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Originariamente inviata da elie93
Ormai è un anno che ci vado una volta a settimana. Il problema è che malgrado tutto questo tempo non riesco mai ad aprirmi totalemte con lei, non riesco a rivelarle ogni cosa che provo, sento o faccio. Sicuramente le cose che dico a lei apparte ai miei genitori non le dico e non le direi mai a nessuno però rimane sempre qualcosa di nascosto, che non voglio e non riesco a far venire fuori. Non so se mi abbia aiutato, non me ne sono resa conto. Sicuramente sono cambiata in anno ma non riesco a capire se sia anche per mano sua. Se provo ad immaginarmi il mio psicologo ideale penso ad una persona con cui riesca a lasciarmi andare totalemte, con cui mi senta libera e con cui possa dire ogni cosa che mi passa per la testa. Con lei non è così. E poi un altra cosa che mi da fastidio sono i soldi, il gesto di pagarla ben 60 euro dopo ogni seduta mi innervosice e comincio a pensare che sia il momento di finirla qui.
Se decidessi di smettere subentrerebbe però un altro problema, come cavolo faccio a dirlielo? io non ho assolutamente il coraggio! non saprei che spiegazione dare, come cominciare un discorso!!!
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Molti partecipanti del forum sono giovanissimi, studenti non lavoratori, ancora mantenuti dai genitori. Questa situazione grava sul buon funzionamento della terapia in quanto il pagamento non viene vissuto come un valore. I 60 euro, infatti, arrivano direttamente dalle tasche della tua famiglia, non hai fatto nessuno sforzo per guadagnarli, ti restano solo problemi di coscienza.
Chi lavora sa bene che un'ora di terapia vale una giornata di sudore, quindi pretende di sfruttare al massimo ogni minuto di conversazione. Non senti questo obbligo e quindi non ti impegni completamente, cioè fai una "resistenza" eccessiva.
Fare resistenza è un evento normale. Ad esempio, il paziente si sente minacciato (cioè ha "paura" di guarire) e crea una serie di blocchi mentali che annullano ogni consiglio dello psicologo.
Molto spesso la resistenza è notata, ma non viene comunicata al paziente, semplicemente è considerata parte del percorso terapeutico. Il desiderio di interrompere le sedute è una forte resistenza che potrebbe nascere dalla sensazione di "aver detto troppo", col timore di essere vicino a un cambiamento obbligato, probabilmente molto doloroso.
Aver fiducia in un dottore è molto importante, in psicologia è fondamentale. La decisione di interrompere è tua, devi considerare che:
1) La psicologa lo ha già capito.
2) Lo psicologo "ideale" non esiste, siamo noi che lo creiamo.
3) Con un nuovo psicologo dovrai ricominciare tutto dall'inizio. Questo significa un anno buttato via.
Rotoli giù dalle scale e ti portano al pronto soccorso. Alla domanda "dove ti fa male" dovrai per forza dire il punto esatto, se ti fa male il sedere non devi indicare la spalla perché ti vergogni a farti toccare le chiappe. Rischi di zoppicare per il resto della vita... Quindi la verità è fondamentale per essere ben curati.
L'uso intelligente delle prossime sedute potrebbe proprio concentrarsi sul perché non riesci a dire tutto, con una facile domanda diretta: "Dottoressa, come mai le dico le bugie?", e lei ti spiegherà i motivi (meglio di me) che portano la mente a nascondere i propri difetti. Oppure parlate del tuo desiderio di cambiare medico, sarà lei stessa a proporti le giuste alternative. Se abiti in una città medio/grande rivolgiti a un ospedale con una sezione di psicologia che fa terapie a lungo termine. Il responsabile, dopo un colloquio iniziale, sceglierà il medico più adatto alle tue esigenze. Attraverso il SSN resterai in coda per alcuni mesi, ma verrai a spendere molto meno.