Mah, l'articolo è interessante nel momento in cui descrive aneddoticamente due episodi. Sono esperienze di vita, per quanto riportate attraverso il filtro di chi l'ha vissuta (e a sua volta probabilmente influenzata dall'esser transitata attraverso una terza persona che ci ha voluto scriver su un articolo a tesi).
Poi appunto, finito il racconto parte la soluzione: che è arroccarsi. Non osare, non mettersi in gioco. Non rischiare minimamente di doversi domandare se si sia fatto qualcosa di sbagliato, perché è assolutamente impossibile.
Insomma questa autrice deve avere una gran pessima opinione della forza d'animo della sua amica. La reputa una specie di andicappata emotiva non in grado di fare un'autoanalisi dei suoi (possibili) errori senza allo stesso tempo alcuna possibilità di considerare gli altrui: o è una cosa o è l'altra, in questa visione monocromatica.
E soprattutto senza la resilienza necessaria per reggere alla "delusione" di due uscite rivelatesi al di sotto delle aspettative.
Se il consiglio che vien dato per affrontare questa difficoltà è di tener gli uomini sulla graticola per due settimane, mi domando che razza di consigli potrebbe dare all'amica qualora fosse alla ricerca di lavoro. Evitare di fare colloqui per scongiurare il rischio di rifiuti? Parlar chiaro con il selezionatore, alla fine del lavoro, dicendogli/le "senta, il suo
le faremo sapere se lo può mettere dove preferisce: mi dia una risposta netta entro sera oppure dò per scontato che non ci sia interesse"?
O per mantenere la linea di condotta sopra espressa, tener sulla graticola il futuro datore di lavoro per due settimane? "Non è che sto davvero cercando lavoro, volevo solo esplorare nuove possibilità, vedere se c'è qualche offerta interessante, scoprire possibilità di reinventare me stessa...".
Il tutto per non affrontare il problema alla radice, tanto doloroso da ammettere quanto da gestire: siamo tutti*, uomini e donne, tendenzialmente fragili e insicuri, e non vogliamo ammetterlo. Ma abbiamo una paura sproporzionata del rifiuto, temiamo che questo ci svaluti come persone perché fatichiamo ad attribuirci un valore da soli. E così ci mostriamo disinteressati/e, in modo da poter attuare una
plausible deniability qualora la nostra sussurrata manifestazione di interesse non trovi un corrispettivo.
Peccato che dall'altra parte il messaggio che arriva non è quello di esser desiderati ma non aver il coraggio di esternarlo. Il messaggio che arriva è quello di esser desiderati ma non abbastanza. E quindi non desiderati per ciò che si è, per la propria specificità e individualità, ma come rimpiazzo, sostituto, segnaposto, riempitivo, succedaneo.
Per questo che il consiglio datole è demenziale. Perché anziché affrontare (ad esempio) il problema dell'uomo imbranato che poteva esser una scopata papabile (e forse anche l'inizio di qualcosa di più consistente), suggerisce come strategia quello di farsi imbranata a sua volta. Così da scoraggiare proposte di uscita sia dagli imbranati, sia dai marpioni senza ritegno, e sia anche da persone mediamente normali e a posto, ma che non hanno certo tempo da perdere a seguire le manfrine di una che non sa gestirsi l'impatto emotivo di un appuntamento andato in maniera negativa.
*salvo eccezioni, così WS non mi ruga il mandrillo