Non sempre si vuole esprimere un pensiero in casi del genere e la diplomazia o il conforto sono solo delle convenzioni sociali per indorare la pillola.
Mi capita spesso di rapportarmi con persone che vivono direttamente una patologia importante e a prognosi infausta (es. cancro) oppure con i familiari di persone che sono in pericolo di vita.
Premesso che la mia formazione per rapportarmi e gestire queste persone non è paragonabile a quella di uno psicologo, io non ho mai mentito o dato false speranze a queste persone.
Col tatto e con il giusto grado di dettaglio legato al contesto e alla necessità, ho sempre detto la verità nel modo più empatico possibile, omettendo il non necessario e, in alcuni casi, anche trincerandomi nel silenzio perché non volevo né entrare nella vita dell'individuo, né ero in grado di dire qualcosa sul tema.
Ci sono anche casi in cui, pur non essendo psicologo, spontaneamente e sinceramente, dico di più e col preciso intento di fare counseling, talvolta recepito come tale ed efficace per la persona.
Insomma, non bisogna sentirsi in colpa, né in obbligo di dire sempre qualcosa ed è giusto così