Ok, inizio io, buttando giù due annotazioni biografiche sull'Autore, che in questo caso direi sono importanti, dato che il film è ampiamente autobiografico.
Andreij Arsenevic Tarkovskij nasce in un piccolo villaggio sulle rive del Volga nel 1932. Suo padre, il poeta Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij,
lascia la famiglia e divorzia dalla madre quando lui ha tre anni. Pur tuttavia nonostante quello con il padre sia evidentemente un rapporto problematico, gli scambi epistolari con lui, specialmente durante l'
arruolamento nell'esercito russo, non mancheranno di influenzare il senso poetico che contraddistinguerà la sua intera carriera di regista. La madre, al contrario, Maja Ivanovna Visnjakova, è una figura forte e contraddistinta da una profonda religiosità (ed
è per lungo tempo stata impiegata in una tipografia) e resta una figura costante nella vita di Andreij.
L'educazione di Andreij vanta una incredibile preparazione in campo artistico durante gli anni di liceo, che spazia dalla musica alla
pittura (ricordate Leonardo?), ed è interessante che il regista in seguito dichiarerà di considerare il cinema più vicino alla musica che alla letteratura, in quanto arti non mediate dall'uso di un sistema di segni. Dopo il liceo si iscrive all'università di lingue orientali e inizia a studiare l'arabo (studi che non porterà a termine). Poi, su consiglio della madre, va a lavorare come geologo nella
taiga siberiana, lavoro che lo riavvicinerà alla natura, la cui presenza sarà costante nelle sue opere.
Al suo ritorno a Mosca si iscrive al VGIK (Scuola Superiore di Cinematografia), dove segue i corsi di Michail Romm, esponente di quel realismo socialista che in quegli anni va per la maggiore e da cui il nostro prenderà le distanze fin dai primi film, pur provando stima per il proprio maestro. Nel 1960, in collaborazione con l'amico e compagno di corso Andreij Mikhalkov Koncalovskij, dirige il suo primo film, un cortometraggio che prende il titolo
Il rullo compressore e il violino. Pur essendo intriso di retorica e schematismo questo esordio mostra già alcuni dei leitmotiv visivi che saranno presenti in tutta la sua produzione: ad esempio le
visioni oniriche, presenti nella sequenza del caleidoscopio, e l'
acqua, presente in un'inquadratura in cui degli alberi si specchiano in una pozzanghera.
Nel 1961 Tarkovskij sposa Irma Rauš, un'attrice conosciuta ai corsi del VGIK. Dal matrimonio nascerà nel 1962 Arsenij Andreevič, primo figlio del regista, a cui verrà dato il nome del nonno. Il lungometraggio successivo,
L'infanzia di Ivan, del 62, vince il Leone d'oro a Venezia ex aequo con
Cronaca familiare di Valerio Zurlini. Il film viene visto come una rottura da quel cinema realista russo e riceve forti critiche, sia da parte dei critici che dei socialisti italiani, dove sulle colonne dell'Unità venne difeso da un articolo di Jean Paul Sartre.
Quindi già con il primo film iniziano i problemi e l'ostilità del regime nei confronti del regista, che proseguono con il successivo
Andrej Rublëv, presentato a Cannes nel 1969 e distribuito in Russia solo nel 1972, e in Italia addirittura nel 1975. Sul set di
Andrej Rublëv Tarkovskij conosce Larisa Pavlovna Egorkina, che sposa in seconde nozze nel 1969, e da cui nel 1970 ha Andrej Andreevič, il suo secondo figlio (
quindi si è separato dalla prima moglie, come il padre e come il protagonista de Lo specchio).
Nel 1972 realizza
Solaris, dall'omonimo romanzo di Stanislaw Lem e nel 1975
Lo specchio. Si tratta indubbiamente del film più ermetico e difficile del regista ed è infatti quello che riceve le più aspre polemiche in patria, dove viene accusato di elitarismo e gli viene vietato di dirigere altri fim. Riesce comunque ancora a dirigere in patria Stalker, grazie a un permesso speciale.
Dal 1980
inizia una vita da esule che lo vedrà girare per tutta Europa e negli Stati Uniti. Nel 1983 realizza in Italia il film
Nostalghia che è una grande metafora della situazione psicologica in cui si trova in terra straniera, e riceve a Cannes il Gran Premio della giuria ex aequo con
L'argent di Robert Bresson. Nel 1986 realizza in Svezia
Sacrificio, grazie all'interessamento di Ingmar Bergman, il suo testamento, che vince diversi premi a Cannes ma manca ancora una volta la Palma d'Oro. Tarkovskij muore nel nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1986 a Parigi e viene sepolto nel piccolo e periferico cimitero ortodosso di Sainte-Genevieve-des-Bois (dove mi recai anni orsono in pellegrinaggio xD).
Concluderei questa brevissima sintesi biografica con le parole di Ingmar Bergman: "Il film, quando non è un documentario, è un sogno. E' per questo che Tarkovskij è il più grande di tutti. Si sposta con sicurezza nello spazio dei sogni non spiega nulla, e d'altronde, cosa potrebbe spiegare? E' un visionario che è riuscito a mettere in scena le sue visioni grazie al medium più pesante ma anche più duttile. Ho bussato tutta la vita alla porta di quei luoghi in cui lui si sposta con tanta sicurezza. Solo qualche rara volta sono riuscito a intrufolarmi."
(che dite, va bene o è troppo didascalico evidenziare i legami della sua vita con il film in grassetto? )
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Lo specchio è un viaggio nella memoria, nel subconscio dell'autore... Più precisamente nel film Tarkovskij non parla di sé ma delle relazioni con le persone a lui care (la madre, la moglie, il figlio). "Questo film doveva ricostruire la vita di persone che io amo infinitamente e che conosco bene. Volevo raccontare le sofferenze di una persona alla quale sembra di non potere in alcun modo ripagare i propri cari per il proprio amore, per ciò che essi gli hanno dato. Egli ha l'impressione di non averli amati a sufficienza e quest'idea lo tormenta e lo ossessiona veramente. [...] Nello
Specchio non volevo assolutamente parlare di me stesso, bensì dei miei sentimenti verso delle persone a me care, dei miei rapporti con essi, dell'eterna pietà che provo per loro e della mia inconsistenza in confronto a loro: del sentimento di un dovere inadempibile. Gli avvenimenti che il protagonista del film ricorda in uno stato di profondissima crisi spirituale lo fanno soffrire fino all'ultimo momento, suscitando in lui tristezza e inquietudine..." (da
Scolpire il tempo). Tutto ciò non viene raccontato con una narrazione tradizionale ma con una poetica cinematografica basata sull'immagine e sull'accostamento libero e assolutamente non cronologico (frequenti sono i salti temporali) ma qua e là analogico o per contrapposizione (l'incendio nel fienile rimanda alla sequenza onirica del crollo della casa - là c'era il fuoco, nel sogno l'acqua -, in un dialogo la madre parla della morte di una compagna di lavoro del periodo in cui aveva lavorato in tipografia, e si passa al ricordo di un episodio con protagonista la madre in tipografia, ecc.).
Il film si presta ad essere analizzato sequenza per sequenza (a cominciare dalla prima sequenza, simbolica, nella quale una terapeuta guarisce un balbuziente, il quale subito prima dei titoli di testa afferma: "io posso parlare"), offrendo molti spunti, ma prima di andare avanti, ch'è già tardissimo, vorrei vedere se a qualcuno torna utile quanto ho scritto e riportato (e se almeno qualcuno ha voglia di leggerlo
), e poi chiedervi quali sono le sequenze che vi sono maggiormente piaciute. Ci sono sequenze oniriche di straordinaria bellezza in questo film, specialmente quella del lavaggio dei capelli e quella della levitazione, entrambe con protagonista la madre. Ma qualcuno potrebbe preferire le sequenze dell'infanzia nella casa in campagna o quelle dell'addestramento militare. Inoltre: vi siete identificati in qualche personaggio in particolare? L'autore bambino? Adolescente? Il figlio Ignat? La madre? Avrete senz'altro notato quanto la madre sia presente, mentre il padre compare per pochi istanti e l'autore stesso da adulto praticamente non si vede mai, il che fa de
Lo specchio anche un film sulle madri, dove con madre si intenda anche la patria.
Per ora è tutto.