Piccolo più di me, calvo, pochi capelli rimastigli, e gli occhietti piccoli, il naso lungo, a volte rossastro, solcato da minuscole venuzze.
Mio padre.
I miei sono separati, da anni ormai. Nessuna sofferenza. E' così da quando avevo sei anni.
Li ho sempre considerati due entità scisse, senza nessun problema.
Abito con mia madre e mia sorella, che mia madre ha avuto da un padre diverso. Voglio molto bene a mia madre e a mia sorella. Voglio bene pure a mio padre, con cui ho, però, un rapporto di freddezza emotiva, come se non riuscissi a comunicarci. E' stato da sempre così. Prima, però, andavamo al cinema, giocavamo con la playstation, chiaccheravamo del più e del meno, come amici confidenti; poi il nostro rapporto si afflosciò come una pianta che ha fatto la sua stagione, e il tempo che passai con lui fu sempre meno. E' un brav'uomo, per carità, onesto e lavoratore, forse un pò superficiale in certe cose, ma comunque una brava persona.
Quando lo vado a trovare nella sua abitazione, posta sopra quella della mia amata nonna, con la quale ho passato parecchio tempo quando ero piccolo, e allora salgo le scale che mi portano alla sua abitazione, sono colto da ansia, e ho come un blocco in gola. Quando lo vedo, quasi una figura estranea che mi viene ad aprire la porta, sono colto da disagio, tipo da una sottile ansia. Non è un disagio invincibile, no, ma il cuore mi batte più forte del normale, e d'improvviso sono consapevole del mio corpo, ma in senso non positivo, come se non vedessi l'ora di andarmene da quella casa, nella quale ho vissuto i miei primi anni. Spesso, quando busso alla porta con quattro vetri - piano, perchè ho paura di disturbare - dietro di lui, seduta sul divano davanti alla televisione, c'è la convivente, una donna ucraina dai lineamenti duri, con la quale non ho grandi rapporti, e guardingo, come fiutando l'aria, mi dirigo verso la stanza prediletta di mio padre, dove un immenso schermo che fa da computer troneggia come un dio elettronico su tutta la stanza.
Mio padre è fissato coi computer.
A fine mese mi da i soldi del mio mantenimento, i soliti 280 euro, e ogni volta che lo vado a trovare mi ripete le stesse cose, come un disco incantato: quando lui morirà, sebbene la casa sia intestata a me, dovrà abitarci la sua convivente, sino a quando, almeno, non deciderà di andare nel suo paese, oppure morirà, magari di vecchiaia.
Io sono lì davanti a lui e non so che dire. Non vedo l'ora di andarmene. Gli faccio dei complimenti improvvisati dicendogli che è dimagrito, che la sua pancia si è ritirata, e che lo trovo bene, anche se in realtà negli ultimi anni si è fatto di colpo vecchio.
Non molto tempo fa s'è comprato una Mercedes metallizzata, dando via la sua vecchia macchina, che preferivo.
La Mercedes è una macchina da fighetti.
E poi si lamenta di avere pochi soldi.
Ma, alla fine, è una brava persona.
Solo che quando lo devo incontrare mi sento inquieto, e quasi mi preparo prima cosa dire. Alla fine, chiaramente, va tutto bene.
Ma poi, la volta successiva, mi sento sempre nervoso.
Con mia madre tutto alla grande. Anche con mia sorella.
A voi capita questa situazione? Che magari c'è un rapporto di cortese freddezza col vostro padre, e magari vi sentite impotenti perchè vorreste migliorare questo rapporto ma alla fine non ci riuscite, e quando siete con lui non sapete cosa dire benchè sia vostro padre? Insomma, è vero che i genitori spesso mettono inquietudine, e che il rapporto tra padri e figli è spesso romanticamente tormentato, come in certi vecchi romanzi russi dell'800?
Insomma, vi sentite sempre a vostro agio con vostra madre o vostro padre, oppure conoscete le sensazioni di cui vi sto parlando?