non conoscibile, nascosto come il serpente nell'erba). Non solo, poiché il disegno provvidenziale di Dio è necessariamente volto al bene, hanno torto coloro che si lamentano di aver perso ciò che la Fortuna aveva donato loro:

Quest’è colei ch’è tanto posta in croce
pur da color che le dovrien dar lode,
dandole biasmo a torto e mala voce


presumibilmente perché nell'ottica cristiana il vero "successo" è quello della vita ultraterrena, per cui i vantaggi materiali ottenuti in questa vita sono da considerare come un prestito temporaneo, che prima o poi andrà restituito e che anzi, in quanto superfluo e fuorviante rispetto al vero obiettivo che è la salvezza dell'anima, è meglio perdere prima che poi.
Questa verità enunciata con tono così piano ed elegante è in realtà sconvolgente e difficile da inquadrare per la comune ottica umana, che valuta gli eventi come positivi o negativi in maniera diametralmente opposta: si tratta non a caso di una ritrattazione di un concetto precedentemente espresso da una lunga tradizione culturale e filosofica, nonché da Dante stesso (quest'ultimo non resterà un caso isolato di revisione del proprio pensiero da parte dell'Eccelso), e quindi la conflittualità di queste affermazioni mantiene intatta tutta la sua potenza.

Ma ella s’è beata e ciò non ode:
con l’altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode


La Fortuna ovviamente non si fa influenzare dalle lamentele umane nel suo operato: questo non per crudeltà e indifferenza, come si era spesso creduto in passato, ma perché il suo compito è un altro (svolgere il suo ministero di far sì che vicenda consegue, di tenere "in giro" le ricchezze materiali per evitare che si accumulino troppo) e di quel compito essa è beata, in quanto emanazione di Dio.


Come nota stilistica, vorrei infine ricordare come la sublime poesia del più grande genio artistico di tutti gli universi non manchi di lasciare il suo tocco delicato eppure inimitabile anche nel passaggio dalla descrizione degli avari e prodighi alla digressione di Virgilio sulla Fortuna. Un solo esempio valga per tutto il resto:

E quelli a me: "Oh creature sciocche,
quanta ignoranza è quella che v’offende!
Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche.

Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende


La rima sciocche - 'mbocche è l'ultima rima "aspra", che risente dello stile del cerchio degli avari, percuote come una frustata: sciocchi, devo proprio imboccarvi come dei bambini per nutrirvi con le verità più elementari!
Subito dopo, l'innalzamento a quelle verità di fede e alla pace che deriva dalla loro acquisizione e accettazione si traduce in una splendida ed elegante descrizione dell'azione di Dio nell'altro dei cieli, con la bellissima perifrasi Colui lo cui saver tutto trascende e con la rima trascende-splende che rende quasi musicalmente l'idea di uno spazio infinito in cui si dipana la luce di Dio e in cui l'orizzonte dello sguardo si allarga dall'essere bambini sciocchi fino a concepire un livello di conoscenza che trascenda il tutto.
Vecchio 05-01-2015, 02:32   #159
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Attualmente stiamo leggendo
Inferno, Canto VII

(termine per la lettura sabato 24 maggio)

L'anno non è specificato..però sembra una cosa appassionata
Un saluto al conte Ugolino
Vecchio 05-01-2015, 18:04   #160
Esperto
 

Quote:
Originariamente inviata da crasi Visualizza il messaggio
Attualmente stiamo leggendo
Inferno, Canto VII

(termine per la lettura sabato 24 maggio)

L'anno non è specificato..però sembra una cosa appassionata
Ovviamente era il 2014, ma i tempi per le discussioni sui singoli canti possono prolungarsi (specialmente se mi lasciate da solo a tirare la carretta ).

Quote:
Originariamente inviata da crasi Visualizza il messaggio
Un saluto al conte Ugolino
Se manteniamo questo ritmo, per il 2017 ce la facciamo ad arrivarci
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