Non avevo intenzione di parlare dei miei problemi, ma visto che lo richiede il regolamento farò un papiro.
Iniziamo da ciò che è sempre stato: sono una persona solitaria per scelta, ma anche per costrizione. Da piccola la mia intelligenza (o semplice maturità) sopra la media mi portava ad isolarmi dagli altri bambini, ad annoiarmi, ad essere ipercritica nei loro confronti, antipatica. Ero la cocca delle maestre.
Però ero anche molto buona, soprattutto con gli animali, salvavo i topini dalle trappole, le lucertole dai secchi d'acqua, forse perché sono cresciuta con tre cani grandi e grossi e uno piccolino, il mio migliore amico, che mi ha insegnato a camminare, abbiamo condiviso tante merende, gli ho fatto tanti scherzi. E' morto per vecchiaia sotto ai miei occhi, ho suonato il flauto quando lo hanno seppellito.
Alle medie, la mia intelligenza (non sono mai stata secchiona, posso giurarlo anche su mio fratello) aveva l'effetto di farmi detestare anche dalla mia migliore amica, che aveva problemi in famiglia, io cercavo di coinvolgerla in ogni lavoretto che trovavo in modo che avesse un po' di soldini anche lei visto che stava sempre a secco, l'aiutavo coi compiti rispiegandole le cose anche dieci volte, le prestavo le mie cose...
E niente, ho passato 13 anni a sentirmi dire che ero viziata, egoista, e pure un po' tr... finché non l'ho mandata a quel paese.
Ma i danni che mi ha fatto sono sempre qui. Ho sempre dato la colpa a me stessa, tutti hanno sempre dato la colpa a me, perché io sono acida, aggressiva, superficiale, saputella. Pure mia madre difendeva le ragioni degli altri, non ha mai saputo che il mio fidanzato a 15 anni mi metteva le mani addosso, quello a 17 mi prendeva in giro perché non ero perfettamente nei suoi canoni di bellezza fisici, non ha mani neanche saputo che mi tagliavo finché l'ultima volta non mi ha letto il diario. I miei mi hanno costretto ad andare dalla psicologa a 15 anni perché la bolletta del telefono era troppo alta, prima una dottoressa, poi un'altra, senza chiedermi pareri, mi sono sentita come una lavatrice da riparare. Non vedevano quanto piangevo, perché l'ho sempre tenuto solo per me.
Mi sono tenuta sempre tutto dentro, a 12 anni mi tagliavo con il rasoio, ho smesso, ho ricominciato a 15, ho smesso, ho ricominciato a 20. Sono arrivata a pesare 48 chili, avevo i polsi più larghi dell'avambraccio e mi erano andate via le mestruazioni.
E ogni volta ho deciso che dovevo venirne fuori. Ho tagliato i ponti con le amicizie sbagliate, coi fidanzati che mi volevano piegare, spezzare, tenere al guinzaglio. Non ho mai avuto paura di dire addio per sempre.
A 16 anni mio padre se n'è andato, dicendo che non era contento di noi, i suoi figli, poco tempo dopo mi è venuto a dire che se mia madre non gli dava i soldi che secondo lui gli doveva se ne sarebbe andato nell'Europa dell'Est con la sua fidanzata (un'arpia che non ho mai potuto sopportare, meno male che l'ha lasciata) e anche se abbiamo riallacciato i rapporti quel giorno fa ancora male. Ci sono così tanti giorni che fanno ancora troppo male.
Eppure, mi sembrava di esserne uscita a testa alta. Sono stata bene, ho trovato nuove compagnie, un ragazzo che ci tiene davvero a me, che mi ha guarito dalla maggior parte delle insicurezze che avevo sul mio fisico, mi fa sentire amata e desiderata e sicura, ormai è l'unica persona che lascio avvicinare. Non mi piace il contatto fisico con nessuno a parte lui. Nè i miei, nè mio fratello, nessuno.
Ma forse è arrivato tardi anche lui. Non ho mai imparato ad aprirmi se non attraverso la scrittura, non sono mai stata capace di esprimermi parlando.
Ho sofferto per tutto il periodo dell'adolescenza, la mia identità è stata scolpita nel dolore, e senza esso non mi sento niente. Non ho combustibile per andare avanti. Non sono capace di essere felice.
Non riesco a prendere in mano la mia vita, costruire un futuro, esse chiara, capire cosa voglio. L'unica strada che ho imparato a tracciare è quella che mi porta ad uscire dal dolore, ma senza non so dove andare. L'ho capito pochissimi giorni fa, prima che mia madre non mi dicesse che se insisto a voler studiare e lavorare part-time mi butta fuori di casa, mi manda a stare da mio padre, perché secondo lei non sono in grado di sostenere il peso, e il male che covavo è riesploso.
E mi vuole di nuovo trascinare dalla psicologa, mentre io di nascosto ho già iniziato a contattarne un'altra, una che ho scelto io, di cui mi fido. Ha sempre pensato di sapere solo lei cosa fosse meglio per me, anche se da 6 anni che stiamo con quella strega di mia nonna (una che mi augura di restare sempre sola quando oso darle torto su qualcosa, o che quella non è casa mia e altro) non è ancora riuscita a capire che vorrei che ogni tanto invece di dirmi di tacere mi desse ragione in una discussione con quella vecchia, per farmi sentire che anch'io valgo qualcosa lì dentro.
E se può entrarci qualcosa, a capodanno del 2013 il mio cane è morto, è rimasto impiccato alla catena perché i botti lo hanno spaventato. E in quel momento è morta la parte migliore di me. Quando ho scoperto che i miei sapevano che aveva paura dei botti, mentre io avevo sempre pensato che non gli dessero noia, e che non avessero fatto niente, non aver fatto niente io, mi ha spezzato ancora una volta.
Sono diventata una persona più menefreghista, più chiusa, fredda. Affilata, spezzata. Piango per qualsiasi cosa, ma sempre da sola. Non mi sono mai perdonata.
Adesso in pratica non ho vere amicizie. Non ho il coraggio neanche di presentarmi ad un esame per paura di fallire. Ho paura dei contatti sociali, un problema che ho visto aumentare negli ultimi tempi, una paura tremenda e silenziosa di confrontarmi con altri, di fallire, di essere giudicata, il che è strano perché è tutta la vita che sento giudizi sbagliati su di me. Ci sono abituata. La noia di dover aspettare che le paternali finiscano mi uccide. La rabbia di non riuscire a rispondere perché le lacrime mi chiudono la gola mi divora. Il disprezzo per tutte quelle persone piccole che non capiscono mi soffoca.
Sarei stata una bellissima persona se non fossi stata circondata da gente emotivamente ipovedente. Sono qui perché sono stanca di sentir sottovalutato il mio dolore ed i miei problemi. Sminuita, diffamata, derisa, trascurata. Ho di nuovo cominciato a far pensieri di morte ma la depressione è una vecchia nemica ormai, posso tenerla a bada finché è presto. Per ora. Conosco i trabocchetti che usa per isolarmi, per farmi scavare la fossa in cui ha intenzione di seppellirmi. Non voglio stare al suo gioco. Non voglio crogiolarmi ancora nel dolore. Non voglio ascoltare le bugie che mi sussurra.
Ma non ci riesco, ce l'ho dentro. Sempre. Anche quando sorrido. A volte le persone mi dicono che ho sempre lo sguardo triste. Io so perché, ma le poche persone a cui ho cercato di spiegarlo se ne sono fregate, e questo non mi ha incoraggiato ad aprirmi.
Tutto qui.
Ah, a titolo informativo, ho 24 anni, vivo in Toscana, ho studiato al liceo classico, sono iscritta alla facoltà di Scienze Biologiche, lavoro come grafica in un'azienda pubblicitaria. Altro?