Rosella Di Giuseppe è la dirigente scolastica dell’Istituto superiore a indirizzo linguistico e delle scienze umane «Jean Jacques Rousseau», in via delle Sette Chiese. La scuola dove era iscritto F., che alla fine del quarto anno, nel luglio 2019, si è tolto la vita per i presunti maltrattamenti ad opera di un professore di matematica.
L’ex docente, 68 anni, in pensione da uno, è indagato per istigazione al suicidio.
«Mi faccia dire subito: una vicenda dolorosissima allora come oggi che se n’è tornato a parlare».
L’inchiesta sembra chiamare in causa anche vostre possibili responsabilità: c’erano segnali che non avete colto? Comportamenti che non avete censurato?
«Ce lo siamo chiesti spesso in questi mesi, ci siamo interrogati nel consiglio scolastico, io stessa mi sono andata a riguardare tutti i registri e gli atti riguardanti F.: la risposta è no, non c’erano elementi che potessero annunciare un disagio con quelle conseguenze. Quanto al nostro comportamento, gli ispettori del ministero dell’Istruzione, venuti nella scorsa primavera a indagare sul caso, hanno poi archiviato con questa motivazione: “Emerge che sono stati adottati tutti i comportamenti adeguati”. Hanno approfondito ogni aspetto, parlando anche con i genitori del ragazzo».
Sono questi ultimi ad accusarvi di aver trascurato F., di non averlo aiutato. E di aver ignorato le mail in cui vi chiedevano chiarimenti. In particolare su una nota in cui il professore umiliava il ragazzo: «un bambino di 5 anni saprebbe fare meglio».
«Su questa vicenda è stata fatta molta confusione. Quella nota è del 7 giugno, praticamente a scuola finita e il suicidio è di un mese dopo. Io ne sono venuta a conoscenza solo il 12 luglio, all’indomani della morte di F., quando i genitori vennero a scuola ad accusarci. Non ne ero stata informata prima e d’altronde non avevo motivi per andare a controllare sul registro elettronico».
Ma è vero però che la famiglia si era già lamentata del professore.
«Dopo quella nota, della quale ripeto non sono venuta a conoscenza prima del 12 luglio, ho ricevuto una loro mail in cui non ne veniva fatto cenno ma si parlava di comportamenti non adeguati del docente, che io convocai in presidenza. Mi disse , davanti a testimoni, che si trattava di un equivoco ed essendo ormai a fine scuola lo invitai a contattare personalmente la famiglia per chiarirlo. Non so se l’abbia fatto ma d’altronde neanche mai la famiglia è venuta qui di persona prima della tragedia».
Come definirebbe quella nota?
«Sicuramente aveva una durezza che il professore non avrebbe dovuto metterci ma ripeto che allora non mi sembrò un problema grave. F. era un ragazzo perfettamente inserito, con buoni voti, mai bocciato o rimandato negli anni che è stato da noi, incluso l’ultimo. Neanche in matematica».
Che giudizio ha del professore?
«Non diverso da altri. Non burbero, sicuramente tradizionale nell’approccio ma detto con accezione positiva. Dopo la pensione so che ha cambiato casa e non l’ho più sentito».
Quella nota però non fu un episodio isolato, come hanno riferito al pm i compagni di classe di F.
«Riguardando i miei atti ho rinvenuto solo un precedente, una frase che il professore disse al ragazzo e che mi fu segnalata dall’insegnante di sostegno come “non appropriata”. Chiamai anche allora il docente in presidenza, lo pregai di stare più attento anche nel linguaggio e nel rispetto delle diverse sensibilità. Mi rassicurò dicendo che avrebbe tenuto conto di questo».
F. aveva una diagnosi di Dsa, disturbo specifico dell’apprendimento e i genitori lo avevano iscritto presso il vostro istituto anche in virtù dell’attestato di «dislessia amica» che vantate. Forse si aspettavano maggiore attenzione nei confronti del figlio.
«Cominciamo col dire che F. era un ragazzo chiuso ma non isolato. È arrivato da noi al secondo anno e pian piano si è inserito. Parlando con gli altri docenti e con i compagni di classe ho avuto tante conferme in tal senso. Conservo ancora le mail che la famiglia mi mandò quando F. era in terza, ringraziandomi per l’accoglienza avuta dal figlio. Mi dissero anche che i problemi di inserimento erano superati e che le incomprensioni iniziali, proprio con quel professore di matematica, erano superati. I disturbi di apprendimento di F. erano lievissimi e sono frequenti, non aveva in base alla legge un insegnante di sostegno ma fui io a chiedere di avere un occhio di riguardo anche per lui alla professoressa dedicata a un altro ragazzo nella sua classe».
Che cosa è successo allora?
«La vita dei ragazzi non si esaurisce nelle ore a scuola. F. era un ragazzo come tanti, praticava sport, veniva da una famiglia benestante. Avremmo voluto partecipare ai suoi funerali ma ci è stato chiesto di non farlo da parte dei genitori, che ci hanno invitato anche a rimuovere un ricordo a lui dedicato sul sito della scuola. La sua morte è una ferita anche per noi».
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Opinioni? A parte l'ovvio tentativo di pararsi il culo della preside, è difficile stabilire dei confini. Quanto ha a che fare il suicidio di questo ragazzo con i modi del professore? Quanto si poteva fare e capire prima? Dove termina il confine tra le eventuali colpe dell'istituto (e in generale dell'ambiente) e dove inizia la eccessiva fragilità del ragazzo?
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