Mi è venuta l'idea di sintetizzare il mio stato d'animo con una metafora. Qui spesso mi sembra di non essere capito e che si tenda a svalutare le cause dei miei problemi, ricorrendo ad un'eccessiva generalizzazione in rapporto a quelli che sono i problemi degli altri.
Una metafora di guerra mi è sembrata idonea, non focalizzatevi sull'aspetto militare ma cercate di coglierne il contenuto.
Un generale (il sottoscritto) decide di voler vincere la guerra (la vita) concentrando tutte le sue forze su un unico fronte (lo studio). Prima della battaglia più importante si rende conto dell'errore strategico fatto e di aver aperto un fronte che non sarà in grado di fargli vincere la guerra, rendendosi conto dell'esistenza di altri fronti (altri aspetti della vita: amore, amici, divertimenti). Decide quindi di battere in ritirata strategica, disertando una battaglia, senza aver perso la guerra. Ha infatti ancora ottimi soldati e munizioni a disposizione (obiettivi e motivazioni) per affrontare con rinnovato ardore la guerra. Tornando indietro il suo stato maggiore (la famiglia) scambia questo suo atteggiamento per codardia (era successo in passato) e ritiene di rimandarlo in un punto diverso del fronte, una trincea malarica dove non ci sono grandi battaglie (grandi opportunità) ma solo una sfiancante guerra di logoramento (poche e ben diverse opportunità) e si rischia di compromettere lo stato della truppa. Lo stato maggiore ritiene inoltre che da tale fronte, pur ritenuto strategicamente inidoneo (sanno che non ci sono opportunità) debba essere vinta la guerra, ritenendo che solo successivamente lo truppe possano essere smobilizzate per gli altri fronti. Attualmente lo stato delle forze del generale è definitivamente compromesso: non ci sono più armi e munizione e gli stessi soldati sono sfiniti e stanchi. E assai probabile che vinca una battagliola (la fine degli studi) ma ormai non ha più risorse per combattere sugli altri fronti. E assai probabile che tutta la guerra venga perduta.
La battaglia vinta è infatti di poco peso nella generalità della guerra, se confrontata con la situazione precedente. Una volta smobilitato il generale e la sua truppa (cioè dopo la fine degli studi) questi viene posto a fare servizi ausiliari e di secondaria importanza ( le opportunità professionali poco appetibili). Egli non può fare a meno di considerare la situazione passata e commiserarsi per la sua disgrazia. Vorrebbe a questo punto abbandonare la vita sul fronte (insistere con le mediocri opportunità lavorative che avrà) e passare nelle retrovie,accettando il declassamento (cioè ripiegare su altro, ad es. lavori non da laureato). La diplomazia (cioè la "pressione sociale" conoscenti e parenti) e lo stato maggiore (la famiglia) impongono una serie di meccanismi che stabiliscono l'avanzamento del fronte a tutti i costi (cioè dopo gli studi continuare a prendere schiaffi in un settore che non mi piace), nonostante questo non sia più considerato strategico. Il generale sa bene che continuare a logorarsi su quel fronte implicherà la diserzione (cioè rifiutare le possibilità future), e vorrebbe passare ad altri fronti (cioè gli altri aspetti della vita) accettando il declassamento.
Tuttavia egli è ben consapevole di non avere più armi e munizioni (obiettivi e motivazioni) e l'educazione avuta gli fa ritenere disonorevole il declassamento. Infatti l'eccessivo disonore provato e le battaglie perse gli impongono come inevitabile l'harakiri, anche solo in senso figurato (isolarsi dalla società).
Avete capito come mi sento?