Ed anche per me è alfin giunta la frustrazione...
Dato che mi son svegliato nel cuore della notte in preda ad atroci tormenti, ne approfitto per raccontare il mio percorso esistenziale, fatto di analogie con quello di Muttley, ma anche di sostanziali differenze. L'ho già raccontato altrove, ma repetita juvant, e poi serve per chi ha cambiato solo ora canale...
Anch'io fino ad una certa età sono stato un ragazzo sazio della propria non-vita appartata e dei propri interessi solitari, fatti di libri, fumetti, ma soprattutto di idoli di celluloide. Amavo vedere la vita scorrere sullo schermo cinematografico e credevo che mai e poi mai avrei potuto prendere parte a quella vita e che mi sarei dovuto accontentare per sempre di guardarla da fuori. E mi sentivo tutto sommato soddisfatto e appagato.
La differenza sostanziale rispetto al percorso di Muttley è che mentre per lui la presa di coscienza di questa non-vita si colloca nel periodo universitario, per me invece quel periodo è stato quello durante il quale ho raggiunto il non plus ultra dell'evitamento e della vita appartata. Mentre nella scuola ero costretto ad avere delle relazioni, nell'ambito universitario potevo vivere di evitamento. Credevo in questo modo di soddisfare una mia esigenza interiore di solitudine, che in precedenza mi era stata negata. Ma mai avrei potuto commettere errore più grande.
Inoltre ero terrorizzato dal lavoro, dalla vita futura, dal dover prendermi delle responsabilità. Al termine degli studi universitari tentai di evitare i colloqui di lavoro. Ricordo che mio padre mi prese di peso e mi ci trascinò. Alla fine venni assunto. Ma le mie paure vennero disattese, mi trovai in un ambiente rassicurante e familiare nel quale le mie capacità erano esaltate e nel quale sia colleghi che clienti mi vedevano come "colui che risolve i problemi". Un po' alla volta acquisii una certa sicurezza. Ma intanto ai soddisfacimenti della vita professionale faceva da sfondo la vuotezza della mia vita privata. Gli "altri" si facevano una vita, andavano avanti, si fidanzavano o si sposavano, o addirittura avevano figli. Ed io intanto restavo indietro. E così ebbe inizio la mia frustrazione.
Iniziai a vagheggiare una relazione sentimentale con una lei timida, una lei ideale, uguale in tutto e per tutto a me, che mi potesse capire. Provai a cercare dei contatti su Internet, ma non concretizzai nulla, neppure un incontro. Man mano che il mio processo di auto-analisi andava avanti mi resi sempre più conto di quanto ero inadeguato, di quanto, pur anche nella remotissima probabilità che fossi riuscito a trovare una ragazza siffatta, saremmo stati entrambi infelici.
Ne consegue che oggi sono quanto mai frustrato. Il mio percorso è solo iniziato ed il futuro mi appare quanto mai incerto. Ma sono felice di averlo iniziato e la rassegnazione ha quanto meno ceduto il campo a un po' di speranza.