Sono reduce da una litigata furiosa con un amico, una di quelle litigate che mi possono capitare solo con lui ma che un tempo avrei giudicato sintomo di un rapporto disturbato e fuori controllo...un tempo, dopo un simile scontro verbale (nato fondamentalmente da una divergenza di opinioni e che ha più volte rischiato di sfociare nello scontro fisico) non sarei mai più riuscito a parlare o a rivedere questa persona, né tanto meno a pensare a lui senza provare grosso disagio. Oggi invece ci siamo semplicemente congedati con un "ci si vede domani" ed è tutto finito, e so già che domani ci si rivedrà, litigate o meno.
Per anni ho osservato le persone scannarsi e riappacificarsi con una velocità e una naturalezza per me inconcepibili, senza capacitarmi di come costoro fossero in grado di mandare avanti relazioni pluriennali, e anche da bambino ero solito idealizzare i rapporti d'amicizia in maniera tale da pensare che all'amicizia stessa si dovessero sacrificare possibili livori, contrasti e qualsiasi genere di emozione negativa: proverbiale era l'incapacità di comprendere l'atteggiamento dell'amichetto del cuore in prima elementare il quale, dopo avermi giurato amicizia imperitura e infinita un giorno, era pronto a scatenarmi addosso i suoi rancori di probabile genesi famigliare il giorno dopo: un litigio con la madre o col padre era bastevole a irritarlo e a fargli scagliare tutto il suo astio contro il sottoscritto...eppure io già allora mi domandavo: "come fai a definirti mio migliore amico se oggi mi tratti così? Non pensi forse che, in virtù della nostra amicizia, dovresti trattenere quanto di negativo c'è in te perché soltanto ieri mi avevi definito il tuo migliore amico?". E' chiaramente una visione ultra-idealista delle relazioni umane ed è stato anche il motivo per cui per tanto tempo mi sono tenuto al di fuori delle stesse perché il mio idealismo, conseguenza della mia accentuata sensibilità, mi avrebbe condotto a giudicare come inaccettabili cose accettate dai più.
Ora invece, crescendo ed evolvendomi, sto sempre più impermeabilizzandomi alla forza delle emozioni (soprattutto quelle negative). E' il destino comune a coloro che stanno crescendo? E' questo il significato racchiuso dietro all'espressione "maturare emotivamente"?