Sapete cosa si intende per compiti di sviluppo? Ecco una spiegazione:
Il concetto di compito di sviluppo fu elaborato da Robert J. Havighurst nel 1948. Da allora è stato funzionale allo studio dello sviluppo adolescenziale per più di cinquant’anni, rimanendo sempre un concetto di attualità e importanza sia per i teorici dello sviluppo e per i ricercatori , che per gli stessi adolescenti.
Nella definizione di Havighurts (1984) si intende per compito di sviluppo un compito che si presenta in un determinato periodo del ciclo di vita dell’individuo, la cui buona risoluzione conduce alla felicità e al successo nell’affrontare i compiti successivi, mentre un fallimento o una cattiva risoluzione conduce all’infelicità, alla disapprovazione da parte della società e a difficoltà nella realizzazione dei compiti evolutivi che si presenteranno in seguito. I compiti evolutivi nascono e si collocano nel mezzo tra bisogni individuali e richieste sociali e possono variare a seconda dello specifico contesto socio-culturale a cui l’individuo appartiene.
Parlando della mia esperienza (che penso sia simile a quella di molti di voi), il primo compito di sviluppo che ho saltato è quello che si presenta per la prima volta durante la pubertà, ovvero la scoperta dell'affiliazione e del gruppo di appartenenza. Anche durante l'infanzia si ha bisogno degli amici, del
peer group eccetera, ma tutto ruota ancora principalmente intorno alla famiglia di origine. I genitori o caregiver sono il nostro centro orbitale, gli amichetti fanno capolino qua e là ma è con l'approssimarsi dell'adolescenza che il gruppo diventa preponderante.
Proprio in quella fase ho iniziato a sentirmi diverso dagli altri: il gap accumulato nei confronti dei coetanei si era allargato a tal misura da rendere complicati e invivibili i rapporti con loro. Non capivo come interagire, ero ancora rimasto fermo alla fascia anagrafica precedente, infatti faticavo molto a elaborare con la stessa velocità gli input del mondo esterno. Prendete due ragazzini in età prepuberale: interagiscono tra loro con molti limiti, è ancora limitato il loro bagaglio dialogico e relazionale, mentre invece con l'adolescenza quest'ultimo subisce un'accelerazione portentosa. Io rimasi fermo all'età in cui le parole sono ancora legate al loro senso letterale, non capivo il sarcasmo, non riuscivo a lasciarmi rimbalzare commenti velenosi e sfottò e faticavo a elaborare una conversazione prolungata (a meno che non fosse un botta o risposta in cui era l'altra persona a farmi domande).
Cominciai a percepire i miei coetanei come distanti, irriverenti e insensibili e mi chiusi del tutto al mondo esterno per rifugiarmi nella contemplazione pura e semplice. Ovviamente in tutto questo non è che rivalutai la mia famiglia, anzi li ritenevo ugualmente tossici anche se in maniera differente.
Avevo insomma accumulato il primo gap: mentre gli altri imparavano a processare i segnali esterni con velocità e scioltezza, io rimanevo al palo, ero come un computer di vecchia generazione che crasha in continuazione se provi a farci girare più di un'applicazione per volta.
Ai tempi non ero ovviamente consapevole di tutto ciò, cioè di aver saltato il mio primo compito di sviluppo, pensavo solo che i miei coetanei fossero cattivi, incivili e irrispettosi mentre io ero l'introverso bambino d'oro vittima della malvagità altrui, come il protagonista di un dramma brechtiano.
E voi che avete da dire in merito?