I ricordi di quanto succedeva sono ancora molto vivi.
Evidentemente sin dall'infanzia era chiaro quanto fossi poco propenso a socializzare.
Se gli altri bambini stavano in cortile a giocare, io me ne stavo nell'angolo a osservare, e/o fantasticare per conto mio.
Se in casa arrivavano ospiti l'opzione primaria era fuggire a rinchiudermi in camera mia (dove c'erano i miei giochi, i miei fumetti).
Per citare solo due casi.
Evidentemente ai miei genitori questo non piaceva.
Chissà se, da parte loro, c'era una genuina volontà di aiutarmi a superare questo "problema" oppure un'
ostilità verso la mia diversità, la mia particolarità, chissà se il loro era solo un desiderio di ricondurmi in qualunque modo alla normalità, perché si vergognavano di me.
Fatto sta che appena ce n'era la possibilità facevano in modo di reindirizzarmi verso la normalità, verso la socializzazione.
Se venivano ospiti mi era fatto divieto di andare in camera mia, bisognava restare a "fare compagnia agli ospiti". Fosse pure gente di cui non me ne poteva importare di meno.
I miei non erano credenti, ma ogni domenica mi era imposto di andare a messa (si viveva in un paesino molto credente), come tentativo appunto di farmi socializzare cogli altri bambini, che ci andavano tutti. (btw, anche da qui deriva la mia ostilità verso la religione)
Ogni Estate iscrizione obbligatoria ai campeggi del paese, sempre per imparare a vivere in compagnia. Campeggi che ho odiato sempre con tutte le mie forze.
Questi sono solo alcuni esempî, i primi che mi vengono in mente. Ce ne sarebbero molti, molti altri.
In ogni caso i miei genitori, soprattutto mio padre, dimostravano scarsa tolleranza alla mia tendenza a isolarmi, e con tutta una serie di divieti e obblighi tracciavano un percorso che, volente o nolente, mi conducesse verso gli altri bambini.
Questi tentativi di "programmarmi" per la socialità cessarono solo quando raggiunsi l'adolescenza avanzata, ovvero quando era ormai chiaro che non c'era più nulla da fare... o forse quando i miei decisero di lasciarmi (finalmente) in pace.
Se scrivo su questo forum è evidente come tutti questi tentativi (benevoli o malevoli che fossero) di
indirizzarmi alla normalità, tutti questi tentativi è evidente come siano miserevolmente falliti.
Già all'epoca, già da bambino, non facevo che viverli male: intanto perché mi costringevano a stare in mezzo agli altri, quando
non era ciò che volevo; in secondo luogo li vivevo come una
prevaricazione: avvertivo chiaramente il tentativo, come detto più sopra, di "programmarmi", di intervenire sulla mia natura, di modificarmi come fossi una macchina, una marionetta, un oggetto. Come se il mio parere, le mie inclinazioni non contassero niente.
È anche per questo che, ancora oggi, la socializzazione è qualcosa che
mi manca, verbo "mancare" nel senso di "sentirsi privati di qualcosa che si desidera"; ma al contempo è qualcosa da cui
fuggo volontariamente perché inguaribilmente caricata delle sfumature dell'
imposizione; e la vita solitaria diventa così, anche oggi che vivo lontanissimo, nello spazio e nel tempo, dai miei genitori e dai giorni in cui, bambino, non potevo che obbedire, diventa una sorta di ribellione a quelle imposizioni, a quel tentativo costante di reintrodurmi nel gregge degli altri.